mercoledì 25 gennaio 2017

Errando per Laitia - Episodio 14

De li Tremendi Malanni dovuti a la Pessima Alimentazione

Lo Magistro Alburno est homo di grande virtute et conoscienza (quanto tempo che non lo scrivevo!), estremamente abile ne le sopraffine arti alchemiche ma a lo stesso tempo grandemente avvezzo a lo studio et pratica de la Medicina Universale. La sua Crisopea è infatti dimostrazione tangibile de lo potere de le sostanze in grado di mutare l'inanimato ma anche di riparare organi vivi et complessi, eppure, come a sue stesse spese ebbe modo di constatare durante la nostra avventura a Nirte, esistono mali de lo corpo le cui origini possono essere ben più antiche et terribili che necessitano di cura specifica et grossi sacrifici per esser debellati.

Nirte, lo borgo in cui nacqui, sorge ne la landa che in Laitia prende il nome di Brumia et li cui abitanti sovente vengono guardati con occhio storto a causa di alcune strane abitudini che non a tutti possono piacere ma che, mi affretto ad aggiungere, lo sottoscritto Arcadio non condivide come gli è stato insegnato da la sua rispettabile famiglia.
Ad ogni modo, ne li pressi di una palude, alimentata da li fiumi La Rena et Livone, sorge la cittadina di Nirte, rinomata in tutti li dintorni per la alta maestria de li suoi fabbri et armaioli et la durevolezza de lo acciaio prodotto ne le sue fonderie.
Come forse ebbi già modo di anticipare lo problema de la mia Nirte perdurava oramai da svariati cicli lunari, quando da la palude interi sciami di zanzaroni grossi come passeri avevano iniziato a diffondere una fastidiosa malattia debilitante, che sebbene non portasse a la morte del contagiato aveva diffusamente indebolito et rallentato la solerte forza lavoro de lo borgo.
Stremati da tale situazione di degrado li nobili signori de la consulta cittadina avevano prima cercato di ovviare con decotti et rimedi, che in molti improvvisati cerusici avevano iniziato a spacciare ne le piazze, per poi infine optare per rimedi più drastici ingaggiando uno gruppo di Frati Scavoni per deviar lo corso de lo Livone et allontanare per sempre la malsana aria di palude, et fastidiosi insettoni annessi, da la popolazione.

Detta così può sembrar già tutto bello et definito, ma allora a cosa sarebbe servito lo intervento de li Eclettici Viandanti?
Lo scoprimmo giungendo una grigia mattina a Palazzo Pollastrani, ove l'onorevole Garbunzio Pollastrani ci accolse per discutere et valutare la questione de lo nostro intervento.
V'è da dire che lasciata la Zolia terminò anche la parte piacevole de lo viaggio, dato che stavolta evitammo locande affidandoci a le doti di caccia di Galvano et lo suo falcone Ombra per i pasti et ci addentrammo in terra di Brumia, coperta spesso da foschia et malsani acquitrini in cui tutti avemmo modo di far fastidiosa conoscenza con le zanzarone di cui tanto si parlava.
Ricoperti di bolle grosse come prugne venimmo comunque accolti di buon grado dal Pollastrani che uno poco sfiduciato ci enunciò lo ennesimo problema sopraggiunto.

Li Frati Scavoni, coordinati da tale Fra Cazzuola, avevano infatti iniziato la loro opera di deviazione de lo corso de lo fiume ma avevan presto rallentato a causa di alcuni sabotaggi, occorsi nottetempo, a li strumenti da loro utilizzati et a le loro derrate alimentari. La causa nominata più di frequente era da attribuire a spiritelli dispettosi conosciuti come Gnefri, ma Garbunzio Pollastrani sospettava in qualcosa di più tangibile et terreno et gli occorreva qualcuno che sistemasse la situazione una volta per tutte. Una volta sinceratici che la paga non sarebbe stata inferiore a vitto et alloggio per lo tempo necessario a le indagini et non meno di uno oplo di platino zecchino in caso di successo, accettammo lo incarico et cominciammo a raccapezzarci.
Li primi che volemmo interrogare furono proprio li Frati Scavoni, ma lo Magistro, saggio et previdente come suo solito, si fece prima indicare chi tra li venditori di cure in strada fosse quello più fornito et volle acquistare da tale Colbecco Manostorta uno campione di ogni suo intruglio, per poterlo poi studiare con comodo ne lo nostro carrozzone.
Dimostrando una magnanimità comparabile a la sua immensa sapienza lo mio mentore poi mi concesse anche la sera libera per poter riabbracciare dopo tanto tempo et senza fretta la mia cara mamma et mia sorella Camadona.

Ne lo cantiere Fra Cazzuola et li suoi ci accolsero con garbo et ospitarono come loro richiesto dal Pollastrani, ci mostrarono lo mistico aratro, di dimensioni ragguardevoli, che dicevano sarebbe andato senza buoi una volta scavata la prima traccia per volontà divina de lo Signore Senza Tempo, raccontarono poi de li strani furti et sabotaggi che li rallentavano a dismisura ma lo unico che asseriva di aver visto lo colpevole era lo mesto Frate Mezzabotte, uno poco svampito et molto spesso poco sobrio: anche lui parlava di Gnefri, creature piccole et glabre, bambini che sembrano vecchi rugosi, in grado di non farsi vedere et sentire se non per far scherzi di dubbio gusto.
Anche non volendo credere a le favole, come li nostri eroi ebbero modo di apprendere con le vicende occorse a Borgoratto, molto spesso le dicerie hanno fondo di verità et quindi organizzarono una trappola per cogliere in fallo lo furtivo intruso qualora si fosse intrufolato ne la tenda de li attrezzi. Eppure la notte trascorse immota et lo mattino successivo non avevamo nulla di fatto.

