giovedì 23 ottobre 2014

Ricordi di cenere

Un altro incubo, il solito incubo. A volte ho la sensazione che la mia vita sia rimasta ancorata a quel terribile giorno in cui fui strappato agli affetti della mia famiglia. L’immagine di mia zia ammazzata brutalmente davanti ai miei occhi, nella stessa stanza in cui mi stavo nascondendo, le urla strazianti dei miei genitori mentre venivano trucidati dalle guardie venute a prendermi: quei pochi minuti in cui la mia vita cambiò drammaticamente ed irrimediabilmente ricorrono in maniera frenetica alla mia mente in questa nuova fase della mia vita. Insieme agli incubi, preannunciati dall’ immagine onirica di un occhio di vetro incrinato e sanguinante che ricorda l’insegna del negozio di mio padre e mio zio, riemergono anche altri ricordi che sento di dover mettere nero su bianco.


Per anni invece quegli incubi hanno giaciuto sopiti nei reconditi della mia mente: non c’era spazio per il dolore, per la commemorazione e neanche per la rabbia. O meglio tutti questi sentimenti, ancora inesplorati, erano li in attesa come brace pronta a bruciare sotto uno strato di cenere. Ma in quel momento, prigioniero insieme ad altri ragazzi che condividevano un destino simile al mio, prevalse lo spirito di sopravvivenza. Sarà forse per questo che di quel periodo non ho che frammenti di ricordi: i volti dei ragazzi che erano con me, qualche scorcio di quei luoghi che opprimevano la mia libertà, i miei pensieri e la mia anima.


Ricordo ancora l’immensa gratitudine che provai per quei prodi cavalieri che mi liberarono e l’immensa gioia susseguente provocata dalla sensazione di libertà, dalla cavalcata a perdifiato, dalla fredda ed umida notte baroviana she sferzava il mio viso. La gratitudine nei confronti di quegli uomini e di Emilian Buchvold, l’artefice della mia liberazione, è ancora oggi intatta. La gioia durò invece poco, soppiantata presto dal dolore e dalla rabbia per la perdita dei miei cari e per il destino crudele che pensavo mi fosse riservato. Fu come se quella improvvisa ed inaspettata notte di libertà avesse alimentato violentemente quei sentimenti sopiti, che avvamparono tutti d’un tratto in quel ragazzino insicuro e disorientato che ero all’epoca. Ancora non sapevo che in realtà stavo per incontrare la mia guida, la mia salvezza, il balsamo ad ogni sofferenza e fonte suprema di saggezza.


Lucius Volkov
Lucius Volkov
I primi mesi in quella che imparai a chiamare casa non furono però certo idilliaci anzi furono piuttosto difficili. Ero timoroso e reso rabbioso dalle tragedie patite, pensavo di essere finito in un’altra prigione sebbene decisamente più confortevole ed accogliente. Passavo la maggior parte del mio tempo con Lucius, ma il nostro rapporto all’epoca era assai burrascoso: io ero scostante ed inquieto, lui severo e spocchioso faceva pesare la sua maggiore età ed anzianità. Col tempo però imparammo a conoscersi, a rispettarci e a studiare insieme. Lucius fu prezioso nell’aiutarmi a muoveri i primi passi negli studi e la nostra collaborazione durò a lungo, almeno finché la mia educazione fu presa in carico direttamente dal Ministro e da Sephir.


Ministro di Hala
Ministro di Hala
Gli insegnamenti del Ministro e di Sephir non erano affatto facili : ricordo come il più delle volte mi sembravano concetti astrusi ed inafferabili. Col tempo però i primi insegnamenti dei maestri iniziarano a far breccia, iniziando anche a placare le mie angoscie ed a calmare il mio animo.
Che meravigliosi anni che furono, ogni giorno si schiudeva un apprendimento o un segreto che mi avvicinava sempre più alla Dea. Il Ministro, Sephir, Lucius e gli altri discepoli divennero la mia famiglia ed il convento di Hala la mia casa.

Sephir Maestro della Trama
Sephir Maestro della Trama
I riti, le ore di meditazione, le veglie, il servizio al sanitario, lo studio della natura e della magia e del loro intreccio che è alla base di tutto si susseguirono incessantemente per mesi ed anni sino al giorno in cui non ebbe luogo il mio rito di comunione con la Dea. Il solo rievocare quei momenti, metterli su carta, per quanto velleitario ed utopistico sia provare a descrivere sensazioni così ultraterrene, mi solleva dalle vicessitudini e dalle ansie di questi giorni. Quel giorno ho abbracciato la Trama e con essa l’energia che fluisce nella natura tutta ed improvvisamente ogni mia sofferenza era sparita, il dolore e la rabbia nuovamente sopiti sotto la cenere.

