sabato 13 maggio 2017

La maledizione dell'Alchimista (Atto 1)

Alla fine arrivammo in quel di Ertama
per cercare gloria et fama

La calura era tanta come lo era la sete
deserto lo borgo, fontana con acqua fresca, ben presto cademmo nella rete

Lo tranello de lo Alchimista ci colse in pieno
iniziammo ad intervallar parole e "Piripì" senza n' freno

Alla locanda trovammo no vendramino mbriaco perso
a capicce quarcosa riuscimmo tra biaschichi senza senso

Ce preparammo per l'arrivo de Tarquinio er maledetto
che ce fregò l'ambra sotto ar naso con n'infame scherzetto

De Epirone da Piretro trovammo la magione
cercanno de trovà na cura pe sta maldezione

Du bronzi de Batrace ce sbarravan la strada
Frandonato tenne botta, Tristano aprì la porta nel tempo de na sciarada

Lo malanno sembrava peggiorar co lo tempo che passava
cercammo cose utili ne la casa che di merda puzzava

Alburno trovò no strano incartamento
ma per interpretarlo fu no tormento

Trovammo la discesa pe li fossi
scennemmo con cautela per non rompese l'ossi

Incontrammo no strano esserino puzzolente
con un sacrificio de Tristano ricevemmo un pezzo di mappa fetente

Ci dirigemmo verso la cava dei ragni ramati
ben presto finimmo nella loro trappola nsalamati

Quando il momento fu tragico et disperato
Alburno risolse in leonina figura tramutato

Ce fermammo per curar le ferite e la fatica
rimpiangei di aver lasciato la via a me amica

Ci inerpicammo pe la strada dalla mappa indicata
per rincuorar lo mulo dovetti sonà na ballata

Mentre incedevamo con fatica pe li cunicoli scavati ne li sassi
Galvano lo cavaliero, forse senza macchia, ce raggiunse a grandi passi

Arrivammo a na sala ovale co no drago de pietra nera torniata
no corpo bruciato ancora rannicchiato e n'altare co na gemma sopra appoggiata   

Non emmo lo tempo de studià la trappola infuocata
che Rafiseno e Frandonato rischiarono de fa del gruppo na grigliata

Recuperata la gemma ce avviammo verso l'antro successivo
e ce chiudemmo dietro la porta massiccia d'ulivo

Li funghi sapevo fosser leggeri
ma n'immaginavo volasser così fieri.









(fine primo atto )



La Tomba di Laitiano



Vogando e sudando lo stretto navigammo
scandiì lo tempo a li compagni ed arrivammo

Lo lido celato nella grotta oscura stava
scennemmo dal natante mentre la cascata spruzzava

Due creature di acqua ci aggredirono
con due furmini perirono

Ci inerpicammo per le ripide scale ed i cunicoli
esplorammo, saccheggiamo, cademmo ed evitam fine da ridicoli

Le prove pe l'Enotria ce furon offerte
per ingraziasse de Laitiano lo favore accettammo solerte
In quanto degni de Enotria dovemmo la patria difende
attaccammo lo Re degli Ausoni per evitar de dovesse arrende

La battaglia fu grande et sanguinosa
Ausone lo Re cadde ed in eterno ormai riposa

Nella battaglia purtroppo me legnaron sonoramente
come na puzza de cane divenni evanescente.


sabato 6 maggio 2017

Errando per Laitia - Episodio 20

De Etamar, li Fossi et Piripi

Laitia in estate è splendida, da la Gelatodia a la Bralacia lo sole sontuoso irradia coste et monti, laghi et piane, villaggi et selve, riscaldando et sciogliendo le gelide nevi, scacciando le abbondanti alluvioni et violenti acquazzoni, rinverdendo le folte chiome de li alberi lasciati spogli da lo rigido inverno et durante lo nostro peregrinare lungo la Via Gulpia seppe tenerci caldo et compagnia ne lo arco de le lunghe et luminose clessidre trascorse in viaggio tra la alba et lo vespro.
Li borghi di collina et montagna godono de lo clima ideale, abbracciati da caldo tepore et accarezzati da rinfrescanti brezze estive. Lungo le coste li laitiani invece sono soliti refrigerarsi ne le acque de lo mare, da lo Missogeo a quello Ilcisio.
Et infine vi sono zone meno fortunate, lontane da li piacevoli venti et da copiose riserve idriche, ne le quali li inverni sono duri ma le estati non sono da meno visto che la afa et siccità ne fanno loro regno et la gente che vi vive si abitua sino da la tenera età a trovare rifugio et sostentamento ne li luoghi più impensabili.

Sfortunatamente nessuno di noi possedeva le doti et competenze adatte a la situazione et come se non bastasse lo Magistro Alburno si astenne da lo dispensarci li suoi inestimabili consigli rimanendo per tutto lo viaggio rinchiuso ne la sua carrozza da la quale uscirono ininterrottamente fumi alchemici multicolori ogni girodì, intento ne lo perfezionamento di una nuova, incredibile, scoperta.
Arrivammo ne le vicinanze de lo borgo roccioso di Etamar schiacciati da la calura, madidi di sudore et arsi da la sete ne le clessidre più interminabili et torride che io possa ricordare ne la mia ancora giovane esistenza; li profili de li muri, li tetti, le torri et le ombre da essi proiettati ci invitavano allettanti ma trovammo alquanto strano non incrociare anima viva ne lo nostro appropinquarci a li vicoli stretti.
Lo Peregrino Scarlatto coraggiosamente ci precedette in avanscoperta, raccontandoci poi de lo bizzarro et fugace incontro con uno singolo anziano abitante le cui risposte vaghe sembravano formulate in una lingua a noi sconosciuta. Reputata comunque la situazione sicura, ancorché strana, decidemmo di non indugiare et varcammo le porte de la città precipitandoci a dissetarci con le copiose et fresche acque che sgorgavano da la fontana ne la piazza antistante, ove Rafiseno ebbe addirittura lo ardire di immergersi.
Etamar continuava ad apparirci deserta et lo timore di essere finiti in trappola finì di lì a poco per sostituire lo ricordo de la arsura patita.