Quando raggiunsi lo carrozzone, sistemato ne li pressi de lo cantiere, vidi Frandonato, Tristano et Galvano affamati et allegri a consumar lo primo pasto de lo girodì, ma di Alburno non vidi traccia. Pensai stesse già lavorando et entrai ossequioso ne lo laboratorio ambulante per trovarlo incredibilmente ancora assopito. Tale situazione mi mise subito in allarme, giacché li fumi colorati solitamente son visibili sin da l'alba se non prima, et come ebbi subito modo di constatare la causa era lo male de la palude, lo Magistro sembrava infatti averlo contratto durante lo viaggio et ora ne accusava li primi sintomi spossanti.
La fiacca che lo aveva infidamente colto lo frenò quindi da lo recarsi con li compari in esplorazione, ma non interruppe lo suo alacre compito di dispensatore di saggezza et creatore di intrugli miracolosi. Seppe così illuminar li suoi compagni suggerendo loro di seguir lo corso previsto per la deviazione de lo fiume, giacché se qualcuno aveva interesse a bloccar la opera de li frati probabilmente aveva pari interesse a salvaguardar qualcosa che a causa loro sarebbe andato perduto.

Rimasi a lo fianco di Alburno tutta la mattinata, non ci limitammo ad attendere lo ritorno de li suoi compari ma analizzammo li preparati del cerusico Colbecco rivelando che due rimedi su tre potevano esser considerati poco più che acqua sporca. Ciò che invece lo Magistro trovò in qualche modo utile et seppe facilmente replicare fu uno filtro nasale composto con erbe aromatiche che avrebbe aiutato ne lo respirare la malsana aria di palude ne le spedizioni successive.
Puntuali per il rancio, annunciato prima ancora che da la campana da li brontolii de lo ventre di Frandonato, tornarono al campo li altri eroi. Erano stanchi, lerci et spaventati, ma con loro avevano riportato uno giovane biondo et ben vestito, come fosse un cavaliere senza cavalcatura che si presentò come Giacollo Pollastrani, figlio di Garbunzio et aspirante eroe in cerca de la cura per la sua gente afflitta.
Lo Peregrino et li altri lo avevano beccato sommerso fino a la cinta in acque torbide et salvato da una sorte infausta, lo avevano anche ripreso per essersi avventurato solo et gli avevano suggerito di unirsi a loro se aveva tanta premura di rendersi utile, ma poi, su la strada di ritorno, fecero un incontro cui non erano preparati.

Dapprima furono voci, appena sussurrate ne le orecchie, poi stupidi dispetti, lo Frate Martellone che faceva loro da guida venne quasi smutandato et Frandonato udì urla tanto forti da fargli spuntare una frezza bianca tra la chioma. Impotenti contro creature dispettose, aggressive et incolpibili da la spada di Galvano, giacché invisibili, decisero di ritirarsi et riorganizzarsi con lo ausilio de lo loro amico Magistro da le mille risorse.
Alburno, nonostante la spossatezza, iniziò subito a lavorare per produrre filtri adatti a la situazione et ne lo primo pomeriggio furono pronti a ripartire. Io venni lasciato a far la guardia a lo carrozzone, un po' per mia salvaguardia, un po' perché trovar la cena pronta et calda a lo ritorno era cosa che li allettava grandemente.

Ripercorsero li passi fatti quella stessa mattinata eppure stavolta nessuno si palesò ad eccezione ovviamente de le fastidiose zanzarone infette, così decisero di inoltrarsi ulteriormente ne li acquitrini cercando di attirar su di se lo sguardo de li folletti birichini; oramai tutti erano convinti che li Gnefri esistessero et fossero loro ad ordire lo complotto.
Nonostante urla et schiamazzi nessuno però si fece vivo et li eroi si ritrovarono ad attraversare una porzione di palude più compatta, boscosa, ne la quale finalmente qualcosa attirò la loro attenzione.
Due de li Frati Scavoni erano intenti in animata discussione attorno a la immensa et pestilenziale montagna di sterco lasciata da una creatura a loro dire incantata. Si ostinavano a dire che fosse di Leone di Palude, lo gruppo sapeva per esperienza personale che l'unica creatura che non poteva aver espulso cotanto schifo sarebbe stato un Dentiranno et così lo Magistro tappandosi lo naso et resistendo a stento a li conati pensò di prelevarne uno campione.
Fortuna volle che Frandonato gli suggerì maggior cautela, porgendogli uno frammento metallico, giacché la pila di sterco, oltre che tremendamente nauseabonda, era anche incredibilmente rovente, sicuramente espulsa da le viscere di una creatura li cui bruciori non sono solo intestinali.
Prelevato lo campione, et studiatolo brevemente, Alburno si mise su le tracce che di sicuro uno essere tanto mastodontico avrebbe lasciato ne li dintorni et trovandone la possente orma ebbe conferma de li suoi sospetti: ne la palude vi era uno Drago!

