martedì 15 dicembre 2015

Il Grido del Rapace




Il gelido vento penetrava nelle ossa di Warwic, l'attesa nella foresta non avrebbe aiutato con un clima così rigido, i suoi compagni sparsi sapientemente all'incrocio poco prima dell'entrata nella tenuta dei Buchvold, tutto era pronto per la riscossione del debito con Pate.
Il momento di ripulire il nome della banda dello Straniero era finalmente giunto, era arrivato il momento di ridare il senso che avrebbe dovuto avere alla banda di Pate. Le bande si erano formate liberamente ed autonomamente per richiedere con i fatti un indipendenza ed un trattamento più equo per la popolazione gundarakita, era stata tentata la via diplomatica ma senza successo, a pochi dopotutto importava il destino di una minoranza seppur corposa del popolo di Barovia. Poco importava se quella minoranza erano in effetti i veri abitanti indigeni del luogo. Così pochi valorosi decisero di formare delle piccole bande per impegnare dove possibile gli eserciti del Conte, i primi successi, dovuti principalmente al fatto che fossero battaglie inaspettate ed alle quali l'esercito di Barovia non era pronto, diedero gran voce a quell'ideale. L'esempio della banda dello Straniero fu da stimolo per la vessata popolazione gundarakita, e la banda raddoppiò il proprio numero ed i propri sostenitori. Le bande così come erano conosciute nella valle del Gundar erano organizzazioni con un fine, con un ideale, che rispecchiavano il fiero popolo gundarakita e che miravano alla sua indipendenza. A seguito degli eventi tristemente noti e della persecuzione delle stesse bande, le stesse dovettero disperdersi, portando con se gli ideali che le avevano formate.

Di tutto questo Pate non proseguì nulla, quel mezzo cane bastardo, convinse e riunì un manipolo di delinquenti e disperati e si proclamò imperatore degli straccioni, andando ad occupare un posto che non gli competeva e strumentalizzando il concetto di banda per i suoi loschi fini criminali. 

Warwic nel freddo e nella lunga attesa pensava a come tutto questo fosse stato possibile, a come un mentecatto avesse avuto modo di continuare ad esercitare tale attività, era chiaro che fosse in combutta con qualcuno, che qualcuno avesse dato il proprio benestare, altrimenti gli eserciti del Conte avrebbero potuto spazzare via quella feccia senza esitazione ne perdite. Ma ancora una volta l'interrogativo pesante riecheggiava "A chi in realtà interessava il fato della povera gente gundarakita ? ". Non erano questi i problemi a cui Barovia doveva oggi pensare, era piuttosto una cospirazione nata dal suo stesso ventre, alimentata dal suo flaccido seno e fomentata da un morbo di antica era, una "malattia" che non conosceva padroni ne riconosceva ideali se non quello della propria esistenza e prosecuzione della propria progenie.

Warwic doveva ogni notte mandare giù quell'amaro boccone, la libertà del suo popolo raggiunta grazie ai "notturni", come a lui piaceva definirli, raggiunta solo ed esclusivamente grazie a loro, un prezzo molto alto al quale i comandanti della rivolta della valle del Gundar dovevano far fronte. Warwic eseguiva gli ordini come ogni altro soldato, sebbene di soldato aveva ben poco, ma non poteva far a meno di avere un peso sulla sua coscienza. Lo definiva un salto dalla brace alla padella, e quindi un miglioramento, aveva imparato che le rivoluzioni non si costruiscono dal nulla, e lo aveva imparato sul sangue dei suoi fratelli ed amici.

Non era stata una vita facile quella del giovane Maestro, era cresciuto con la morte nel cuore, ad iniziare dalla sua stessa famiglia che lo abbandonò fin da piccolo, si era sempre chiesto chi fossero e dove questa vena artistica che albergava in lui avesse avuto origine, erano troppo oscure le nebbie intorno al suo passato né oggettivamente aveva avuto un momento di calma per pensarci, nè tanto meno per indagare sulla sua vita.

Il combattimento si svolse freneticamente, benché non tutto andò come programmato, le ottime abilità dei suoi compagni si rivelarono preziose, così come il loro sapiente uso della trama e non mancò nemmeno la fortuna ad assisterli, in pochi minuti Pate era agonizzante in terra. Un forza improvvisa permeo la mente ed i pensieri del bardo, le sue mani tremavano dalla rabbia, il dolore gli diede la forza di non vacillare. Mentre la corda tesa vibrando rilasciava la mortale freccia un suono vibrò nell'aria e ben presto si tramutò in un sibilo sussurrante antiche parole. La loro musicalità lasciò di stucco Mastro Warwic, mai avrebbe potuto comporre versi di tale linearità, mai nella sua vita avrebbe potuto eguagliare i suoni di quella lingua incomprensibile, eppure nella sua mente risuonavano le parole del giuramento e le sue labbra lo ripeterono afone per non disturbare quel suono che sospinse la freccia fin dentro l'orbita oculare del Segugio, di fatto concludendo la Vendetta.

Warwic rimase attonito per lo spettacolo di cui si sentiva spettatore più che esecutore, benché la sua perizia con l'arco, seppur non dichiarata era ben al di sopra della normalità, mai avrebbe potuto scoccare con tale precisione, mai aveva visto una delle sue frecce descrivere una parabola tanto precisa quanto inumanamente perfetta la rotazione con la quale vibrava nell'aree.

L'arco era ben più di quel che gli era stato detto, quell'arco quasi gli sussurrava all'orecchio, aveva quasi una sua volontà, ma il bardo impugnandolo non riusciva a considerarlo uno strumento esterno bensì come parte delle sue articolazioni, un estensione del suo stesso braccio. Il dolore lo sprofondò in un umore grigio e nero, benché fosse stato vendicato in quel preciso momento il lutto per la morte di Rannarth lo pervase completamente, come una diga che si infrange per il vigore di un fiume, la diga che tratteneva le sue emozioni si polverizzò, cercò di contenersi ma scoppiò in un pianto liberatorio, del quale non volle mettere a conoscenza i compagni. Per questo si defilò e dovette prendersi qualche minuto per tornare in se stesso. 

La razionalità tornò sovrana dei suoi pensieri e gli suggerì che non c'era tempo da perdere il resto della banda andava sgominato.    



lunedì 7 dicembre 2015

L'Ultimo Volo dell'Aquila




La trovò rannicchiata in un fosso, inerte, tumefatta, con le vesti lacere e ricoperta del suo stesso sangue rappreso. Rannarth temette che fosse morta.
Aveva seguito le ultime istruzioni dello Straniero, aveva condotto i suoi ranger al sicuro, preparandoli a difendersi al Pinnacolo dal nemico in avvicinamento, ma non era riuscito a rimanere lì con loro ad attendere al pensiero che lei non aveva ancora fatto ritorno.
Ridiscese a valle da solo, cercandola disperatamente, seguendo le indicazioni che la stessa Leda aveva condiviso prima di mettersi sulle tracce di Pate.
Il Segugio era quello della banda che si trovava più a suo agio in ambienti urbani, nascosto tra la folla piuttosto che nel fogliame. In qualsiasi borgo persino l'Uccisore avrebbe avuto più difficoltà di azione, non potendo invaderlo apertamente con il suo esercito di spiriti dannati; eppure anche Pate andava avvertito, andava messo in guardia. La banda era stata tradita: il nemico conosceva ogni loro nascondiglio, ogni rifugio e punto di raccolta, i nomi di tutti i Capocaccia.

