mercoledì 4 dicembre 2013

La Locanda




Era una sera qualunque nella locanda gremita; viaggiatori infreddoliti dalla pioggia battente si erano rifugiati nella grande sala per crogiolarsi al tepore del fuoco e trovare conforto in una pinta di spumosa birra scura. Le risate non erano di certo molte, La Tempesta del Caos ha lasciato una traccia troppo evidente sul popolo dell'Impero. Per quanto le regioni meridionali siano rimaste fuori dal conflitto principale bande di uominibestia, cultisti e briganti piagano tutte le regioni. I soldati di professione avvertono la stanchezza e i coscritti sono stremati ma, cosa più importante, tutti vogliono tornare alle proprie case. E' questa la vera bandiera che tiene unite ancora le truppe: la speranza di poter tornare a vivere come prima dell'arrivo di Archaon.
Il grande camino crepita e schiocca come una frusta quando il grasso di grosse salsicce cola sul fuoco e la brace; l'oste sonnolento e annoiato pulisce i boccali di peltro e di legno con movimenti lenti e regolari, quasi ritualistici. Una timida melodia di liuto comincia ad accompagnare il lieve brusìo.
Nessuno si accorge della figura che striscia dalla finestra della cucina; la moglie dell'oste, padrona severa della cucina, è distratta nella dispensa; l'ombra gocciante di pioggia scivola per le scale che portano in catina come un velo silenzioso e oscuro; le tracce si perdono nell'acqua che la cuoca rovescia continuamente dai grossi pentoloni di zuppa di patate.
La cantina è buia, illuminata solo da un fascio proveniente dalla cucina, una lama di luce sufficiente per scorgere l'ombra che armeggia con le botti della birra.
"Pochi grammi ognuna, solo pochi grammi ognuna" sussurra l'oscuro figuro mentre versa un pizzico di polverina in ogni botte. Dopo aver finito si rintana nell'angolo opposto e aspetta paziente come una statua dalle forme indiscernibili.
Più la pioggia cade, più gli avventori sono cupi e più questi ultimi bevono; l'oste percorre le scale della cantina molte volte e molte volte riempie caraffe destinate alla sala comune, ignaro è l'uomo dell'ombra che lo osserva dall'oscurità come sono ignari gli ospiti della locanda mentre trangugiano la bevanda che molto poco conforta i cuori tristi provocando solo torpore momentaneo alla mente.
Il tempo passa e al rumore battente della pioggia si odono i tonfi dei corpi che cadono. I colpi sordi cessano e passano lunghi minuti silenziosi; l'uomo d'ombra guarda il soffitto della cantina ridacchiando soddisfatto avviandosi verso le scale che portano alla cucina. Ogni passo sulla pietra equivale al rintocco dell'orologio che decreta il tempo rimasto agli avventori della locanda.
Fuori la locanda ombre scure si radunano sotto la pioggia, alcune ciondolanti, altre veloci come fugaci pensieri di paura.
La figura ammantata si fa sulla porta.
"Portateli in cantina aspettate che si sveglino."
Con pazienza i burattini scarnificati si adoperano per il loro signore, con diligenza e pazienza obbediscono ai suoi ordini perché sanno che presto la loro fame potrà essere placata.
La cantina si illumina di fioche luci di candela che proiettano ombre contorte e movimenti spaventosi. Uno degli ospiti della caverna si contorce di dolore su un empio tavolo di pietra che una volta ospitava formaggi stagionati ed ora è solo un altare di depravazione. Rivoli di sangue ricoprono la lastra, una ragnatela rossa cui solo gli dei oscuri possono apprezzare. Il vento nero della magia comincia a permeare la cantina mentre l'uomo cantilena e con precisione chirurgica tagliuzza l'uomo in vari punti per non farlo morire subito ma permettere un lento e costante dissanguamento.
L'uomo sta per morire, la droga lenisce il dolore in un certo qual modo ma l'istinto di sopravvivenza rende nuovamente cosciente la mente facendo piagnucolare la vittima sacrificale.
Il Negromante finisce di cantilenare e guarda il suo operato, gli occhi spiritati della lucida follia brillano compiaciuti:
"Shhhh" pronuncia dolcemente mentre pone le sue labbra sulla fronte della vittima baciandola.
"E' grazie a te che avrò altri figli da accudire, è grazie a te che lo sforzo non sarà vano. Mille grazie figliuolo."
Il Negromante si volta e lascia la sua vittima a morire notando che pian piano qualcuno degli uomini sopiti si sta ridestando. Guarda i suoi servitori aprendogli le braccia "Stanno rinvenendo figli miei". Abbassa le braccia e scosta quattro degli ospiti in un angolo.
"Quando questi quattro saranno svegli divorate gli altri" il tono diventa quello di un amorevole padre "tenete da parte qualcosa ed uccidete gli spettatori, quando si sveglieranno avranno fame. E noi non vogliamo soffrire la fame vero? Bravi i miei figli, non vorrei punirvi per la vostra ingordigia."
Così come la figura era arrivata, ora si fa sulle scale percorrendo i gradini per andarsene improvvisamente voltandosi come se stesse per dimenticare qualcosa "oh, figli miei, aspettate che siano ben svegli e mangiate con calma; devono essere ben svegli. Chiudete bene quando avete finito." Gli occhi divengono due sfere di fuoco per l'ardore compresso al loro interno. Con passi lenti e cadenzati la figura si allontana dalla cantina, passa la sala comune ed esce; la pioggia è lievemente diminuita ma permane un lento e costante canto delle gocce che si infrangono contro tutto e tutti. Il mondo è calmo e in pace, armonizzato da questa canzone della natura ma ad un tratto un urlo squarcia la notte e spezza il rumore lieve della pioggia e a questo urlo se ne sommano altri. Urla disperate, di dolore e sofferenza, di cieca follia che coglie solo gli individui che osservano uno spettacolo capace di spezzare la mente. Le urla continuano a lungo mentre l'uomo oscuro sotto la pioggia parla alla sua stessa persona "Bravi e ubbidienti…come sempre".
Le orme si perdono nel fango mentre la figura si allontana nella notte; finite le urla i morti, eccitati dal banchetto, distruggono i mobili della locanda e si affaccendano per seguire gli ordini del proprio signore sigillando la cantina con assi, chiodi lunghi come un dito e un lucchetto pesante e si allontanano anche loro nella notte.
Ritorna infine padrona della scena la pioggia e il suo genitore il cielo rinforza il canto della pioggia, facendola scrosciare, come per lavare via la macchia dell'empietà da quel luogo di orrore, come se piangesse per il destino degli uomini che in quella cantina hanno incontrato il loro destino.

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