Quel che da conoscenze accademiche essi sapevano su li Draghi è che quelli di fiume son più ragionevoli di quelli di lago, et anche uno poco più piccini, ma soprattutto che son creature antiche che detestano assai lo Nuovo Popolo et la fede et cambiamento da essi motteggiati. Mandarono così indietro a lo campo li due frati et chiesero a Frandonato di nasconder saio et croce tau, cosa che tutto sommato non gli costò grande sacrificio.
Le gigantesche impronte lasciate da la mitica creatura sembravano condurre ne lo sfintere anale di uno demonio, vista la quantità et pessima qualità de li effluvi simili a nebbiolina che andavano via via addensandosi. Occorse a tutti grande prova di coraggio et viscere di ferro per resistere et spingersi avanti fino a destinazione.
Lo respiro de lo Drago era lento et pesante, pestilenziale, umido et bollente. Era sveglio et fissò subito lo sguardo sui nuovi venuti che si prostrarono dinnanzi a lui con gesti lenti et misurati et parole ossequiose et ponderate, pronunziate ne la Lingua Antica con lo scopo specifico di volerlo compiacere. Lo possente Tyrus, questo lo nome de la bestia, si rivelò disposto ad ascoltare et poco incline a divorare, visto lo grande male che lo attanagliava: egli infatti soffriva da quasi uno anno di intensi dolori addominali dovuti a qualcosa di indigesto che aveva trangugiato et non era mai riuscito ad espellere. Lo Magistro Alburno prese quindi parola et professò la propria disciplina, offrendosi, in quanto guaritore et alchimista, di trovare uno rimedio per la sua indigestione et associando immediatamente li effetti de la aria malsana prodotta da le evacuazioni de lo Drago a la misteriosa malattia che affliggeva la palude et Nirte tutta. Come prova ulteriore di competenza et di esser degni di fiducia mostrò a Tyrus la Crisopea et lo convinse ad utilizzarla per lenire temporaneamente lo suo dolore.
Lo Drago brontolò soddisfatto ma assai svogliato, afflitto com'era da tempo da uno male tanto fastidioso, et chiese loro di tornare con una cura.

Quando a sera furono tutti di nuovo a lo campo de li Frati Scavoni temetti di dover bruciare tutte le loro vesti, visto lo lerciume et la puzza che emanavano. Lo mio mentore mi mise subito a lo lavoro insieme a lui, cercando tra li tomi di Medicina Universale che aveva ne lo laboratorio, qualcosa di sufficientemente potente da poter curare uno malessere tale da piegare uno vigoroso Drago, infine trovammo la formula che faceva a lo caso nostro: avremmo dovuto procurarci li ingredienti per produrre la famigerata Magna Potione de Digestione Universalis!