Tre giorni dopo la sua partenza Leda era lì, riversa in terra ed in fin di vita.
Rannarth la individuò grazie alla vista acuta di Itzya, la regina del suo stormo, sollevò la ragazza tra le braccia e le baciò la fronte, poi intraprese nuovamente il cammino verso le montagne.
Sostò al vecchio Campo Roboris, dove il Grande Cacciatore riorganizzava una squadra di volontari:
"Galiena e i suoi sono caduti, Vas e gli altri esploratori non hanno fatto ritorno. Cosa è successo alla ragazza? Che ne è di Pate?"
"Non lo so Hugo, ma intendo scoprirlo, è viva per miracolo. Del Segugio nessuna traccia, spero sia riuscito a dileguarsi almeno lui."
"Attireremo l'Uccisore a nord, daremo il tempo agli altri gruppi di radunarsi e nascondersi e attenderemo lo Straniero come da programma, hai bisogno di una scorta?"
Rannarth scosse il capo: "Ho occhi su tutta la valle, raggiungerò i miei sui monti e ci barricheremo al Pinnacolo, devo prendermi cura di Leda."
"Allora buona fortuna amico mio, ci ritroveremo al ritorno dello Straniero oppure saremo di nuovo compagni di caccia nelle sconfinate foreste dell'aldilà. Qualsiasi cosa succeda, non permettergli di strapparti l'anima..."
"Mai fratello e nemmeno tu!"

Con passo lento ma fermo, attraverso sentieri che molte guide definivano impercorribili, Rannarth portò in spalla Leda fino alle vette dei monti Sawtooth.
Itzya ridiscese dal cielo in tempesta recando infauste notizie: nel becco stringeva un frammento di stoffa grigia e verde dei ranger dei monti intrisa di sangue. Di lì a poco le prime impronte, in salita ed in discesa, di un nutrito gruppo di persone.
Rannarth aveva bisogno di tornare nel rifugio per medicare Leda, pur sapendo che sarebbe potuto finire in una trappola mortale, ma fu sollevato dal dover prendere una decisione quando di fronte a lui si palesò il nemico.
Percepiva lo sguardo della creatura su di se, nonostante l'elmo fosse un teschio metallico privo delle orbite. Il silenzio fu rotto dopo lunghi attimi di tensione dal Maestro delle Aquile:
"Sei qui per me."
La voce dell'Uccisore era atona e metallica: "Soltanto per te, se è quello che ti preme sapere."
"E allora perché sterminare tutti gli altri?"
"Perché ho subito delle perdite e mi servivano rimpiazzi."
"Voglio che la ragazza viva."
Il nemico si fece di lato, liberando la via per il Pinnacolo. Rannarth la percorse e ad ogni passo sentiva gravargli maggiormente il peso della disfatta, l'avvicinarsi della sua ora, man mano che attorno, tra la neve e le rocce, si affacciavano i volti svuotati della vita e dell'anima dei suoi compagni di un tempo, ora marionette in mano all'Uccisore.

Nessuno dei suoi ranger era morto nel capanno di caccia sulla cima del monte, avevano tutti perso la vita combattendo o forse qualcuno, si augurava Rannarth, era riuscito a scampare sia alla morte che al ben più crudele destino che il nemico riservava loro.
Adagiò Leda sul giaciglio e accese il fuoco, lasciò accanto a lei coperte e ciò che avrebbe potuto utilizzare per medicarsi al suo risveglio. Tornò all'esterno privo di ogni arma.

Il Pinnacolo era un gigantesco sperone di roccia sulla sommità del monte, un trampolino sul vuoto con la magnifica cornice dei monti innevati tutto attorno.
Rannarth percorse la roccia e percepì verso metà la presenza del nemico alle sue spalle, si volse per affrontarlo:
"Manterrai la parola?"
"Morirai senza combattere?"
"Non avrai la mia anima."
"Gli accordi sono per la tua vita e quella degli altri comandanti."

...

L'Uccisore percorse i pochi passi che lo separavano dal ciglio del Pinnacolo e si affacciò oltre l'orlo.
Non ci fu nulla di epico né poetico nell'osservare attraverso l'elmo del teschio senza orbite il corpo del Maestro delle Aquile sfracellarsi al suolo, centinaia di metri più in basso.

domenica 6 dicembre 2015

Gelo e brama



Vassily riaprì gli occhi al buio, il respiro affannato: il freddo mordeva le sue carni come artigli di una fiera mentre penetrava sino al midollo. Bloccato sotto una slavina di neve, contuso ma vivo, cercò di muoversi all'impazzata nel tentativo di liberarsi mentre il panico cresceva dentro di lui. Non poteva morire così, aveva sempre immaginato di morire in mille altri modi:  pugnalato alle spalle da un presunto alleato, torturato da uno dei nemici dei Romanov, giustiziato per uno dei suoi tanti crimini, divorato da una delle immonde creature del Conte, persino avvelenato o ucciso nel sonno da una laida donna dopo aver giaciuto con lei. Tutti modi più consoni alla sua vita da sgherro, da bastardo cresciuto a pane, furti e coltelli: tutte morti cruente, infami, velate da tradimenti, complotti e scontri. Ma una morte così banale, come quella di qualunque commerciante sprovveduto colto dal maltempo, non l'aveva proprio mai immaginata.



Non si sarebbe arreso facilmente, non era nelle sue corde di bastardo,  avrebbe lottato fino al suo ultimo, gelido respiro. Iniziò a scavare come un indemoniato con le mani, la neve gli arrivava sul viso, nella bocca aperta mentre urlava chiedendo aiuto, congelandogli il fiato sin dentro i polmoni. Scavò per lunghi interminabili minuti finché le sue mani, ormai ridotte a pezzi di ghiaccio insensibili e mero strumento di salvezza, non grattarono via l'ultimo strato di neve. I suoi compagni videro la sua mano guantata spiccare nella neve e lo tirarono fuori, mezzo congelato, ferito e distrutto ma vivo. Aveva ancora tempo per morire in un modo a lui più consono.


Continuarono la loro marcia nella bufera, con tre cavalli in meno, con Feldon più morto che vivo a causa della slavina che li aveva sorpresi, finché la fortuna non arrise loro nella forma di un casino di caccia. La porta era mezza scardinata ma per il resto il rifugio era quanto di meglio si potessero augurare per trovare riparo dal freddo.

