lunedì 10 agosto 2015

El Cerdo de agua



El Cerdo de Agua solcava dritto la linea dell’orizzonte il sole si apprestava verso il lungo desio che lo avrebbe portato a svanire dietro la linea del mare, gli occhi arrossati avevano finalmente un po’ di  riposo, dalla la luce accecante riflessa sull'acqua del pieno giorno e dalla salsedine che andava ad increspare ancora di più le pieghe ben visibili intorno agli occhi anche del più giovane dei mozzi. La vita di marina era una vita dura, difficile da sopportare, Juan Do Santos ne aveva visti di compagni morire per chissà quale febbre, ed altrettanti impazzire per gli interminabili viaggi, quei pochi che erano riusciti a sopravvivere allo scorbuto o erano finiti nelle fauci di uno squalo o trafitti dalle sciabole incrostate di sangue di qualche pirata. Ormai erano anni che guidava tra quelle acque lo sloop battente bandiera di sua maestà il Re di Spagna. Il Cerdo era vecchio, rattoppato, eppure su ogni centimetro di quel legno Africano c’era intarsiata una storia, storia di chi aveva versato sangue e sudore. In effetti era usanza sulla nave di intarsiare una sigla proprio sul parapetto che divideva il castello di poppa dal ponte. Quella sigla ricordava all’equipaggio di compagni caduti, che avevano servito lì ed ora a servizio presso altre imbarcazioni o nelle poche e fortunate ipotesi ritiratisi in qualche colonia alla bella vita. Per apporla si doveva dimostrare di esserne degni, era una sorta di rito di iniziazione voluto fortemente dal capitano Do Santos, un uomo imperscrutabile, con gli occhi color ghiaccio ma un sorriso che lasciava il segno, nel bene e nel male e tra le due tipologie c’era veramente un mare di emozioni intermedie. Il Capitano Juan era nato a bordo di una nave, e cresciuto a bordo di essa, la puttana che lo aveva sputato fuori doveva finire a Madrid proveniente da Gran Roque, era talmente bella, anche in dolce attesa, che il governatore della cittadina aveva deciso di portarla alla corte del Re di Spagna, affinché incrementasse le sovvenzioni per le colonie soprattutto la sua.

Eppure Magdalena non sopravvisse al parto, stremata da un lungo viaggio e provata dalla cattiva alimentazione a bordo di una nave. Il capitano del vascello che la trasportava, nonostante si fosse infuriato ed avesse protestato contro il governatore di Gran Roque dovette obbedire agli ordini ed imbarcarla, nonostante fosse incinta, non prima però di avvertirlo che lo avrebbe ritenuto responsabile in caso qualcosa fosse andato storto direttamente presso il Re. Dopotutto i corsari spagnoli al servizio di Sua Maestà Carlo II di Spagna seppur non ufficialmente, provenivano tutti dalla regia marina e vantavano un educazione ben al di sopra del normale marinaio, per questo erano temuti e rispettati ma soprattutto ascoltati, di solito



Impietositosi per quel bastardo a cui la bellissima Magdalena aveva dato la vita non ebbe il coraggio di gettarlo in pasto ai pescecani, lo consegnò alle cure amorevoli della sua schiava personale e raggiunta l’età giusta lo prese come mozzo sul vascello. Per il Capitano Do Santos il Cerdo era tutto, era la sua casa, la sua infanzia perduta, ed il luogo dove lavorava Si sarebbe fatto amputare un braccio pur di non farlo affondare, e c’era andato vicino più di una volta. Juan assorto nei pensieri scrutava il sole che stava per svanire verso ovest quando un grido dal posto di vedetta squarcio il silenzio surreale di quel tramonto su mare piatto: “Nave a Babordo in linea di intercetto “….

Superumano




Labor era il responsabile della sua trasformazione, il fulcro del complesso susseguirsi di eventi che l'avevano reso ciò che era: un ibrido la cui carne è fusa all'acciaio.
Moses si sarebbe definito un Superumano per distinguersi da quelli che la gente ignorante del Nono Mondo appellava subumani.
Aveva scoperto di non essere l'unico esperimento del Ministro Eone, l'energumeno selvaggio che rispondeva al nome di Kun-kunis presentava molte delle sue stesse caratteristiche, anche se sembrava pesantemente improntato alla violenza e potenza fisica. Era lampante per entrambi il potenziale di ciò che racchiudevano, l'assoluta perfezione a cui potevano anelare, forse semi-divinità di uno dei mondi precedentemente perduti, essi stessi potevano essere considerati dei Numenera senzienti.