martedì 24 gennaio 2017

Avventurieri delle Lande - Sessione 2

Sessione 2 - Le Grotte del Male pt.2
Il giorno dopo

Ricongiuntisi con Gronte Loba, sia Raghna che Zig sono d’accordo ad attendere l’alba per affrettarsi verso Città del Porto. Dopo una faticosa giornata di viaggio giungono infine al sicuro oltre le mura cittadine ma il mercante e Zig decidono di non voler avere più nulla a che fare con le letali Grotte del Male e se ne vanno per la loro strada.
Raghna chiede aiuto al Grande Tempio della Luce dove incontra un altro accolito della sua specie di nome Urza (nano-sacerdote) che le presta soccorso, insieme poi decidono di formare un gruppo per tornare alle Grotte del Male e vendicare la morte di Rock.
Nella Locanda dell’Oro Fuso, Bannus (nano-guerriero) decide di impugnare l’ascia di suo padre, ex-avventuriero ritiratosi a fare l’oste, e si mette in affari con due umani,  Passoscuro e Cerdic (umano-stregone) che posseggono una pergamena con il disegno di una grotta il cui ingresso è scolpito a forma di testa di drago che da accesso ad un’antica miniera nanica abbandonata ricolma di tesori.
Raghna e Urza giungono in locanda in cerca di rinforzi per affrontare Dukkat ed i cinque uniscono gli intenti ripartendo immediatamente lungo la Via del Mare, diretti alle propaggini della Foresta Oscura. Il viaggio non riserva sorprese, il gruppo passa la notte sulla strada e con la luce del mattino successivo Raghna ritrova facilmente l’ingresso alle caverne e giunge nella sala in cui è morto Rock.
La testa mozzata del nano è stata affissa su un palo ed inveisce contro di loro mentre il corpo decapitato emerge da un cumulo di rocce e li aggredisce alle spalle. Il gruppo ha facilmente la meglio e Rock guadagna finalmente il riposo del guerriero. Mentre Raghna si occupa delle sue spoglie Cerdic indaga sulla carcassa dell’Elfo Scheletro rimasto dalla volta scorsa nella stanza.
Lo stregone riconosce la coroncina di cuoio e argento come un simbolo principesco ed il suo particolare arco come proveniente dal Bosco Bianco, ma poi, incuriosito dallo strano Cuneo Nero conficcato nella gabbia toracica dell’elfo, decide di prenderlo e viene immediatamente assuefatto dal suo potere oscuro.
Dukkat e lo scheletro di Drago mezzo sepolto sono spariti. Gli avventurieri decidono di esplorare il resto del complesso in cerca della miniera nanica. Svoltando un angolo tralasciato in precedenza si ritrovano in un vicolo cieco in cui scorgono il cadavere di un sacerdote del Dio della Luce e rinvengono alcune utili pergamene ed una mazza con la testa a forma di sole sicuramente magica. Urza utilizza una pergamena per individuarne i poteri e si rende conto che Cerdic è in possesso di un oggetto maledetto, cerca di strapparglielo ma rimane anche lui vittima dell’oscuro influsso. I due litigano chiassosamente e ferocemente per il possesso del Cuneo Nero attirando un nutrito gruppo di goblin morti viventi che li aggredisce di soppiatto ed il gruppo si divide per affrontarli. Cerdic riesce ad avere la meglio su Urza addormentandolo con un incanto, Passoscuro suggerisce di tenere divisi i due in modo che non cerchino di uccidersi e di chiedere aiuto al Tempio della Luce. Bannus scorta i due umani mentre Raghna attende nella grotta che Urza si risvegli.
Una volta nel bosco Passoscuro convince Cerdic a tradire i nani, prendere la mazza fiammeggiante dalle mani di Bannus e rivenderla dividendo i proventi. Anche Bannus cade vittima dei poteri di Cerdic e si risveglia da solo in una radura, la sua ascia conficcata in un tronco a tre metri di altezza e due lupi morti viventi che gli ringhiano minacciosi.
Urza si risveglia, è visivamente debilitato e bramoso di riprendersi il Cuneo Nero, Raghna fa per accompagnarlo fuori ma l’ingresso delle Grotte del Male viene fatto franare ed una seconda ondata di goblin morti viventi si avventa su di loro.
Bannus sconfigge per un soffio i due lupi nel bosco, anche Urza e Raghna riescono faticosamente a sterminare i nemici ed i nani si ricongiungono ed accampano al sicuro.
Passoscuro e Cerdic arrivano oltre il tramonto a Città del Porto. Riposano in locanda ma al mattino Cerdic, stordito dall’influsso del Cuneo Nero, non si accorge che il suo compagno è già sparito con la Mazza Fiammeggiante e l’arco elfico. Lo cerca nel Tempio della Luce dove i sacerdoti gli riferiscono di averlo generosamente ricompensato per aver restituito una reliquia sacra e avergli dato indicazioni per il Bosco Bianco.
Quando a sera anche i tre nani Bannus, Raghna e Urza tornano alla civiltà vengono ringraziati per aver individuato nelle Grotte del Male il cadavere dell’eroico sacerdote scomparso Let Pontifer, e ricompensati nonostante Dukkat sia riuscito a sfuggirgli. Su loro richiesta vengono infine indirizzati sulle tracce dei due umani verso il misterioso reame elfico di Bosco Bianco.

Avventurieri delle Lande - Sessione 1

Una Notte di Plenilunio / Le Grotte del Male pt.1
Tarda Primavera - Anno 13527 dalla Nascita del Sole

Rock (nano-guerriero), sua sorella Raghna (nana-sacerdote) ed il vagabondo Zig (umano-ladro) sono stati assoldati da Gronte Loba, un mercante in viaggio da Bolves a Città del Porto lungo la perigliosa Via del Mare.
Ad un giorno di viaggio dalla destinazione il gruppo si accampa, è una placida e tiepida notte di luna piena quando alcuni goblin si spingono fuori dal sottobosco, rubano la borsa coi denari di Gronte Loba e fuggono.
Gli avventurieri pagati per difendere il mercante si lanciano all’inseguimento, sterminano i goblin che tendono loro un agguato ma scoprono che altri sono fuggiti nel fitto della Foresta Buia e soprattutto che i nemici appena sconfitti sembrano essere morti viventi e portano tutti inciso sulla pelle il marchio della Tribù Testa di Cervo.
Avvertito Gronte, che si fa convincere ad attenderli fino all’alba, si equipaggiano e partono sulle tracce dei goblin giungendo all’entrata di un minaccioso complesso artificiale di caverne: Le Grotte del Male.
All’interno delle grotte i tre seguono Zig che li conduce sulle tracce più fresche lasciate dai goblin, si disfano facilmente di altri morti viventi tra cui dei lupi ed evitano tutti i cunicoli secondari per giungere infine in una caverna più ampia, illuminata da grossi braceri di fuoco nero, in cui li attendono Dukkat, un Sacerdote del Dio della Morte, e due Scheletri Non-Morti, un Nano in armatura, ascia e scudo, ed un Elfo armato di arco che sembrano vegliare sulle ossa semisepolte di un Drago nella parete più distante.
Inizia un combattimento furioso in cui Raghna sferra un colpo mortale al Sacerdote nemico che però è protetto da un incantesimo di Necromanzia e viene deviato su suo fratello Rock che finisce quasi decapitato. Zig ingaggia e vince per un soffio un scontro dalla distanza con l’Elfo Scheletro, la cui testa rotola via dal resto del corpo. Rock in fin di vita riesce comunque ad avere la meglio sul Nano Scheletro ma Dukkat con il suo Bastone del Potere sferra colpi micidiali e quando rianima il Nano Scheletro gli avventurieri decidono di ritirarsi.
Rock sebbene ferito copre valorosamente la via di fuga a Raghna e Zig ma un ultimo colpo di ascia del Nano Scheletro è letale e lo decapita.
Raghna in lacrime e Zig riescono correndo a perdifiato a guadagnare l’ingresso della caverna. I nemici non li inseguono oltre la soglia.