Mezzo nudo davanti all'ampio camino che scaldava il capanno, Vassily desiderò ardentemente che avvolta sotto la grossa coperta che lo copriva ci fosse anche Juliska. La bella, testarda e pericolosa donna che aveva lasciato a Zeindenburg a combinare chissà cosa a sua insaputa. Era ancora infuriato con lei per la vicenda di Feldon, ma non per questo non bramava le sue forme: l'avrebbe presa con forza, trattandola rudemente, per sfogare la sua rabbia, per ricordarle che le doveva obbedienza. Poi si sarebbe accasciato su di lei, scaldandosi tra i suoi seni. Si svegliò invece con la voce di John che cercava di metterlo in allerta riguarda a chissà quale pericolo, mentre lo scuoteva bruscamente. Esausto Vassily biascicò qualcosa al mercenario e si rigirò nelle coperte incurante dei reclami di John, del freddo e dei pericoli che si annidavano fuori del capanno. Quella sera i suoi compagni dovevano fare a meno di lui, era troppo stanco, non voleva pensare a niente, desiderava soltanto riposarsi tra le braccia di Juliska, inebriarsi del suo odore, della sua pelle per ricordarsi di essere ancora vivo. Si riaddormentò cercando invano nel sonno le calde carni della sua focosa ed imprevedibile amante distante miglia e miglia da lui, stringendo tra le mani la grezza lana della coperta.

giovedì 5 novembre 2015

Nostalgici ritorni

La prima volta che Kuzja uscì dalla Radura dei Sogni Infranti il suo cuore era in lutto per la scomparsa dei suoi fratelli di fede e la presa della Radura da parte del demone. In quel momento si sentì solo, ma consapevole di poter contare sui suoi compagni: Andrej, Mircej, Astrid, Mira e Martha. Non ebbe molto tempo per riflettere sulle conseguenze e sul futuro: incontrò i Romanov appena mossi pochi passi fuori dal portale ed in quel momento finì la sua vita per iniziare una nuova esistenza. Le preoccupazioni che assillavano il Kuzja umano e fedele di Hala scomparvero, ma su di lui gravò l'immane peso della sua condizione inumana ed innaturale di morto viventi in cui si ritrovò ingabbiato.


Un tenue e timido calore sembrò invece pervadere il petto di Kuzja quando uscì per la seconda volta nella sua vita dalla Radura dei Sogni Infranti. Nel suo petto non batteva più il suo cuore umano, ma si sentì per un breve momento felice per ciò che aveva fatto. Aveva liberato il Ministro e pur non riponendo più nessuna fede ultraterrena in lei, rimaneva una figura colma di vitalità e potere. Una volta che Andrej e Kuzja la liberarono dal pozzo la presenza del Ministro fu sufficiente a riportare la Radura al suo originale splendore, scacciando il demone che ne aveva corrotto la natura. Kuzja ora sapeva che il potere che permeava la  Radura non aveva nulla a che fare con la dea che in passato idolatrava, ma in ogni caso era affascinato dal potere che essa emanava. La sua mente era già proiettata su come sfruttare quell'enorme potere e su come attingervi ora che aveva trovato nuove vie per usare la Trama.



Ma una piccola parte di Kuzja, nel profondo, era contenta di aver dato una seconda possibilità ai suoi vecchi fratelli ed al culto di Hala. Anche se per rendere possibile ciò aveva probabilmente perso definitivamente i suoi ultimi compagni di quel folle viaggio iniziato pochi mesi fa. Agli occhi di Mircej ed Astrid era una creatura infida ed inaffidabile. Aveva una volta di più tradito la fiducia di Mircej, gettandolo nel pozzo per far si che la creatura immortale che camminava nascosta dentro il divinatore mezzo vistani finisse nel pozzo, liberando il Ministro. Dopo questo avvenimento Mircej e la sorellastra Astrid non si sarebbe più fidati, ammesso lo abbiano mai fatto, di Andrej e Kuzia: non più due compagni ma due cinici  morti viventi.
Kuzja lo comprendeva chiaramente: d'altronde anche lui non sapeva più di chi fidarsi. Bodo era morto da tempo e dopo di lui anche Mira. Lukan da tempo era distante e probabilmente non si era mai troppo interessato ai destini dei suoi compagni tanto da scappare con la coda fra le gambe: chissà alla fine forse è stato il più saggio.
Andrej era sempre più freddo e sanguinario, un cacciatore a tratti irrazionale solo desideroso di sangue senza altri apparenti fini. Martha era sempre più glaciale ed inumana: non parlava quasi più e si limitava a scrutarlo con i suoi occhi terrificanti. Prima Kuzja cercava la sua compagnia, vivevano la loro condizioni in modo simile e si supportavano vicendevolmente. Ormai era distante ed irragiungibile ed aveva abbandonato ogni rimasuglio di umanità per legarsi a doppio filo a Cornel. La presenza delle due inquietanti figure, ormai inseparabili, incuteva un profondo timore in Kuzja. Cornel e Carmilla, i suoi mentori, genitori e padroni lo trattavano come un bamboccio, un burattino nelle loro mani da cui si aspettavano soltanto che obedisse agli ordini senza dar troppo fastidio.

Kuzja si sentì nuovamente solo, ancora paradossalmente troppo attaccato alle sue vestigia umane per i suoi fratelli vampiri, una bestia immonda per i suoi compagni umani. Stava cercando di trovare un cammino che gli portasse un minimo di serenità, anche se gli sembrava ogni giorno un'impresa sempre più improba. Per questo ha deciso di dedicarsi alla riuscita della Congiura, unico pilastro cui aggrapparsi nella timida speranza di portarla a compimento e di riguadagnare se non altro almeno un minimo di libertà.


lunedì 5 ottobre 2015

Lettere a Clea





Mia dolce Clea,
Ancora una volta ti scrivo dalla penombra di questa angusta dimora, nascosta tra i sudici palazzi della parte più decadente della mia città. Eppure, cara Clea, ho il sentore che questa sarà l’ultima lettera sporca di polvere e fuliggine che scriverò di mio pugno. Finalmente il fato mi arride.
Qui in città regna il caos, è inverno e fa freddo, in molti sussurrano con terrore l’avvento della Notte delle Bestie, la gente muore per il gelo e la fame e molti miei fratelli minacciano di prendere le armi e sollevarsi contro le nobili casate che si fanno lotta tra loro invece che impegnarsi a governare… eppure io con queste lotte tra Baroviani e Baroviani, Baroviani e Gundarakiti o Baroviani e Mostri non ho proprio nulla a che fare, anzi, ne ho ben preso le distanze e questo spero potrà farti star tranquilla, mia dolce Clea.
Il mio nuovo lavoro procede bene, il dottore di cui ti ho scritto nella lettera precedente mi ha accettato come suo aiutante ed apprendista, il suo nome è James Nathaniel ed è molto ricco, è giunto in città meno di un anno fa e messo su famiglia. A volte mi chiedo perché scegliere un posto così remoto ed inospitale come Barovia se si è così abituati a viaggiare come lui dice di aver fatto, ma poi penso che la risposta sia l’Amore. Si è sposato ed ha avuto una figlia da una giovane fanciulla baroviana ed ora ha avviato la sua attività per garantir loro una vita agiata. Mia amata Clea mi sento così fortunato ad averlo incontrato! Nessun ricco baroviano avrebbe voluto un assistente gundarakita, ma il Dr.Nathaniel viene dall’occidente, dal regno chiamato Mordent, ed in cambio del mio aiuto mi permette di studiare sui suoi testi e persino di esercitarmi nelle sezioni dei cadaveri nel suo laboratorio.
Hai capito bene cara Clea… diventerò un chirurgo! Un medico! Chi l’avrebbe mai pensato? Il dottor Nathaniel dice che ho talento e imparo in fretta ed io non ho altra aspirazione che imparare la sua arte e guadagnare abbastanza per venire da te a Cuzau e chiedere la tua mano. Posso fingermi baroviano, davanti ad una ricca dote i tuoi non esiteranno e finalmente potremo sposarci!