Dopo il risveglio nella carrozza assieme ad i miei nuovi compagni però la cenere si è tramuta nuovamente in brace e sento che presto la sofferenza e la rabbia divamperanno senza freno. Non voglio dimenticare il mio passato, ma non posso abbandonarmi ora alla disperazione o alla commemorazione. Ho bisogno che Hala plachi ancora una volta il mio dolore, ho bisogno che mi calmi cosicché io possa capire il mio destino. Ho bisogno di riabbracciare la mia vecchia famiglia, prima di partire per un lungo viaggio con la mia nuova famiglia.

martedì 21 ottobre 2014

La fuga verso il primo vero successo



 

Avendo superato la dura battaglia nell’arena, il gruppo si apprestava a far ritorno. Mentre ispezionavano i corpi straziati all’interno dell’arena, Andrej nota qualcuno che li spia nell’ombra. Rivolgendosi verso il buio chiede all’essere di palesarsi ma ottiene solo la fuga da parte di quest’ultimo. Constatato che l’ombra ormai si era dileguata, anche per paura di incorrere in una trappola, il gruppo consigliato da Bogdan decide di rinunciare all’inseguimento e con calma si appresta a tornare indietro. Passando davanti all’unica stanza del piano non esplorata, per un attimo presi dalla curiosità Andrej, Bogdan, e Lukan convincono un Kuzja insolitamente pensieroso e silenzioso, ad almeno guardare cosa si cela dietro alla porta.
Aprendo la porta notano che una luce illumina uno strano amuleto, che incuriosisce Andrej, ma che è chiaro a tutti e quattro sia un richiamo per farli entrare, decidono di non varcare la soglia e di tirare un sasso incantato con l’incantesimo luce, per “esplorare” un pochino la zona. Non appena il sasso lanciato dalla mano di Andrej arriva all’incirca al centro della stanza, che sembra essere un antico tempio con colonnati speculari che formano due linee una a destra ed una a sinistra della porta di entrata, viene avviluppato da una strana foschia, che a Bogdan ed altri sembra quasi avere la forma di una mano scheletrica. Il gruppo, curioso sì ma di certo non imprudente, decide saggiamente di non varcare l’uscio nonostante il richiamo di una voce spettrale. Bogdan di rimando, forte anche del suo odio profondo verso le creature ritornate in vita, risponde che non c’è nulla che interessa il gruppo all’interno della stanza. Quasi come a risposta una voce adirata e glaciale risponde “E allora andatevene“ e di rimando un vento glaciale fa sbattere la porta di ingresso alla stanza. Il gruppo continua la sua ritirata verso la superficie.
Arrivati alla stanza della Gargolla, Andrej confessa al gruppo di aver visto qualcosa luccicare tra i resti del poverino straziato dalla Gargolla stessa. Disponendosi verso l’uscita, per una rapida fuga, il gruppo si organizza per avvicinarsi ed andare a curiosare su cosa effettivamente fosse il bagliore visto da Andrej.
Di lì a poco la Gargolla si anima ed infuria un combattimento, capendo che il nemico è troppo forte essendo le loro armi non effettive, il gruppo decide di ritirarsi, non prima che lo scaltro Andrej nel tafferuglio riesca a raccogliere l’oggetto luccicante.
Scappando a gambe levate il gruppo raggiunge l’entrata della cripta, Andrej in un eroico slancio rimane indietro, anche perché appesantito dal suo equipaggiamento e cade proprio sull’uscio della cripta dopo l’ultimo fendente della Gargolla. Fortunatamente, mentre il gruppo aveva in mente di attirare la Gargolla lontana, Bogdan si era offerto di attirarla via, la porta di accesso alla parte sotterranea della Cripta, quella azionata dalla moneta Terg, inizia a chiudersi e la Gargolla si ritira per non rimanere chiusa fuori.
Il gruppo si raduna di nuovo nel punto dove Andrej è caduto e lo soccorre grazie alle cure di Kuzja, malconci continuano il viaggio di ritorno. Presso l’entrata del cimitero, adiacente alla cripta, incontrano un drappello di soldati mandati da Frech per scortali fino alla sua abitazione. Ricevuti i complimenti da parte dei soldati e da Frech stesso consegnano la spada maledetta. Durante la cena offertagli dal mercante vengono a conoscenza di alcuni dettagli sull’oggetto e sul fatto che abbia un valore per collezionisti nonostante la sua pericolosità. E scoprono che Frech non è interessato alle due monete Terg ancora in possesso del gruppo, l’oggetto luccicante recuperato da Andrej si è rivelato appunto un'altra moneta.
Al gruppo rimane il dubbio se quell’ombra incontrata nella cripta fosse o meno uno dei sopravvissuti del gruppo entrato in precedenza, di certo è che Mircej e Astrid che erano alla porta della cripta non hanno visto passare nessuno…quell’essere è ancora li dentro.