domenica 22 gennaio 2017

Errando per Laitia - Episodio 13

De le Cupe Nubi su la Città di Maro

La Via Poranica discendeva ad oriente lungo le sponde de la soleggiata Laitia, traversando tra ripide costiere et lievi colli la Gruilia, lo Sacanto, lo Mar d'Emmar et la Zolia sino a giungere ne lo fulcro de la civiltà antica, la sede de lo trono imperiale, la più grande, magnifica et per certi aspetti decadente de le città nostrane: la eterna Maro.
Lo gruppetto di Eclettici Viandanti, di cui lo sottoscritto era ormai entrato a pieno titolo a far parte come apprendista alchimista, viaggiò comodamente accompagnato da giornate soleggiate et piacevoli chiacchiere. Per risparmiar qualche ceo intervallammo lo percorso tra una locanda di via et l'altra, qualora la caccia di Ombra, lo falcone di Galvano, non riuscisse ad inviduare durante la giornata prede sufficienti a garantire uno buon pasto.
Ne le taverne invece a farla da padrone era lo Peregrino Scarlatto, con le sue ballate che portavano applausi, risate, grida ammirate et sospiri, oltre che naturalmente fiumi di vino et cibo et calda ospitalità senza costo alcuno.
Lo Magistro Alburno man mano che la Città Sacra si faceva più vicina iniziò ad incupirsi et parlar meno, passando più tempo in riflessione, rivergando appunti et calcinando intrugli, meno incline a le risate et a le continue idee di truffa a sfondo religioso che Frandonato provava a proporgli per raccoglier contante.
Ci godemmo lo viaggio, una volta tanto spensierato et privo di pericoli, ma le nere nubi che sovrastavano la città di Maro ci riportarono presto a meditar su la origine et lo scopo de la nostra missione, su ciò che venne prima et su ciò in cui a breve ci saremmo imbattuti.

Una sera chiesi a lo mio mentore quale fosse la causa de lo suo cattivo umore. Alburno fu vago et disse che vi era poco di cui essere allegri, indicò in alto verso lo cielo grigio et mi parve di intravedere una scura ombra alata scivolare silenziosa appena oltre lo velo, rapida et indistinta, maestosa ma anche terribilmente inquietante.
La salita a lo potere de lo Imperatore Vistiliano era costata molto sangue a la città, la caduta di Nelea et de li altri Alti Signori, ma quale altro prezzo era stato pagato?
Capii improvvisamente che lo Magistro accusava la tensione di esser tornato a casa, di aver realizzato che presto avrebbe dovuto fare li conti con lo suo passato, da cui era fuggito così tanti anni prima. Fiducioso ne la sua saggezza et maturità decisi di non stuzzicarlo oltre et lasciare che avesse tempo et modo per assimilare la faccenda.

Una volta in città scoprimmo che Tristano aveva trascorso gran parte de la sua giovinezza in uno de li quartieri popolari, conosceva gente et taberne, soprattutto taberne, et ci indirizzò verso quella di cui conservava li più gradevoli ricordi: la Locanda delle Sciacquette.
In quello luogo, assai più vicino ad un postribolo che ad una ostaria, v'era un palchetto su cui a turno poeti più o meno improvvisati et anche qualche scafata baldracca recitavano versetti sconci con più doppi sensi che endecasillabi, ove apprendemmo almeno due dozzine di modi diversi per appellare lo membro maschile et le virtù femminili.
Mi sentivo piuttosto in imbarazzo di fronte ad una tale quantità di oscenità declamate senza pudore alcuno et sebbene fosse divertente veder Frandonato sganasciarsi mentre palpeggiava una disponibile lavoratrice et lo Peregrino cimentarsi egli stesso ne la recitazione con versi ispirati da lo momento, preferii mantenere uno più compito atteggiamento quale era quello de lo cavalier Galvano et de lo meditabondo Alburno.
Li scopi de la nostra visita a Maro erano due: trovar notizie certe su la locazione de la sepoltura di Laitiano et equipaggiarci al meglio per lo seguito de la nostra avventura.
Trascorremmo uno intero girodì per mercanti et per mercati, mentre lo Magistro pagò per aver accesso giornaliero ad una de le biblioteche storiche meglio fornite de la città.
Con le gemme et le cianfrusaglie conquistate, vendendo anche qualche piuma nera de lo galletto Bastiano ad una fattucchiera, riuscimmo anche a scambiar lo carretto per uno carrozzone più grande, in grado di ospitarci tutti ma che avevamo intenzione di trasformare in uno laboratorio alchemico ambulante. Facemmo così i nostri affari con un dom, et la sera anche Alburno tornò da la biblioteca con informazioni certe su la nostra tappa successiva.