Domattina di buon’ora dovrò aprire la bottega e pulirla per bene prima che il maestro arrivi, a volte quando fa particolarmente freddo rimango a dormire lì, è più calda del rudere da cui oggi, spero per l’ultima volta, ti scrivo…

Con Amore.
Gyula


Cara Clea,
Anche oggi la giornata è stata lunga e faticosa, vorrei scriverti ancora molte cose, dato che d’inverno le consegne della corrispondenza sono più rare e non potrò farti pervenire notizie così spesso come vorrei, eppure sono molto stanco e condividerò con te un solo pensiero sul mio maestro.
Inizio a conoscerlo un po’ meglio, è un uomo vitale, ha buoni modi ed è molto convincente, mi accorgo solo ora, dopo settimane che passo con lui ogni giorno, che probabilmente lascia trasparire di se un’immagine che non corrisponde totalmente alla realtà.
Passo intere giornate a spolverare e mettere a posto i suoi unguenti, le sue misture e poi di notte, chiuso nel retrobottega con un qualche cadavere imbalsamato a leggere libri di medicina e botanica e mai e poi mai mi è capitato di notare qualcosa che si avvicini a ciò che lui vende. Oggi gli ho chiesto per la prima volta informazioni ma sono stato liquidato con un “non puoi ancora comprendere certe cose”. Eppure mia dolce CLea, tutto si può dire tranne che il tuo Gyula sia un fesso o uno sprovveduto e così durante la mia pausa, gli ho fatto qualche domanda di medicina, libro in mano, chiedendo conferma di frasi che fingevo di leggere dai suoi stessi volumi ma che in realtà distorcevo dandogli il significato opposto.
Non ci crederai, ma il Dr.Nathaniel mi ha confermato con le sue risposte vaghe o logorroiche di non conoscere molte delle basi della medicina moderna, come l’esatta collocazione delle viscere nell’addome.
Ho pensato potesse essere solo stanco, o poco interessato… eppure poi lo vedo parlare con un cliente e dargli consigli che documentandomi definirei a dir poco “azzardati”. Per un istante il mondo mi è crollato addosso ma poi ho pensato a te, e a me, e al fatto che anche se James Nathaniel si finge medico ma è in realtà un ciarlatano io ho comunque la possibilità di imparare tutto ciò che serve dai suoi libri! E poi se lui con così poche nozioni è riuscito a diventare così schifosamente ricco pensa a quanto potrei diventarlo io perfezionando l’arte della medicina!

Nei prossimi giorni dormirò in bottega, il gelo torna a farsi più pungente e di notte si sentono sempre più ululati, mi sento più al sicuro nel quartiere della torre che in questo buco. Tornerò presto a prendere le mie lettere e le consegnerò al messo viaggiatore per la metà del mese, dovrebbero giungerti entro pochi giorni.

Siamo così vicini mia amata Clea eppure così lontani.
Ma non temere, molto presto staremo insieme, io e te, per sempre.

Con Amore.

Gyula

sabato 3 ottobre 2015

Metallo e nebbia


Astrid non capiva ancora quali strani eventi del fato l'avessero mandata lì. 

Si trovava in una città grigia, piena di mendicanti e borseggiatori, sovrastata da un'altissima e tortuosa torre da dove facevano capolino una dozzina di mostri di pietra arricciati che sembravano dover attaccare da un momento all'altro. Di avventure ne aveva passate tante per essere una giovane Ragazza di Barovia, ma non riusciva proprio a sentirsi a proprio agio in quel luogo.  Per non parlare del borgomastro che li aveva accolti in casa, una misteriosa donna di nome Rebeka Ditrau. Permettere a personaggi come Antonija di educare i bambini del posto a rubare e borseggiare per strada...che assurdità! Bisogna avere mille occhi a Teufeldorf. Ed è proprio per lei che Astrid e la compagnia dei Romanov sono finiti qui. La Ditrau e la sua milizia avrebbero preso parte alla rivolta contro il Conte se il gruppo mandato dai Romanov avesse scovato l'assassino di un terribile omicidio. "Facile", pensava Astrid; "dopo tutti gli orrori ai quali ho dovuto assistere finora questo sarà solo una passeggiata". Ma non poteva ancora sapere cosa avrebbe visto di lì a poche ore. Il luogo dell'omicidio era la casa delle vittime. Dalla descrizione di Vassily poche cose erano rimaste di quelle povere anime. Secondo i dirimpettai la famiglia appena trucidata non era originaria di Teufeldorf. Il marito, scomparso da qualche ora, era un medico, barbiere o qualcosa di simile; la moglie, casalinga, badava alla bimba a casa. L'unica informazione che erano riusciti a tirar fuori da quelle persone era l'indirizzo dello studio dell'uomo. Poveri di informazioni e con un Mirsej poco presente andarono allo studio. La scena che si trovarono davanti era ben poco distante dalla precedente. Il garzone della bottega si trovava esanime a terra immerso in una chiazza di sangue. Profondi solchi causati presumibilmente da due grosse mani solcavano la gola del ragazzo, il quale aveva ancora stampata nel volto un'orribile espressione di terrore. Ormai convinti della colpevolezza del congiunto delle vittime si avventurarono nella casa del garzone. La porta era stata rotta. Un brivido percorse la schiena di Astrid. L'oscurità al di là del solco sulla porta, la cruenta scena appena vista...quale abominio aveva causato tutto questo. John rimase fuori a guardargli le spalle. Al di là della porta la mano esanime di un uomo spiccava sul fondo di un piccolo corridoio. Astrid prese coraggio e si avventurò nella stanza seguita dal resto del gruppo. Il corpo senza vita del presunto assassino giaceva a terra ed in piedi, dietro la vittima, si ergeva una figura incappucciata con le mani giunte di fronte all'inguine. Sembrava coperta da una pesante armatura metallica. La stanza buia, l'innaturale silenzio, lo scintillare del petto metallico. 

