sabato 11 febbraio 2017

Lo malanno de Nirte





Tra le tende e li scavi 
se movevan esserini strani

Niuna trappola funzionò pe chiappalli
decidemmo de seguì le orme pe le valli

De zanzare assai voraci, era pieno
portavano malanni e febbri da fieno

Lasciammo all'accampamento lo Alchimista malato
insieme co li frati che un giorno saran finalmente prelato

Lo Gnefro è esser minuscolum et fugace
lo cercammo a lungo tra l'acquitrini senza pace

Trovammo na minchia secca e tornammo con le mani in mano
decidemmo di usar l'ingengno pe svelà l'arcano

La palude celava no mistero strano
invisibili nemici frutto di sortilegio arcano

No drago de fiume alla fin trovammo
promettemo de curarlo dal nefasto malanno

Infine arrivammo allo cospetto del Re Borgotto
chiedemmo, saggiamente, udienza et clemenza ed evitam de fa lo botto

De la caverna de pipistrelli verdi ce fu aperto lo secreto passaggio
ce impertugiammo pe trovà lo guano, trovammo olezzo ad ampio raggio

Camminammo pe ore evitando trappole et burroni
ma sopratutto de nun fa la fine dei minchioni

Alla fine giungemmo in loco largo et oscuro
trovammo lo guano scappammo da li pipistrelli et bussammo a lo secreto muro

Potionem creammo e lo draco curammo
la malattia na Nirte bandimmo


Tristano
Lo Scarlatto Peregrino










Lo traforo Magno cum Gaudio





Percorrendo la strada da Pelopia a Maro
me chiedevo se avremmo avuto lo tempo pe rende il pernotto meno amaro

Così giungemmo in codesta taberna
sperando de fa cor membro quaterna

Lo fratacchione nostro nelle mutande non lo tenne
ar vecchio spilorcio lo denaro chiese ed ottenne

Co la panza piena ed un pò barzotto
mi accingo a cantar mentre lo frate in camera da letto fa er botto

Mo brindamo insieme coi borselli alzati
perchè li cazzi nostri se so di già rizzati


(Sulla falsariga dei sonetti di Maro e dei suoi poeti illustri a cui potrei giusto spicciar la casa)


 Tristano 
Lo scarlatto Peregrino

Le Catacombe son pien de Ombre





L'aria puzzava de vecchio e de morto
ma la campagnia a lo piatto non fece torto

Le prove di fede a dire il vero eran molte
ma le occasioni è dato certo che vadan sempre colte

Non v'e' ricchezza che non sia celata
li nostri eroi sapevan che andava cercata

La cupidigia dello Magistro Alburno
vince la di tutti paura per questo turno

Non v'e' dilemma trappola o indovinello
che possa fermar Frandonato con il vinello

Gli scheletri ritornati in vita improvvisamente
son messi a riposo permanentemente

Un altro loco è tornato ridente
per la sicurezza e la gioia de tutta la gente


 Tristano 
Lo scarlatto Peregrino

martedì 7 febbraio 2017

Errando per Laitia - Episodio 15

De li Gnefri, Qualunque Cosa Siano

Scorrendo tra li reagenti in grado di provocar la più grande purga de la storia di Laitia, la maggior parte di essi faceva parte de la dotazione essenziale di alchimisti et guaritori. Essendo Alburno gran maestro di entrambe tali professionalità era già in possesso di tutti li ingredienti, eccezion fatta di uno, lo più raro et, a detta di alcuni, persino leggendario.
Lo Guano di Pipistrello Verde è sostanzialmente uno ennesimo tipo di merda, con cui ultimamente li Eclettici Viandanti sembrano avere a che fare fin troppo spesso, prodotto però da creature credute estinte già da diverse ere.
Per saperne di più decidemmo di affidarci a lo folklore locale et in quel di Nirte interloquimmo con una veneranda vecchietta che tirò fuori ancora una volta storie su li Gnefri.
Tali piccoli folletti ci disse che uno tempo abitavano in molti luoghi de la Brumia et erano padroni di regni invisibili ad occhio umano ne le selve et ne le caverne più sperdute. Secondo la anziana furono proprio li Gnefri a dover affrontare lo flagello de li Pipistrelli Verdi, creature notturne, feroci et assai più grandi de li loro cugini comuni, et infine riuscirono a debellarli et sterminarli fino a la loro estinzione. Da quel che seppe dirci però anche li Gnefri eran spariti da la Brumia, et forse qualcuno di loro ancora abitava lontano, su li monti a diversi girodì di cammino da Nirte.
In realtà tutti noi sospettavamo che qualche Gnefro potesse essere assai più vicino et lo Magistro seppe illuminarci ancora una volta facendoci intender che senza allontanarci avremmo potuto attendere con li Frati Scavoni lo successivo tentativo di sabotaggio.