V'è uno luogo ne lo Mare Missogeo, a metà strada tra Maro et Polisnea, separato da la costa da acque cupe et turbolente: la Isola di Caligo, così chiamata forse a causa de la caliggine che la circonda. Essa secondo la leggenda custodisce le tombe di grandi uomini de lo Antico Popolo, tra cui lo eroico marinaio Laitiano.
Per giungerci avremmo dovuto proseguire lungo la Via Poranica, attraversando lo fiume Albula et viaggiar per pochi girodì ne la Ciraiocia, eppure lo Magistro sembrava avere ancora qualche dubbio.
Riuniti ne lo nuovo carrozzone che, ancora spoglio de le scaffalature, libri et attrezzature previste, era abbastanza capiente da ospitarci tutti quanti, lo saggio Alburno mostrò le pietre d'ambra in suo possesso et la sottile struttura di vile rame fabbricata per poterle mandare in risonanza.
Ci rammentò che le istruzioni su pergamena incantata de lo Magistro S. eran due: scovar lo sepolcro ma anche utilizzare le ambre, forse per svelarne uno segreto importante. Ipotizzammo che quindi le pietre incantate servissero come chiave et la fabbricazione de lo supporto per attivarne lo potere fosse di primaria importanza. Ci occorreva pertanto lo lavoro di uno stagnino sufficientemente abile et soprattutto, lo materiale giusto da fargli lavorare: costosissimo platino per la quantità di almeno un oplo!
Con lo acquisto de lo carrozzone ci erano rimasti assai pochi cei, lo gruppo stava già meditando di darsi al furto, organizzare una estorsione o una rapina et, sebbene a malincuore, persino lo onorevole Galvano et lo retto Alburno sembravano non vedere altre opportunità per racimolar tanto in tempi brevi. Allora mi permisi di intromettermi per dar loro uno suggerimento.

Mio padre Bastiano lavorò per decadi a Nelea et mi porto con se appena in fasce per far si che crescendo imparassi lo suo mestiere, ma le mie origini et il resto de la mia famiglia, una madre et una sorella, son rimaste ne lo borgo di Nirte, in Brumia, soltanto pochi girodì a settentrione di Maro.
Già alcuni mesi prima di lasciare Nelea in cerca de lo perduto erede Pirreo mi erano giunte missive da la mia sorellina Camadona riguardo uno male debilitante et persistente, portato da la palude limitrofa da zanzaroni grossi come passeri, che pian piano andava contagiando tutta Nirte.
Siccome la consulta cittadina era da tempo in cerca de le sue cause, una cura et preferibilmente di una soluzione permanente, pensai che lo eccellente alchimista Alburno et li suoi eroici compari avrebbero potuto venirne a capo et richieder cospicua ricompensa per lo aiuto fornito.
Vidi li occhi de lo Magistro illuminarsi sentendo tal proposta, rispettosa de lo suo nome et de le leggi di Laitia, et in breve la decisione fu presa, saremmo partiti per Nirte a lo sorgere de lo sole.

Frandonato et Tristano preferiron trascorrere la ultima notte a Maro ne la Locanda delle Sciacquette mentre Galvano, Alburno et io ripossamo ne lo nuovo carrozzone. Dormimmo tutti de la grossa et al mattino avemmo una amara sorpresa.
Da una botola secondaria su lo fondo de lo carro, di cui li dom si erano accuratamente guardati dal mettercene a parte, qualcuno s'era intrufolato nottetempo et aveva rimestato tra le nostre cose.
Visto che nessuno di noi aveva sentito nulla doveva trattarsi di qualcuno piuttosto abile, che avrebbe potuto prendere con se tutti li nostri averi ma che invece s'era rivelato interessato principalmente a determinati articoli, ovvero tutto ciò che era scritto su pergamena.
Rubò una mappa di Gruilia, alcune formule de lo Magistro, che per fortuna erano anche ben impresse ne la sua mente, avendole sviluppate lui stesso, pochi beni di valore tra cui alcuni cei et abiti eleganti de lo Peregrino, et, infine, probabilmente ciò per cui era stato mandato: non trovammo infatti traccia de la pergamena incantata con le mistiche parole de lo Magistro S.

Venimmo gabbati veramente come polli, ritardammo la partenza di un girodì mentre senza aver successo Frandonato, Galvano et Tristano provavano a cercar tracce de lo ladro et de lo suo mandatario tra li dom de la capitale, et Alburno si occupava di installare chiavistelli per render più sicura la sua dimora ambulante.
Ne parlammo meglio durante lo viaggio per Nirte, probabilmente sostare di locanda in locanda facendosi riconoscere aveva reso lo viaggio più piacevole et assai meno costoso, ma aveva anche dato modo a chi ci seguiva, et tutti pensammo a lo cavalier Tarquinio che ci aggredì nei pressi di Borgoratto, di rintracciarci persino in una città caotica come Maro.
Certo era che anche li nostri nemici seguivano le tracce de la eredità de lo Magistro S., forse de la Spada dell'Equilibrio stessa, et che costruir la chiave et recarsi ne la Isola di Caligo era cosa da fare ne lo minore tempo possibile, sperando che anche li nostri antagonisti venissero come noi rallentati da li complessi indizi che ci erano stati lasciati.