Astrid prese coraggio facendo un passo verso l'ignoto essere. In quell'istante la figura levò il capo scoprendo il volto completamente metallico. La ragazza non aveva mai visto un essere del genere. Sembrava un'umana, proprio come lei, ma al posto della pelle aveva una meravigliosa armatura cosparsa di ghirigori. Le mani erano dei guanti metallici completi di giunture ed il mantello che prima la nascondeva, marrone e consunto dalle numerose battaglie, ormai le copriva ben poco. Il gelo si diffuse nella stanza. Persino Vassily che abitualmente gestiva le situazioni con prontezza e sangue freddo, pareva ibernato dalla gelida figura di metallo che gli si era da poco palesata. La figura, in silenzio, iniziò ad avviarsi verso l'uscita. Nessuno provò a fermarla. Astrid non sapeva che fare. Mentre il costrutto si trovava nel piccolo corridoio della casetta Vassily provò a fermarla senza successo. Astrid seguì la figura che si allontanava a passo sempre più svelto verso una densa coltre di nebbia seguita dal resto del gruppo. 
Le nebbie...qualcosa di familiare se così si può dire. All'interno del bianco paesaggio John si trovava accasciato a terra con delle evidenti ferite che gli avevano imbrattato le vesti di sangue. Nonostante tutto brandiva ancora le due grosse pistole fumanti che portava sempre con lui. Fu un attimo... Un colpo di pistola, la figura metallica su di lui. John riversava a terra senza dar segni di vita. Astrid e gli altri corsero da lui accertandosi del fatto che fosse ancora vivo. Ma la figura metallica svanì nel nulla seguito da Mirsej che tornò fortunatamente poco dopo. 
Cos'era quell'essere? Chi era il mandante? E soprattutto, cosa stava cercando? Solo domande riecheggiavamo nelle menti degli avventurieri. In quel momento Astrid pensó che lo stufato di Lavinia, per quanto terribile possa essere stato, era la cosa che le mancava più di tutti in assoluto.



venerdì 2 ottobre 2015

La sinfonia


Le notti del sud Barovia si assomigliavano immancabilmente l'una con l'altra il freddo pungente e le copiose piogge gli echi di una città che sta per venir avvolta dall'oblio della notte, l'incertezza su quel che avverrà il giorno dopo. Incertezza su chi ci sarà il giorno dopo.

Warwic se ne stava pensieroso alla finestra, il vetro rigato dalle gocce di pioggia che scorrevano giù, qui e la il cielo nero si illuminava con qualche lampo improvviso colorandosi di viola. 

"Il suono del violino, stridulo e potente, freddo ma intenso ". 

Quelle gocce sul vetro se avessero prodotto un suono sarebbe stato proprio quel suono li, pensava fra se e se.

Nel suo cuore invece suonava, già da tempo una melodia, che diventava ogni mese sempre più complessa. Da principio una semplice arpa solitaria nel silenzio della creatività, un motivetto pieno di speranza, voglia di cambiare gli eventi intorno a se, epicità, suoni forti squillanti potenti, si unirono ben presto piccoli corni, tintinnii di triangoli, tamburi. Man mano che passavano i giorni con l'evolversi degli sfortunati eventi quel motivetto cambiava ritmo, cambiava intensità sonore, cambiava la musica al cambiare degli scenari intorno a lui. Amici che partivano per il lungo viaggio senza ritorno, piccole gioie per piccole scaramucce trasformate in successi del tutto stuprate e cancellate e da battaglie perse in malo modo. La speranza tema portante di quella prima sinfonia, lasciava il passo alla rabbia, alla delusione allo sconforto. Quando il motivo era ormai diventato quasi un sibilo, ecco arrivare il suono di quel violino freddo, sinistro, ma potente, minaccioso, impetuoso che avvolgendosi a quel sibilo rimasto lo trasformò lo invigorì, gli fece da controcanto ed il sibilo tornò sinfonia. Si aggiunsero altri archi, timpani, piatti, i corni diventarono strumenti a fiato, arrivarono gli ottoni a dar corpo a quel motivetto che tale più non era. 
In fine si aggiunse una flebile voce che divenne ben presto coro, quello che , nel suo primo pensiero era un semplice tronco dove il Maestro stava suonando divenne un palco, il morbido e caldo velluto rosso sangue delle tende aperte, i cordoni d'oro che le tenevano spalancate. I pochi curiosi animali che ascoltavano il motivetto iniziale adesso erano folle, acclamanti, rumorose ed ansiose di poter battere le mani...

La musica suonava rigogliosa come una foresta in piena primavera, si sentivano suoni di sottofondo, la notte ora non era più buia, l'idea non era più tale ma trasudava realtà in ogni suo piccolo particolare, il motivetto ora era un concerto, potente, vibrante, il cuore gli batteva nel petto, il sangue ribolliva nelle sue vene, tutto quello che aveva sognato e sperato poteva diventare realtà. 
Su quel palco le sue mani stanche avevano ritrovato nuova vita, ed ora si agitavano e venivano seguite dai suoni emessi da ogni singolo strumento, alzandosi ancora suonando la sua arpa si guardò intorno ed una lacrima gli solcò il viso quello per cui aveva tanto studiato e lottato era li quella sera il suono era talmente perfetto che gli faceva male il cuore per tanta emozione.

Dal pubblico un sibilo si innalzò, impercettibile pian piano divenne sempre più scandito, più chiaro e più intenso...."vendetta vendetta vendetta vendetta"  

mercoledì 9 settembre 2015

Sudore , Sangue e Zucchero


La concitata situazione si rivelò di li a poco agli occhi dell'equipaggio del Cerdo e fu che un vascello battente bandiera spagnola scappava malandato da colpi di cannone sparati da un altro natante battente bandiera nera. Giusto il tempo di analizzare la situazione ed il Capitano Do Santos dovette effettuare una serie di manovre per far prendere velocità al Cerdo, nel mentre altri colpi avevano ulteriormente danneggiato il vascello che scappava ora battente bandiera inglese. I due vascelli ora erano troppo vicini e Do Santos fu costretto a fare una virata sull'ancora per guadagnare un angolo migliore e non rimanere coinvolto nel combattimento. La vicinanza al combattimento favoriva la visuale all'equipaggio del Cerdo permettendogli di constatare che si trattava di due navi con nomi inglesi l' Endeavour all'inseguimento e la Butterfly che arrancava sotto i colpi di cannone.
Sul ponte della Butterfly c'erano incendi sparsi e l'equipaggio si prodigava con affanno tra lo spegnerli ed i compiti di navigazione. Juan Do Santos interpretò il cambio di bandiera come un disperato tentativo di depistare la nave pirata e magari sperare in un aiuto da parte di altre navi, ma il nome e la corona stilizzata sullo scafo tradiva la disperata manovra rendendola vana. Decise di rimanere a guardare e non durò nemmeno troppo...altre due salve di cannone e la Butterfly già malandata esplose del tutto, delle palle incandescenti colpirono il deposito di polveri e del natante non rimasero che pezzi di legno bruciato galleggianti.