Moses scopriva se stesso giorno dopo giorno, per questo non gli importava dove andasse, per questo cercava l'avventura, il rischio, le fonti di potere. Aveva capito che i ricordi della sua vita precedente in qualche modo entravano in conflitto con la porzione cibernetica del suo cervello, non aveva alcun interesse pertanto a forzare quel blocco per ora, col tempo il problema si sarebbe risolto da se, inutile insistere ora, inutile domandarsi. Qualsiasi cosa gli avessero fatto era chiaro che ogni legame con la sua vita precedente era scisso, rendendo irrilevante la sua infanzia e importante soltanto il suo futuro.
Trovava eccezionale la capacità di riprogrammarsi, scoprendo dentro di se nozioni inerenti campi che il giorno prima ignorava completamente. Trovava galvanizzante la perfezione del suo fisico, la durezza dell'acciaio e la tonicità della sua muscolatura in grado di assorbire senza alcun danno gran parte dei colpi subiti.
Cercava di non darlo a notare, ma si considerava a tutti gli effetti un Essere Superiore.
Eppure il cammino per la perfezione era appena iniziato. Moses era al corrente anche dei suoi limiti, delle barriere che avrebbe dovuto infrangere e lentamente iniziava a figurarsi un modo per farlo. Era chiaro che il corpo di acciaio che aveva ricevuto in dono era stato progettato per evolversi, l'aveva capito sin dalla prima volta che aveva rimosso la placca toracica, scoprendo innesti e nuclei energetici non collegati su cui già aveva iniziato a lavorare nelle ore di riposo durante il viaggio.

Aveva subito alcune ammaccature, la corazza di pelle di bestia aveva retto bene anche l'ultimo, pesante impatto, la carne presentava qualche ematoma, un paio di graffi, ma i riflessi meccanici l'avevano fatto uscire quasi indenne anche da quell'ultima, estrema minaccia.
Scostò un paio di massi residui della frana e si rimise in piedi. Kun-kunis sembrava aver preso in pieno petto una roccia gigantesca, era danneggiato ma perfettamente in grado di rimettersi in piedi, erano simili dopotutto. Jamal il telecineta aveva dato un'altra eccezionale prova del suo talento deviando i massi in arrivo su di lui, sembrava completamente incolume. Jester era giunto seriamente provato dall'agguato dell'automa ma aveva retto stoicamente anche l'assalto dei predoni e ora riemergeva sulle sue gambe dopo essersi protetto dietro al suo massiccio scudo.
Con compagni come questi cosa avrebbe potuto fermarlo?
A terra i cadaveri dei subumani mostravano la netta differenza tra creature più simili alle bestie ed esseri eletti come loro, destinati a grandi cose.

Moses avrebbe evitato volentieri il combattimento, ma avevano avuto poca scelta. La prima imboscata era stata facilmente convertita in una strage, mentre il secondo assalto era impossibile da evitare una volta scoperti e avrebbe ora complicato il resto dell'esplorazione. Eppure l'adrenalina dello scontro lo esaltava: il rumore secco, metallico dei suoi arti che si attivavano in un istante e scattavano in un impeto inarrestabile seguito dallo schiocco secco delle ossa del collo del nemico spezzate da un singolo colpo, lo stridere del metallo delle asce smussate del nemico, in grado di lacerare l'armatura ma subito dopo bloccate dall'acciaio della sua placca toracica che alla fine non riportava nemmeno l'ombra di un graffio. Quanti ancora di loro sarebbero dovuti perire prima di comprendere la futilità delle loro azioni se non delle loro stesse vite?

L'intero gruppo marciava senza sosta da un paio di giorni, era fisicamente provato e aveva dato fondo alle sue riserve di energia durante entrambi gli scontri, inoltre alcuni di loro erano feriti più seriamente, un altro attacco adesso avrebbe potuto essere una minaccia più seria, era necessario trovare un luogo sicuro e riprendersi.

La meta era nota e anche il loro nemico "Kurt" sembrava essere una vecchia conoscenza del combattivo Jester, sarebbero andati a stanarlo ma non dovevano sottovalutare la situazione e farsi cogliere per la terza volta impreparati.
Quella cupola di metallo tra i picchi oltre la valle era la loro destinazione. Rovine ancestrali nei terreni di caccia dei subumani, sorvegliata da automi metallici e presidiata da un umano a capo di una banda di predoni, nascondiglio di chissà quanti tesori e apparecchiature dei mondi precedenti.

Per Moses questa era proprio il tipo di sfida degna di un Superumano.