mercoledì 11 gennaio 2017

Errando per Laitia - Episodio 12

De le Deluse Aspettative et Eroici Rodei

Viaggiare in estate su uno carretto, tra li colli colorati et profumosi di Laitia, con lo mare a la destra et le brezze montane a la sinistra può esser considerato ritemprante. Giunsi a Zena via nave et devo ammettere di preferir di gran lunga la terraferma et li odori di campagna a lo ondeggiare inquieto et odore di salsedine de le azzurre acque de lo Mare Missogeo.
La compagnia, lasciata Zena, volette fare una prima sosta presso lo isolato villaggio di Leceria, loco di una de le sue prime imprese, in cerca di ospitalità et altri tipi di intrattenimento.
Fu così che mentre lo Magistro chiedeva notizie riguardo lo loro vecchio compagno di viaggio Magellino, al secolo Serafino, scoprendo che avea lasciato di soppiatto lo borgo dopo aver ingravidato una pulzella, lo Peregrino et Frandonato preferiron far visita a la divina Xeriana, chiedendole di organizzare per loro uno di quei rituali orgiastici che difficilmente avrebber dimenticato.
Ritemprati ne lo corpo et ne lo spirito ripartimmo uno paio di girodì dopo, appena lo mio abile mentore Alburno ebbe portato a termine lo ennesimo suo prodigio: per giustificare infatti lo fatto che aveva reclamato come suoi sia lo grosso topazio rinvenuto tra le eredità di Frandonato, che lo medaglione incantato appartenuto uno tempo a Manomarcia et finora custodito da Tristano, si offrì di trattare alchemicamente le loro armature. 
Fu così che battezzò Ferroccia lo metallo de la cotta de lo frate, et Cuoiacciaio la dura pelle lavorata de lo corpetto de lo musico, mostrando loro di averle rese assai più resistenti, sebbene di pari peso et flessibilità. Tutti soddisfatti riprendemmo lo cammino.

Le ripide colline de la Gruilia lasciaron presto passo a le morbide alture de lo Sacanto, faceva un gran caldo ma le lievi brezze provenienti da nord rendevano sopportabile lo tragitto. Seguendo sempre la Via Poranica giungemmo infine in quel di Pelopia, città di grande sfarzo et cultura.
Tristano aveva sicuramente ereditato da qualche suo parente ignoto la sua predisposizione verso lo arcano, eppure aveva sempre preferito una vita libera, senza fronzoli, improvvisata et vagabonda. Aveva preso questo suo dono come gli sembrava più facile, per li suoi scopi, ma non sarebbe mai riuscito a scatenar nemmeno una scintilla di magia senza la guida di uno vero maestro ne la complessa arte de la Nominazione: costui portava lo nome di Magister Sinelurm.
Come scoprimmo durante la nostra visita a la torre del mago, Sinelurm aveva uno tempo nutrito grandi speranze per lo Peregrino ma infine, comprendendone la intrinseca natura cazzona, aveva gettato la spugna rinunciando a trasformar lo eclettico musicante in rispettabile sapiente. La situazione inoltre s'era ulteriormente complicata quando Tristano aveva deciso di rubare la virtù a la giovane servetta de lo Magister promettendole di prenderla in sposa poco prima di fuggir via da la città senza ritegno.

Compresa la patetica situazione lo saggio Alburno si mostrò comprensivo et chiese umilmente la collaborazione de lo Magister, persino Frandonato si mostrò sensibile a lo disappunto causato da lo lestofante Peregrino et cercò di far ragionare la servetta et farle scordar lo sciagurato.
Sinelurm accettò infine di esaminare la pergamena incantata a patto che la compagnia restituisse uno favore in sua vece et che, finito lo incarico, lo suo vecchio discepolo si levasse una volta per tutte da le gonadi.
Accettata di buon grado la ragionevole offerta, anche per riabilitare in parte lo nome de lo lor compagno, et fattogli doverosamente pesare lo ennesimo incidente diplomatico causato da la sua incapacità di tener allacciate le braghe, lo Magistro porse a Sinelurm lo scritto et egli seppe infine rivelar, con lo lume de la sua bacchetta, lo arcano celato, una ulteriore iscrizione precedentemente invisibile:

Cercate la Tomba dello Straniero il cui Nome per noi est sopra ogni Cosa.
Accompagnator dello Fondatore della Città Sacra,
Marinaio sulla Prima Barca che attraccò nella nostra Terra.

Dopo breve disquisizione Frandonato et Alburno convenirono che lo misterioso straniero non poteva esser altri che Laitiano, storico marinaio et compagno di viaggio di Resna in persona, lo stesso da cui poi l'intera Laitia prese nome. Discorso diverso fu per la locazione de la sua sepoltura: occorreva interrogar tomi antichi a riguardo et ne la breve permanenza in città la informazione non venne rinvenuta.
Prima però di riprendere il viaggio in cerca di risposta, la parola andava mantenuta et, per conto de lo Magister Sinelurm, uno favore andava restituito.

In quel di Pelopia era da tempo in corso la edificazione di una sontuosa torre di guardia, che avrebbe permesso di individuare le nemiche flotte d'oltremare et sgradene a grande distanza. Fato avverso però volle che, ne lo punto ottimale per la costruzione, non si riuscisse a far star diritta la torre, et ogni nuovo tentativo finiva sempre, immancabilmente, per farla pendere da un lato con grosso rischio di crollo.
Li ingegneri retropodi si arrovellavano per trovare una soluzione et forse stavolta ne avevano pronta una che avrebbe permesso a la torre di star dritta. Li nostri eroi giunsero con perfetto tempismo et , come pattuito, ricevettero lo incarico per conto di Sinelurm senza chieder ulteriore retribuzione.
Lo loro compito sarebbe stato quello di recarsi ne lo Mar d'Emmar et procurarsi una congrua quantità di una sostanza perfetta per far da malta, grazie a la quale la torre sarebbe stata finalmente eretta perfettamente perpendicolare a lo terreno, niente di apparentemente rischioso, non fosse per li intrinseci rischi di inoltrarsi in una infida palude et per la natura di ciò che dovevano recuperare.
La bianca malta inodore di cui dovevano caricare lo carretto era infatti di origine animale, più precisamente defecata da una de le creature più rare et pericolose di tutta Laitia, lo quasi estinto Dentiranno, immenso bestione tricornuto et da la indole estremamente lunatica. Ma un patto era un patto!