Nemmeno il tempo al fumo ed al puzzo di zolfo di diradarsi che dell'Endeavour non vi era traccia, all'equipaggio del Cerdo de Agua non rimase che tirar a bordo l'unico superstite, un marinaio inglese o quel che ne rimaneva che ebbe appena il tempo di metterli a conoscenza che in quelle acque la faceva da padrone il pirata "Mud Face", una arcigna strega che non aveva pietà per le navi, sopratutto le inglesi, che avevano la sfortuna di incrociare la propria rotta. Detto questo il marinaio esalò l'ultimo respiro ed il suo corpo martoriato e bruciato dall'esplosione ricevette l'onore di essere sepolto in mare alla maniera e con gli onori di un nemico sconfitto. La marina Spagnola era infatti in guerra con quella Inglese, ma l'onore e la lealtà del capitano Do Santos erano leggendari e questa situazione non fece altro che confermare le voci al riguardo.  

In seguito a questo Do Santos dopo essersi consultato con il proprio equipaggio decise di far vela per la palude di Antigua alla caccia della spietata piratessa. Il viaggio non fu semplice tra le acque salmastre ma la perizia del capitano e lo scafo non molto profondo del Cerdo permisero di risalire il fiume dal cui estuario si generava la palude. Arrivarono fin dove era possibile navigare in sicurezza e poi furono costretti a continuare la risalita del fiume sulle barcacce, delle scialuppe molto larghe e grandi che veniva usate tipicamente nelle fase di carico e scarico delle merci , quando la nave veniva lasciata all'ancora lontana dal pontile o quando il pontile non esisteva proprio. Il resto del viaggio non fu semplice ma raggiunsero la caverna ben nascosta dalla folta vegetazione che ospitava il covo del pirata, per scoprire che la vecchia megera "Mud Face" era in realtà una avvenente e giovane capitana di origine caraibica che rispondeva al nome di Molly Mulligan, vecchia conoscenza del capitano Do Santos essendo la figlia della levatrice che lo svezzò da piccolo e sua compagna di giochi d'infanzia.


Scoprirono che in realtà Molly divenne pirata per esigenza ed aveva un ideale ben preciso che la rendeva tale, voleva che la schiavitù, teoricamente cessata qualche anno prima a mezzo di una legge per altro inglese e mai messa in pratica realmente, cessasse definitivamente. Per questo assaliva le navi inglesi provenienti dalle piantagioni di zucchero, in cui venivano impiegati a forza ed a condizioni disumane i numerosi schiavi condizione condivisa da Molly stessa fino a qualche anno prima. Liberatasi dalla schiavitù giurò a sul suo onore che avrebbe messo in pratica le conoscenze di navigazione, imparate insieme al Capitano Juan sulla nave in cui trascorsero la loro infanzia, al servizio di un ideale concreto liberare gli schiavi dal giogo degli inglesi. Per questo mise al corrente il gruppo dell'intenzione di assaltare una piantagione di zucchero ed il relativo fortino a sua protezione.







domenica 6 settembre 2015

Teufeldorf





Teufeldorf si trova nella parte meridionale di Barovia, dove i Balinok discendono velocemente verso il limitare della Foresta di Tepurich lungo la Strada Cremisi. La città si estende a nord e sud del fiume Gundar, all'interno delle massicce mura cittadine è divisa simbolicamente in distretti: della Torre, dei Giardini, Fluviale o Commerciale, del Tempio e Popolare.
Presumibilmente, il sito è stato abitato sporadicamente fin dall'età della pietra, quando brutali uomini tribali eressero dolmen per il pagano dio orso della caverna. In tempi storici, le perenni invasioni delle tribù barbare vicine suggerirono ai primi duchi di fortificare pesantemente Teufeldorf e permearla con tunnel e passaggi. Il fatto poi che il Conte Von Zarovich in passato l'abbia così facilmente annessa testimonia quale anarchia ha sempre, fino ad oggi, caratterizzato la città.
Teufeldorf attualmente non ha un borgomastro, ed è governata dal kapetan delle guardie, la severa Rebeka Ditrau.



Il Conte stesso ha giustiziato il precedente borgomastro, Shaithis Vosrovna, per aver istigato ingenui avventurieri ad assassinare un Vistani locale. La Ditrau ha da lì in poi preso temporaneamente il controllo della città, fino a quando non fosse stato trovato un sostituto, cosa non ancora avvenuta e nel frattempo le principali forze in campo cercano di aumentare la loro influenza per salire al potere.
Rebeka Ditrau è categorica sul preservare la legge e l'ordine in città, ma non ha interesse per le macchinazioni da borgomastro, si ritrova semplicemente a disagio con i compiti politici e gli uomini della milizia della città non sono felici di dover condividere i loro spazi nella guarnigione con impiegati e magistrati.
Cosa insolita per un centro abitato di Barovia, Teufeldorf ha una comunità religiosa discretamente forte. Qui si trova il Rifugio della Quieta Obbedienza, il Tempio di Ezra da cui prende il nome il distretto che lo circonda. Il Culto di Erlin è sempre presente tra i bassi ceti gundarakiti mentre il Signore del Mattino è raramente nominato. Sfortunatamente la città deve affrontare anche il dilagante problema dei mendicanti e dei borseggiatori, che pullulano specialmente nei distretti Popolare e del Tempio.
La caratteristica architettonica più impressionante di Teufeldorf è indubbiamente la Torre Serpeggiante. Ha il profilo di un cavatappi e, dal punto più alto, gargoyle mostruosi guardano verso la città. Sebbene presumibilmente una volta abbia ospitato una congrega di maghi oscuri schiavi di Gundar, la strana fortezza è ora usata per allenare una manciata di soldati Baroviani nelle tattiche militari e di spionaggio. Rebeka Ditrau ha inoltre restituito l'oscura fortezza al suo originale uso di prigione militare.
Le forze che si contendono il controllo di Teufeldorf sono fondamentalmente tre, volendo considerare la milizia della Ditrau come super-partes: le nobili famiglie baroviane Velikov e Katskys hanno iniziato a detta di molti una vera e propria lotta sotterranea, fatta di intrighi, tradimenti ed assassinii, nel tentativo di guadagnare influenza a discapito dei rivali, vantando per titolo il diritto di governare in nome del Conte. Il caos che ne consegue tra le personalità di spicco fomenta ulteriormente la popolazione, che animata da bande di borseggiatori e piccole cellule di resistenza gundarakita diventano via via meno gestibili dall'autorità. La Chiesa di Ezra fa da terzo polo, il Toret Oblemenco si è fatto carico dell'improbabile missione di riunire i consensi del popolo per far si che accetti una guida religiosa. Estendere il potere temporale della fede in Ezra in un luogo ostile come Barovia sarebbe sicuramente un'impresa degna di nota.
Voci inquietanti inoltre sembrano testimoniare il ritorno in città di un'antica setta di assassini, il Ba'al Verzi, che in antichità cercò di assassinare il Conte Strahd Von Zarovich I. Il loro ruolo ed i loro scopi restano un mistero, così come, per ora, la loro effettiva esistenza.

Per i viaggiatori la maggior parte delle locande della città sono poco costose, situate nel distretto Fluviale e circondate dalle squallide tenute dei Gundarakiti. Teufeldorf ne ha fortunatamente almeno una che si distingue: la Locanda della Vedova Piangente offre stanze di buona qualità e cibo discreto, lussuosa e situata al centro del distretto dei Giardini.