Quella notte si divisero in gruppi, prima di coricarmi aiutai Alburno a miscelare alcuni intrugli che se ingeriti avrebbero donato la capacità di vedere gli altrimenti invisibili folletti.
Lo mio mentore et Galvano fecero lo primo turno di guardia a la tenda con li attrezzi et ebbero gran fortuna. Quando lo primo si accorse che qualcosa non andava, scorgendo una strana ombra et occhietti luminosi ne la oscurità, fece cenno a lo cavaliere di far silenzio et bere lo suo intruglio. Poi fu lo turno di Galvano, che silenzioso come una faina scivolò a le spalle de la creaturina, intenta a segar lo manico di uno piccone et con presa ferrea lo immobilizzò al suolo.
Lo Magistro cercò di far capire a lo Gnefro, o qualsiasi cosa fosse, di non aver brutte intenzioni et di aver necessità di sapere lo motivo per lo quale stessero ostacolando li lavori. Quando lo piccoletto infine capì di non poter fuggire si decise a rivelare che lo loro insediamento era in pericolo, giacché lo nuovo corso de lo fiume avrebbe presto distrutto tutto quanto se li frati non si fossero fermati.
Alburno chiese anche de li Pipistrelli Verdi, dicendo che, se avessero rimediato lo ultimo ingrediente, avrebbero potuto salvare in altro modo le genti di Nirte da la malattia et li scavi non sarebbero stati più necessari, di fatto risparmiando anche la loro piccola comunità.
Capì presto che Vardu, così si chiamava lo omuncolo invisibile, non era molto incline a fidarsi et che decisioni di grande importanza le avrebbe dovute discutere con lo Re Gnefro, così decise di proporgli una prova di fiducia: avrebbero parlato con Garbunzio Pollastrani et lo avrebbero convinto ad interrompere li scavi per qualche girodì, dando loro lo tempo di mettere in atto la soluzione che avrebbe accontentato sia la gente di Nirte che li Gnefri stessi.
Galvano lasciò andare Vardu, con la promessa che lo girodì successivo, a scavi fermi, sarebbero andati di nuovo ne la palude et avrebbero potuto chiedere a lo Re Gnefro cosa fosse stato de li Pipistrelli Verdi.

Lo mattino successivo le condizioni de lo Magistro erano per fortuna ancora stabili. Persisteva lo stato di spossatezza ma le febbri erano ancora lievi et le sue capacità cognitive eccellenti come suo solito.
Fra Cazzuola non volle saperne di interrompere li lavori, dato che la consulta di Nirte aveva promesso loro uno appezzamento di terreno su cui costruir lo monastero in cambio de lo scavo, et senza scavo non ci sarebbe stato alcun monastero, allora ci recammo di fretta a Palazzo Pollastrani convincendo il buon Garbunzio, spalleggiati da suo figlio Giacollo che aveva con noi assistito a lo malessere de lo Drago Tyrus, a richieder a la consulta la sospensione de li lavori per tre o quattro girodì.
Adesso non restava che tornar ne la palude et sperar che lo Gnefro Vardu mantenesse la parola data.

In realtà l'attesa fu assai lunga et ne lo vagare per la palude implorando a li Gnefri di palesarsi lo gruppetto ebbe la sfortuna di imbattersi in uno grosso nido di zanzaroni, da lo quale uscirono bestie grandi più di uno gatto con pungiglioni in grado di conficcarsi in profondità et assai ardui et dolorosi da estirpare. Dopo una cruenta lotta li eroi ebbero infine la meglio contro uno gran numero di creature et riuscirono a far franare li ingressi de lo nido, se non altro indebolendo per un po' la presenza de li malefici insetti ne li pressi de li scavi.
Vardu si palesò poco tempo dopo, lasciando loro lo dubbio che fosse stato lì a gustarsi la scena de li eroi impegnati a disinfestar la palude prima di decidersi a condurli da lo suo Re.

Re Borgotto attendeva in una grotta su lo fondo di uno scoscesissimo dirupo, da lo quale i nostri faticarono a discendere senza farsi uno sonoro ruzzolone. Superata una tela di ragno argentea, che a lo Peregrino puzzava tanto di trappola, non fossero stati attesi, si ritrovarono in un'ampia sala illuminata da pietre evanescenti ed ad attenderli seduto su uno ghiotto trono di roccia et smeraldi v'era lo Gnefro più grande finora visto, anche se solo il secondo, lo capo di tutti quelli che invisibili continuavano attorno a loro a lanciare gridolini et dilettarsi in antipatici dispettucci.
Quando lo Re zittì tutti volle infine ascoltare la proposta de li umani.
Lo Magistro et li suoi compari furon sinceri et convincenti, seppero ben descrivere la situazione et la soluzione che avevano ideato et Re Borgotto alfine acconsentì a dischiuder loro lo passo per lo complesso di cunicoli in cui giacevano sepolti li pipistrelli verdi da lo guano tanto agognato. Non volle invece saperne di lasciar loro uno de li suoi smeraldi, che soltanto in seguito scoprimmo non aver comunque alcun valore fuori da le grotte gnefre dato che splendono et rifulgono solamente grazie ad uno incanto illusorio che presto svanisce lontano da li piccoli omuncoli fatati suoi artefici.
La fine de la intera faccenda era lontana soltanto pochi lenti, cauti et decisi passi ne la oscurità pressoché totale de le profondità de lo sottosuolo, che però li nostri scoprirono ricchi di insidie oltre ogni loro aspettativa.