Gran parte de li problemi furono evitati dopo lunghe trattative assumendo una guida vendramina, tale Tombolino si rivelò onesto et perfetto seguipista. In appena uno paio di girodì portò li nostri eroi fuori da lo Sacanto, su la scia di feci che avrebbero condotto a la tana de la bestia.
Lo Cavalier Galvano et io restammo fuori da la palude, a sorvegliar li nostri beni vista la massiccia presenza di banditi lungo le poche strade mercantili del Mar d'Emmar, li altri si inoltraron ne la palude.
Tra li brontolii di Tristano, che non si sentiva in alcun modo in dovere verso lo suo Magister né tantomeno verso la servetta, et su li passi de lo coraggioso vendramino, lo gruppo si bloccò infine in prossimità di una bassa grotta, sicuramente tana de la creatura da la merda tanto agognata.
Fecero appena in tempo a muover qualche passo prima di rendersi conto che lo padrone di casa era in zona et aveva facilmente fiutato la loro presenza: il Dentiranno era immenso, grosso quanto un elefante et due volte più coriaceo, oltretutto inferocito perché ovviamente i nostri eran piombati lì in uno momento di luna storta! A volte lo Fato sa esser beffardo...

Sollevatasi su due zampe la bestia grugnì, ricadde pesantemente al suolo et iniziò una carica potente et inarrestabile che avrebbe travolto lo carretto et tutti coloro non abbastanza scaltri da levarsi di torno, ma qui la compagnia seppe dare il meglio di se: mentre Tombolino correva a lo riparo, Alburno trasse di tasca due filtri precedentemente preparati, calcolò li tempi esatti di ogni cosa, non mosse lo carretto, mescolò li intrugli, li tappò et agitò, poi passò la fiala a Tristano, assai più abile lanciatore.
Lo Peregrino senza far domande, ma defilandosi per sicurezza da la traiettoria de lo mostro, prese l'incarico et con letale precisione stappò et scagliò la fiala su la bestia mentre questa era a poche decine di cubiti di distanza. La sostanza esplose su lo muso de lo Dentiranno in una nuvola di polvere multicolore che la bestia non potè fare a meno di inalare... appena uno istante prima di subirne gli effetti soporiferi et interrompere la sua corsa scivolando placidamente a terra.
Mi rammarico di non aver potuto assistere a tale dimostrazione di astuzia, nervi saldi et coordinazione da parte de lo Magistro et li suoi compari, ma anche ciò che accadde dopo ha di che esser narrato ne le locande.

Alburno dopo essersi lasciato sfuggire un grido di esultanza si affrettò a specificare che lo effetto soporifero non sarebbe durato a lungo, si premurò di fornire a Frandonato uno altro intruglio raccomandandosi di usarlo per fuggire et poi gli affidò lo compito più arduo: tenere a bada lo Dentiranno a lo suo risveglio finché lo carretto non sarebbe stato pieno di merda bianca et al sicuro.
Lo spavaldo frate sembrava non chieder nulla di meglio, si mise in tasca la pozione et preparò a la sfida.
Individuarono ne li pressi de la tana una pila sufficientemente grande di feci et iniziarono di buona lena a spalare, a metà carretto pieno la bestia confusa iniziò a riprendersi et Frandonato ad attirare la sua attenzione per allontanarla da lo gruppo.
Lo bestione abboccò et iniziò una dura corrida con lo frate che per due volte schivò le cariche, altre due volte venne quasi investito da lo colosso uscendone illeso solo grazie a lo suo vigore sovrumano et infine osò anche cercare di cavalcare la bestia arrampicandosi fino a lo collo et cimentandosi in uno epico rodeo.
Li altri riuscirono ad allontanarsi grazie a le sue gesta et quando venne infine disarcionato approfittò de lo primo attimo in cui lo Dentiranno era lontano per prender la rincorsa et bevve lo intruglio del Magistro fidandosi anche lui ad occhi chiusi: in pochi istanti sparì nel nulla.

Resosi conto di essere invisibile evitò facilmente la carica de la bestia et si ricongiunse a li altri ormai a distanza di sicurezza con lo carretto et lo prezioso carico. Ci reincontrammo su la Via Poranica, salutammo et pagammo Tombolino il vendramino per lo suo inestimabile contributo et tornammo a Pelopia per consegnare quanto richiesto.
Li retropodi furono molto soddisfatti et convinti di poter edificare finalmente la loro torre. Lo Magistro riuscì anche a tenersi alcuni campioni di feci, intenzionato ad usarli per intrugli lenitivi di cui spero di non aver mai bisogno, dopodiché concordammo la prossima meta, ove trovare informazioni su la tomba di Laitiano.
Convenimmo tutti che Maro era la scelta più saggia per vicinanza et grandezza et fu allora che scorsi per la prima volta uno velo di tristezza ne li occhi de lo mio mentore Alburno.