Sebbene lontana dagli avvenimenti destabilizzanti di Zeidenburg delle ultime settimane, la situazione di Teufeldor non è meno agitata. Ma, troppo presi nel pestarsi i piedi a vicenda, i nobili non hanno ancora realizzato che dagli squilibri attuali possano emergere sacche di ribelli gundarakiti pronti a rovesciare il regime, o che qualcuno dall'esterno possa approfittare della loro distrazione per soffiar loro la preda tanto ambita.

lunedì 10 agosto 2015

El Cerdo de agua



El Cerdo de Agua solcava dritto la linea dell’orizzonte il sole si apprestava verso il lungo desio che lo avrebbe portato a svanire dietro la linea del mare, gli occhi arrossati avevano finalmente un po’ di  riposo, dalla la luce accecante riflessa sull'acqua del pieno giorno e dalla salsedine che andava ad increspare ancora di più le pieghe ben visibili intorno agli occhi anche del più giovane dei mozzi. La vita di marina era una vita dura, difficile da sopportare, Juan Do Santos ne aveva visti di compagni morire per chissà quale febbre, ed altrettanti impazzire per gli interminabili viaggi, quei pochi che erano riusciti a sopravvivere allo scorbuto o erano finiti nelle fauci di uno squalo o trafitti dalle sciabole incrostate di sangue di qualche pirata. Ormai erano anni che guidava tra quelle acque lo sloop battente bandiera di sua maestà il Re di Spagna. Il Cerdo era vecchio, rattoppato, eppure su ogni centimetro di quel legno Africano c’era intarsiata una storia, storia di chi aveva versato sangue e sudore. In effetti era usanza sulla nave di intarsiare una sigla proprio sul parapetto che divideva il castello di poppa dal ponte. Quella sigla ricordava all’equipaggio di compagni caduti, che avevano servito lì ed ora a servizio presso altre imbarcazioni o nelle poche e fortunate ipotesi ritiratisi in qualche colonia alla bella vita. Per apporla si doveva dimostrare di esserne degni, era una sorta di rito di iniziazione voluto fortemente dal capitano Do Santos, un uomo imperscrutabile, con gli occhi color ghiaccio ma un sorriso che lasciava il segno, nel bene e nel male e tra le due tipologie c’era veramente un mare di emozioni intermedie. Il Capitano Juan era nato a bordo di una nave, e cresciuto a bordo di essa, la puttana che lo aveva sputato fuori doveva finire a Madrid proveniente da Gran Roque, era talmente bella, anche in dolce attesa, che il governatore della cittadina aveva deciso di portarla alla corte del Re di Spagna, affinché incrementasse le sovvenzioni per le colonie soprattutto la sua.

Eppure Magdalena non sopravvisse al parto, stremata da un lungo viaggio e provata dalla cattiva alimentazione a bordo di una nave. Il capitano del vascello che la trasportava, nonostante si fosse infuriato ed avesse protestato contro il governatore di Gran Roque dovette obbedire agli ordini ed imbarcarla, nonostante fosse incinta, non prima però di avvertirlo che lo avrebbe ritenuto responsabile in caso qualcosa fosse andato storto direttamente presso il Re. Dopotutto i corsari spagnoli al servizio di Sua Maestà Carlo II di Spagna seppur non ufficialmente, provenivano tutti dalla regia marina e vantavano un educazione ben al di sopra del normale marinaio, per questo erano temuti e rispettati ma soprattutto ascoltati, di solito



Impietositosi per quel bastardo a cui la bellissima Magdalena aveva dato la vita non ebbe il coraggio di gettarlo in pasto ai pescecani, lo consegnò alle cure amorevoli della sua schiava personale e raggiunta l’età giusta lo prese come mozzo sul vascello. Per il Capitano Do Santos il Cerdo era tutto, era la sua casa, la sua infanzia perduta, ed il luogo dove lavorava Si sarebbe fatto amputare un braccio pur di non farlo affondare, e c’era andato vicino più di una volta. Juan assorto nei pensieri scrutava il sole che stava per svanire verso ovest quando un grido dal posto di vedetta squarcio il silenzio surreale di quel tramonto su mare piatto: “Nave a Babordo in linea di intercetto “….

Superumano




Labor era il responsabile della sua trasformazione, il fulcro del complesso susseguirsi di eventi che l'avevano reso ciò che era: un ibrido la cui carne è fusa all'acciaio.
Moses si sarebbe definito un Superumano per distinguersi da quelli che la gente ignorante del Nono Mondo appellava subumani.
Aveva scoperto di non essere l'unico esperimento del Ministro Eone, l'energumeno selvaggio che rispondeva al nome di Kun-kunis presentava molte delle sue stesse caratteristiche, anche se sembrava pesantemente improntato alla violenza e potenza fisica. Era lampante per entrambi il potenziale di ciò che racchiudevano, l'assoluta perfezione a cui potevano anelare, forse semi-divinità di uno dei mondi precedentemente perduti, essi stessi potevano essere considerati dei Numenera senzienti.

Moses scopriva se stesso giorno dopo giorno, per questo non gli importava dove andasse, per questo cercava l'avventura, il rischio, le fonti di potere. Aveva capito che i ricordi della sua vita precedente in qualche modo entravano in conflitto con la porzione cibernetica del suo cervello, non aveva alcun interesse pertanto a forzare quel blocco per ora, col tempo il problema si sarebbe risolto da se, inutile insistere ora, inutile domandarsi. Qualsiasi cosa gli avessero fatto era chiaro che ogni legame con la sua vita precedente era scisso, rendendo irrilevante la sua infanzia e importante soltanto il suo futuro.
Trovava eccezionale la capacità di riprogrammarsi, scoprendo dentro di se nozioni inerenti campi che il giorno prima ignorava completamente. Trovava galvanizzante la perfezione del suo fisico, la durezza dell'acciaio e la tonicità della sua muscolatura in grado di assorbire senza alcun danno gran parte dei colpi subiti.
Cercava di non darlo a notare, ma si considerava a tutti gli effetti un Essere Superiore.
Eppure il cammino per la perfezione era appena iniziato. Moses era al corrente anche dei suoi limiti, delle barriere che avrebbe dovuto infrangere e lentamente iniziava a figurarsi un modo per farlo. Era chiaro che il corpo di acciaio che aveva ricevuto in dono era stato progettato per evolversi, l'aveva capito sin dalla prima volta che aveva rimosso la placca toracica, scoprendo innesti e nuclei energetici non collegati su cui già aveva iniziato a lavorare nelle ore di riposo durante il viaggio.

