giovedì 8 maggio 2014

Karak Azul







L’elfo era apatico da giorni, interminabili giorni in sella ad un ammasso di ferro e fumo, con lo stomaco sotto sopra e l’onore sotto le scarpe, di certo non avevano migliorato il suo umore.
 Eruin girava come un vagabondo senza meta per le immense sale e corridoi della fortezza nanica di Karak Azul. Il giorno precedente avevano avuto l’onore di essere ricevuti da Re Kazador in persona il quale si era intrattenuto in un improbabile discorso circa l’onore. Benché Eruin comprese che le parole del vecchio Re erano palesemente enfatizzate da un desiderio di vendetta, si soffermò più volte a pensare quanto di quello che stava ascoltando avesse un senso.
Si soffermò anche a pensare a come differente fosse il suo atteggiamento al confronto di quello dei suoi compagni, i quali erano visibilmente impressionati dalla mastodontica fortezza nanica. I materiali preziosi il cui valore era secondo solo alla perizia secolare con la quale il popolo dei nani aveva scolpito nella nuda roccia Karak Azul, facevano bella vista nelle immense sale e corridoi. Eppure in sale così enormi, ed in posti così austeri, l’elfo si soffermò a pensare allo spreco di spazio ed all’inutilità di sale e corridoi cosi imponenti, visto che la fortezza era abitata da secoli da un popolo non di certo noto per la sua altezza fisica, si sorprese a sorridere amaramente tra se e se.
Si sentì oppresso, rinchiuso, e più volte dovette far fronte alle tecniche del suo popolo per far fronte ad una sensazione molto simile al panico, tanta possenza e stanze così grandi in realtà gli sembravano un ostentazione inutile di bravura architettonica, e non poté far altro che confrontare questo tipo di architettura con quella essenziale e funzionale del suo popolo. Capì quanto differenti fossero gli elfi ed i nani, ed idealisticamente creò una linea retta ponendo ad un estremo il suo popolo, all’altro quello nanico ed in mezzo, esattamente nel mezzo di questa ipotetica linea, pose la razza umana.
Il suo pensiero vagò mentre il Re dei nani parlava e parlava, con un tono di voce lento e cadenzato quasi ipnotico, raccontando storie, farneticando di guerre e di onore, il suo pensiero immancabilmente volò verso lidi lontani, verso i suoi boschi, il verde scuro delle sue foreste, la brezza gelida e pulita del mattino, il caldo e rassicurante tepore dell’aria che invece si respirava nella sua città. Arrivarono alle sue narici, e giurò a se stesso di gustarli tutt’ora, odori di sandalo e gelsomino, odori delle piante aromatiche e speziali usate dalla famosa erboristeria Emogen, l’odore della resina e della vita tutta intorno a lui.
Poi di colpo il Re cambiò tonalità di voce, sicuramente colto da un raptus di vendetta, e si destò da quel sogno ad occhi aperti. Intorno a lui di nuovo il grigiore di sale immense, l’eco delle sale vuote, il buio spezzato dalla flebile luce di candele ai muri e quell’odore di stantio e chiuso che si sentiva addosso fin dentro alle ossa.