Lo primo che seppe darci spiegazioni fu uno vendramino completamente brillo di nome Remì che incontrammo ne la prossima locanda ove cercammo vitto et alloggio, egli ci rivelò che le acque di Etamar erano state maledette tempo prima proprio da lo illustre arcanista che andavamo cercando: lo Magister Epirone da Piretro.
La maledizione era alquanto infame ma volutamente non letale. Lo alchimista condivideva con Alburno la fastidiosa condizione di non essere rispettato come appropriato per uno uomo di grande potere et siffatta levatura intellettuale, et mentre lo Magistro veniva sovente preso in giro su la sua età, appellandolo anziano per via de la sua integerrima morale et lo grigiore prematuro de la sua ancora folta chioma, lo arcinoto Epirone da Piretro veniva deriso a causa de lo suo nome, sentendosi chiamare Piripicchio con tono scettico et dispregiativo sia da li popolani ignoranti che da li altezzosi signorotti locali.
Stufo de li continui bisbigli, spiegò Remì tra uno calice et lo altro di buon vino rosso, lo alchimista aveva scagliato uno astuto et spietato incanto su le acque cittadine, facendo si che chiunque le bevesse andasse a perdere con lo passare de lo tempo la facoltà di favellare in laitiano, farfugliando al posto de le comuni et note parole solamente uno confuso "Piripi" senza neppure rendersene conto.
Inutile dire che, assetati come eravamo, ci ritrovammo tutti sotto scacco et lo trovare la ultima ambra et lo suo cesellatore divenne contingente a lo rinvenire una cura per lo nostro male.
Etamar quindi si rivelò abbandonata da li suoi abitanti oramai non più in grado di comunicare lo uno con lo altro et Remì, furbescamente, era lo unico rimasto; libero di fare li suoi comodi beveva vino invece che acqua et, sebbene perennemente ubriaco, era lo unico a non essere ancora maledetto.

Tra uno "Piripi" et lo altro trascorse più di uno girodì, ne lo quale raccogliemmo provviste et rinforzammo uno robusto casolare ne lo quale barricarci in caso di attacco da parte de lo nostro instancabile inseguitore Tarquinio de Belloveso, poi iniziammo a cercare la soluzione de lo problema più impellente.
Epirone da Piretro era magister et primo esponente de li insegnamenti ancestrali di Ermete Trismegisto, et praticava la più scientifica de le arti arcane in quella che era nota come Scuola de li Fossi. Pensammo di iniziare da lì la ricerca et pensammo bene.
Lo cancello su la via conduceva ad uno chiostro interno, ove li studiosi solevano probabilmente passeggiare et disquisire de le loro ricerche et scoperte, da qui uno unico, massiccio portone conduceva a lo edificio interno, dimora et studio de lo deriso Piripicchio.
Lo nostro incedere venne inizialmente arrestato da due possenti guardiani, statue bronzee da lo nerboruto corpo di uomo et testa di rospo, che lo colto Alburno riconobbe come Tideo et Anfiaraio, li Bronzi di Batrace, opera scultorea antica assai rinomata et a quanto pare persino incantata!
Una volta capito come superarli senza combattere (giacché vi è modo per placarli ma non mi è concesso rivelarlo) grazie ad una eccellente intuizione di Frandonato, le porte de la Scuola de li Fossi ci furono spalancate.

Lo Magistro Alburno emerse assai soddisfatto da lo laboratorio di Epirone, avendo rinvenuto diversi tomi interessanti, formule et ingredienti, oltre che una fondamentale indicazione su come estirpare lo dannato "Piripi".
Usando uno complesso rituale arcano et alchemico erano stati infatti posti quattro glifi, uno per ogni elemento, in punti specifici ne li pressi de le falde acquifere sottostanti, et lo ultimo, ne la fonte, sigillava lo malefico incanto. Li glifi andavano rimossi uno ad uno et la formula magica, nascosta in piena vista, pronunziata al fine di spezzare lo ultimo sigillo.
Da Remì scoprimmo poi che in Etamar circolavano numerose leggende circa uno complesso di gallerie sotterranee, scavate in profondità ne lo suolo roccioso, chiamate I Fossi, che, antiche et misteriose come Rarte stessa, contenevano segreti da tempo dimenticati et la chiave stessa de la vendetta di Piripicchio.
Uno de li ingressi segreti era fortunatamente nascosto proprio ne lo laboratorio de lo permaloso alchimista, non abbastanza bene da sfuggire a la accurata analisi che lo scrupoloso Alburno aveva meticolosamente effettuato.
Per la mia incolumità lo Magistro mi ordinò di rimanere in città, protetto da Galvano, mentre li altri si sarebbero avventurati ne le profondità de la terra, in cerca di ambre, glifi et illustri alchimisti burloni.