Aveva subito alcune ammaccature, la corazza di pelle di bestia aveva retto bene anche l'ultimo, pesante impatto, la carne presentava qualche ematoma, un paio di graffi, ma i riflessi meccanici l'avevano fatto uscire quasi indenne anche da quell'ultima, estrema minaccia.
Scostò un paio di massi residui della frana e si rimise in piedi. Kun-kunis sembrava aver preso in pieno petto una roccia gigantesca, era danneggiato ma perfettamente in grado di rimettersi in piedi, erano simili dopotutto. Jamal il telecineta aveva dato un'altra eccezionale prova del suo talento deviando i massi in arrivo su di lui, sembrava completamente incolume. Jester era giunto seriamente provato dall'agguato dell'automa ma aveva retto stoicamente anche l'assalto dei predoni e ora riemergeva sulle sue gambe dopo essersi protetto dietro al suo massiccio scudo.
Con compagni come questi cosa avrebbe potuto fermarlo?
A terra i cadaveri dei subumani mostravano la netta differenza tra creature più simili alle bestie ed esseri eletti come loro, destinati a grandi cose.

Moses avrebbe evitato volentieri il combattimento, ma avevano avuto poca scelta. La prima imboscata era stata facilmente convertita in una strage, mentre il secondo assalto era impossibile da evitare una volta scoperti e avrebbe ora complicato il resto dell'esplorazione. Eppure l'adrenalina dello scontro lo esaltava: il rumore secco, metallico dei suoi arti che si attivavano in un istante e scattavano in un impeto inarrestabile seguito dallo schiocco secco delle ossa del collo del nemico spezzate da un singolo colpo, lo stridere del metallo delle asce smussate del nemico, in grado di lacerare l'armatura ma subito dopo bloccate dall'acciaio della sua placca toracica che alla fine non riportava nemmeno l'ombra di un graffio. Quanti ancora di loro sarebbero dovuti perire prima di comprendere la futilità delle loro azioni se non delle loro stesse vite?

L'intero gruppo marciava senza sosta da un paio di giorni, era fisicamente provato e aveva dato fondo alle sue riserve di energia durante entrambi gli scontri, inoltre alcuni di loro erano feriti più seriamente, un altro attacco adesso avrebbe potuto essere una minaccia più seria, era necessario trovare un luogo sicuro e riprendersi.

La meta era nota e anche il loro nemico "Kurt" sembrava essere una vecchia conoscenza del combattivo Jester, sarebbero andati a stanarlo ma non dovevano sottovalutare la situazione e farsi cogliere per la terza volta impreparati.
Quella cupola di metallo tra i picchi oltre la valle era la loro destinazione. Rovine ancestrali nei terreni di caccia dei subumani, sorvegliata da automi metallici e presidiata da un umano a capo di una banda di predoni, nascondiglio di chissà quanti tesori e apparecchiature dei mondi precedenti.

Per Moses questa era proprio il tipo di sfida degna di un Superumano.

giovedì 30 luglio 2015

Jester "The Rock"



Non servirono a nulla quel giorno le interminabili ore di allenamento presso la fortezza di Empty Sanctum, a nulla servirono quel giorno le tecniche che aveva a fatica fatte sue, non servì a nulla quel giorno lottare come una belva ferita perchè qualcosa di imprevedibile stava per accadere.
Le possenti mura innalzate a protezione della piccola cittadina di Legrash a nulla servirono quello stramaledettissimo giorno, le guardie non potevano immaginare che tra le loro fila si nascondesse una serpe, quel maledetto cane che eliminò nella notte le sentinelle di ronda aprendo il portone ai predoni.

Jester svegliato dalle urla non ebbe il tempo di indossare tutto il suo eguipaggiamento, prese solo la sua spada ed il suo scudo, disse a Linda, sua sorella di rimanere a protezione dei genitori e di barricarsi in casa, ed uscì cercando di dirigersi nel vivo dello scontro. Ma era ormai troppo tardi, i subumani avevano invaso il centro cittadino, sciamando dal portone principlae spalancato a giorno, dove l'esigua guardia cittadina non si sarebbe mai aspettata un attacco. Si lanciò come un folle all'interno delle fila degli attaccanti, schierandosi fianco a fianco con i suoi compagni, lottò con loro come se non vi fosse un futuro, e per un attimo riuscirno a rallentare l'attacco, attirando l'attenzione dei nemici su di loro. Insieme erano più forti, insieme erano pronti a formare una piccola linea difensiva come avevano imparato e più volte provato in allenamento alla fortezza. La possenza e la forza di Jester diedero nuova speranza ai suoi compagni d'arme ed ai cittadini che scappavano impauriti da case incendiate e dalle spade ricurve di quei banditi vestiti di nero. Avrebbero potuto resistere almeno fino a che le forze non li avrebbero abbandonati, erano riusciti ad indietreggiare fino alla via della speranza, uno stretto corridoio ricavato scavando la dura roccia che collegava le due parti della cittadina divise da una rocciosa collina facente parte dei Monti Zanlis, dalla quale Jester prendeva il suo soprannome "The Rock"

Era evidente che la loro preparazione bellica era nettamente superiore a quella dei banditi che dalla loro avevano invece il numero. Jester ed i suoi erano pronti a sacrificarsi per far in modo che la popolazione avesse il tempo di scappare tramite un cunicolo segreto e sotterraneo verso la pianura che si estendeva al di la del passo Tremble. La cittadina era persa, i corni della torre Hope riecheggiavano nella notte, tra i crepitii di case incendiate che si ripegavano su se stesse ed il fragoroso rumore del cozzare delle metalliche spade durante la battaglia. Jester ed i suoi compagni intonarono la ballata dell'eroe, sapevano che la loro fine sarebbe giunta di li a poco, ma erano consapevoli che la particolare conformazione del villaggio ed il punto nel quale si erano asserragliati per portare l'ultima e strenua resistenza non sarebbe potuto cadere tanto facilmente ne tanto presto.  
Fu li che avvenne un fatto inaspettato quanto repentino, il tradimento, dalle loro fila, proprio accanto a Jester, Kurt , suo amico da sempre, fece un passo indietro e lo colpì alla schiena, la piccola linea difensiva cadde sotto l'impeto dei predoni e Jester ebbe solo il tempo di accorgersi di quello che era successo. Il dolore per l'essere stato tradito da quello che pensava fosse un fratello era più grande del dolore provocato dallo squarcio mortale sulla sua schiena, cadde in ginocchio con il sapore aspro del sangue in bocca e vide un ghigno dipingersi sul volto di Kurt, le ultime parole che sentì furono...."adesso me la spasserò con Linda gran pezzo di merda". Il copioso sangue che usciva dalla bocca di Jester soffocò le sue ultime parole nella sua bocca " Bastardo...tornerò..." 

Un forte respiro e poi un urlo rimbombarono nel laboratorio "...Tornerò..." strappando dei tubi che lo collegavano ad uno strano marchingegno Jester si rizzò seduto sull tavolo dove era adagiato. Ma provò subito un dolore lancinante alla schiena, un dolore talmente forte che gli fece perdere i sensi di nuovo, non prima però di vedere due mani di carnagione scura che lo aiutavano ad adagiarsi su quello strano tavolo gelido. Risuonarono sulle sue labbra, questa volta non più soffocate dal suo stesso sangue le parole "Bastardo....tornerò..."