Per muoversi più cautamente et causar minor fermento tra li verdi mammiferi volanti, Alburno aveva convinto li suoi compagni a liberarsi de le pesanti armature metalliche, ma non poteva immaginare che terribili viticci et radici animate avrebbero teso loro uno agguato mentre strisciavano tra cunicoli seguendo lo via via crescente odore di guano. Frandonato a suon di padellate et Giacollo con la spada seppero tranciare le lignee appendici ostili ma Galvano venne terribilmente ferito da una poderosa sferzata et quasi ci lasciò le penne.
Quando la pugna fu finita lo Magistro, incapace di porre rimedio a la copiosa emorragia interna, fece ricorso a la sua Crisopea che venne completamente consumata da lo sforzo arcano prima di riuscir a far tornare eretto lo cavaliere. V'è da dire che la pietra filosofale di Alburno è veramente uno miracolo de la scienza alchemica, et anche se completamente esaurita ricominciò a brillare dopo appena qualche girodì trascorso ben esposta a la diurna luce de lo sole.
Con Galvano un po' malconcio, Frandonato vigoroso ma ingombrante, Giacollo ancora inesperto et lo Peregrino coraggioso ma rallentato da la necrosi che durante la caccia a la Lupa Abba lo aveva reso zoppo, toccò proprio a lo mio intrepido mentore intrufolarsi ne lo camino naturale che, in fondo a la via, faceva da tana a li tanto temuti et agognati pipistrelli verdi.

Lo sciame sembrava dormire in una miriade di anfratti larghi mezzo cubito che tempestavano le pareti de la grotta cilindrica. Lo puzzo di guano era talmente acre che tutti dovettero tirar su lo bavero di tuniche et mantelli et assistettero tesi mentre Alburno strisciava lontano da loro, tazza in mano, per raccogliere quanto necessario.
Inizialmente tutto sembrò andar bene, le bestiole riposavano per nulla infastidite da la sua presenza et lo guano fresco era a portata di mano, ma poi, forse per la fretta di raccoglierne di più o per aver raschiato su la roccia più de lo necessario, uno stridulo rumorino fece accadere il finimondo: in appena pochi istanti la caverna si riempì di verdi creature alate, non più grandi de li neri parenti di superficie ma in quantità tali da far scomparire lo Magistro a li occhi de li compagni.
Venne morsicato da dozzine di dentini aguzzi mentre le bestie lo ricoprivano, lo schiacciavano et iniettavano lo loro veleno paralizzante ne le sue carni già provate da la malattia... eppure Alburno, baciato da la buona sorte che assiste solo li più audaci, seppe resistere et sfoderata la sua ultima ampolla inondò di verdi fiamme inestinguibili la grotta intera, disperdendo lo sciame mortale et riapparendo a li suoi compari come eroico raccoglitore de li escrementi che avrebbero infine salvato la città di Nirte.

Lo finale de la vicenda andò quasi come previsto.
Lo Magistro et io lavorammo la notte intera per produrre la Magna Potione de Digestione Universalis et, nonostante le febbri avessero debilitato parecchio lo mio mentore, seppi assisterlo et guidarlo verso lo giusto dosaggio.
Lo mattino successivo ne facemmo dono a lo Drago Tyrus che scorreggiò, vomitò et scaricò badilate di merda fetente ma poi iniziò subito a sentirsi meglio et volle ringraziare li suoi salvatori con nientepopodimeno che uno suo molare cavo, da le fattezze di corno, che avrebbero potuto utilizzare per richiedere lo suo soccorso in una singola occasione, qualora ne avessero necessitato.
Soltanto pochi girodì a seguire le condizioni de la malsana aria di palude migliorarono, le genti di Nirte et lo stesso Alburno iniziarono a sentirsi meglio et avemmo le prove che lo incarico era stato effettivamente portato a termine senza effettivi spargimenti di sangue gnefro o draconico.
Garbunzio Pollastrani ricompensò li eroi con lo oplo di platino loro promesso più la Lama delle Tre Dita, una spada di fattura eccezionale forgiata da lo eccelso Giselmondo Roccapizzuta in persona et martello..
Li eroi vennero festeggiati come meritavano ma proprio su lo più bello si palesò una ultima, inattesa minaccia. Lo mistico aratro de li Frati Scavoni era stato attivato da uno furioso Fra Cazzuola, indispettito perché la consulta cittadina aveva deciso di non pagarli dato che lo loro lavoro non era più richiesto, ma ora era senza controllo et rischiava di scavare lo solco che avrebbe inondato lo declivio in cui vivevano li Gnefri, vanificando così li sforzi de li eroi.
Lo Peregrino et Frandonato corsero come lo vento, si inerpicarono tra le possenti ruote et fecero in ultimo cambiar rotta a lo artefatto impazzito, di fatto causando comunque una inondazione, ma di una gola vicina, senza nuocere a nessuno et creando di fatto le rapide che oggi sono note in tutta Laitia come la Cascata della Moremma.