La sera il gruppo è finalmente pronto a riposarsi delle fatiche della lunga giornata, ma Kuzja si allontana lasciando agli altri un biglietto in cui dice di aver bisogno di rinsaldare la sua fede, si recherà all'Ospizio (Il Sanitario locale). 

Gli altri accettano di buon grado la decisione e si coricano. Durante la notte Lukan viene colto da una sensazione di oppressione, avverte la presenza di qualcuno e sente rumori fuori casa.Senza svegliare gli altri si affaccia e trova una testa mozzata di capra fuori dalla porta, in lontananza una torcia attira la sua attenzione dal sottobosco. Lukan segue la scia di sangue verso la torcia e quando si blocca, timoroso, viene insultato in una lingua sconosciuta che non sentiva da tempo: IMPOSTORE. Lukan torna in casa, e altri insulti arrivano alle sue spalle, Andrej e Bogdan gli si fanno incontro, svegliati dai rumori, i 3 si barricano dentro casa e attendono che la notte passi. Attorno casa continuano ad aggirarsi varie figure per qualche tempo, poi il resto della notte trascorre pacificamente. 

Al mattino, quando Andrej, Lukan e Bogdan si svegliano, escono da casa Grau e trovano i muri dell'abitazione ricoperti di scritte di sangue, sono incomprensibili a tutti, tranne Lukan, le frasi in druidico intimano: IMPOSTORE! VIGLIACCO! VATTENE DAL MIO TERRITORIO! SE NON TE NE VAI VERRO' A CERCARTI!
I tre si affrettano a ripulire prima che troppa gente possa curiosare.

domenica 19 ottobre 2014

La Maledizione di Jacqueline Montarri





Quando Ekaterina ebbe terminato la sua coinvolgente danza la musica smise di suonare attorno al fuoco del campo Vistani nei pressi di Vallaki. La Raunie, Madame Janette, lasciò che la giovane e splendida gitana prendesse i dovuti applausi per la sua esibizione e poi alzò la mano ponendo fine al momento della Prastonata.
Il cerchio attorno al fuoco si strinse, anche gli ospiti vennero invitati a sedersi tutti più vicini. La notte era insolitamente placida, ben pochi a Barovia avrebbero pensato di poterla trascorrere all'aperto.
Era il momento del Doroq, in cui ci si scambiano racconti e leggende, storie del passato e storie di fantasia, storie di avventura e storie di paura. Vista la presenza di alcuni ospiti fu proprio Madame Janette, comodamente seduta sul suo scranno, con voce alta e decisa, a prendere per prima la parola.
Volle raccontare una storia terribile e molto nota nel Clan, la storia di una giovane e bellissima donna che osò insultare e sfidare gli Zarovan di Barovia e della terribile maledizione cui essi per vendicarsi la condannarono in eterno:

Jacqueline Montarri crebbe nel borgo di Krezk, imparò l'arte del furto e presto superò i suoi maestri. Già in giovane età divenne uno dei vagabondi più abili di Barovia, ed anche una delle donne più belle. Jacqueline scoprì che la sua bellezza cominciava a svanire leggermente all'avvicinarsi dei tuoi trent'anni. Minuscole linee cominciarono ad apparire intorno agli occhi, e i primi, pochi, capelli bianchi si mostrarono tra i suoi, corvini. Per Jacqueline, che era orgogliosa della sua bellezza e del potere che le dava sugli uomini, questo cambiamento era insostenibile. Sforzandosi di trovare un qualche modo di preservare la sua bellezza, Jacqueline viaggiò fino al campo Vistani situato sulle sponde del fiume Ivlis. Trovò Madame Eva, l'allora matriarca degli Zarovan di Barovia, e pregò per avere qualche rimedio per rimanere per sempre giovane e bella. Quando l'anziana si rifiutò, Jacqueline si offrì di comprare il segreto per lei, promettendo di rubare per lei qualunque cosa potesse desiderare. Ancora, Madame Eva rifiutò, dicendole che i segreti dei Vistani non sono in vendita. Ciò fece infuriare la disperata ladra. In un attimo, afferrò la vecchia e le poggiò un coltello sulla gola. Non appena un leggero rivolo di sangue sgorgò dal collo di Madame Eva, Jacqueline pretese il suo aiuto. Con calma, Madame Eva le disse che c’era un modo per assicurarsi che la sua bellezza non svanisse mai, la vecchia disse che avrebbe trovato ciò che cercava nella libreria di Castel Ravenloft. Il sollievo inondò la ladra di Krezk, pensando che l’oggetto dei suoi desideri era a portata di mano. Il fatto che doveva andarlo a rubare nel castello del sinistro signore di Barovia non significava nulla per lei. In modo da assicurarsi che la vecchia non potesse tradirla, Jacqueline tagliò la gola di Madame Eva. Lasciando il corpo indietro, fece scivolare il suo coltello nel fodero e svanì nella profonda notte Baroviana. Se si fosse presa la briga di guardarsi dietro, avrebbe notato un sorriso maligno sul volto della donna morta. Jacqueline non sprecò tempo nel prendere la via del minaccioso castello. Non comprendendo pienamente gli orrori che abitavano nella grande struttura di pietra, scalò le mura esterne e attraversò il parapetto, entrando nella fortezza attraverso il campanile. Esplorando le oscure sale del grande castello in cerca della libreria, non si accorse dell’ombra silente che seguiva di nascosto i suoi passi. Alla fine, la ladra trovò quello che stava cercando. Cautamente, scivolò nella libreria e cominciò ad esaminare i tomi e i volumi che erano allineati sugli scaffali della grande stanza. Ma non appena allungò una mano per prendere un libro dai ripiani, si pietrificò al suono di una risata maligna dietro di lei. Girandosi, si trovò faccia a faccia con il Conte Strahd Von Zarovich che l'attendeva e non le lasciò vie di fuga. Jacqueline venne stordita e perse i sensi, quando i suoi occhi si riaprirono, scoprì di essere in una grande gabbia che oscillava avanti e indietro, un carro che scendeva per la stretta strada di Castel Ravenloft in direzione del villaggio di Barovia. Il carro si fermò al centro del villaggio. Un alto ed oscuro uomo scese dal sedile del guidatore e suonò un triste e rumoroso richiamo in un corno di ferro. Appena la gente del villaggio si radunò attorno, il guidatore brandì una pergamena. “Si porta a conoscenza che “, lesse, “questa donna è stata scoperta attraversare le stanze di Castel Ravenloft. Per ordine di Strahd Von Zarovich, signore di Barovia, lei è messa a morte. Affinchè altri, che volessero seguire un tale stupido comportamento, tengano conto del suo fato. “ Detto ciò, l’uomo aprì la gabbia e trascinò Jacqueline fuori. Lottò per liberarsi, ma si scoprì troppo debole per opporre un’effettiva resistenza. Piangendo e supplicando per la grazia, fu obbligata ad inginocchiarsi e la sua testa fu posta su un ciocco di legno. Sotto lo sguardo attento della gente di Barovia una grande ascia fu portata avanti e Jacqueline Montarri venne decapitata.
Quando la folla silenziosa si disperse, una rappresentante del clan Zarovan si fece avanti. Raccontò la storia della morte di Madame Eva e chiese che il corpo della ladra fosse dato indietro ai parenti della donna assassinata. In nome del Conte, il boia acconsentì, e la donna portò via il cadavere mutilato. Per parecchi giorni, la Vistani lanciò intricate magie sul corpo. Quando, una settimana dopo la sua morte, Jacqueline fu riportata in vita. Quando le tornò la percezione, scoprì che era chiusa in fondo ad un grande vardo. I vestiti con cui era morta, la tunica di cotone e i pantaloni scuri che preferiva quando andava a rubare, non c’erano. Ora, era vestita dei colori accesi e scompigliati delle donne Vistani. I capelli erano legati indietro con una corda rossa, una larga benda cremisi circondava il suo collo, e i pesanti odori di profumi esotici le scendevano intensamente addosso. Con orrore, Jacqueline realizzò che quelli erano gli stessi vestiti che Madame Eva indossava quando la uccise. Non c’erano segni di sangue sopra, ma i motivi e le decorazioni cuciti sopra erano inconfondibili. La sua mente si annebbiò, Jacqueline provò a ricordare gli eventi che l’avevano portata in quel luogo. Ricordò il suo incontro con Madame Eva ed il suo tentativo di svaligiare Castel Ravenloft. Con un fremito ricordò la sua cattura da parte del Conte, con un’ondata di gelida paura ricordò gli eventi che seguirono. Vide la carrozza, il boia e gli abitanti del villaggio di Barovia. Ricordò perfino l’ascia che cadeva la bruciante oscurità che seguì. Jacqueline sapeva che doveva essere morta. Non c’era modo per cui lei potesse essere sopravvissuta alla decapitazione. In qualche modo gli Zarovan l'avevano riportata in vita. Ma era vita? Terrorizzata, considerò la possibilità che potesse essere un qualche tipo di orrendo non morto. Un controllo veloce rivelò che sia il battito che la respirazione erano normali, così lei mise da parte la paura che non fosse più veramente viva. Certa che qualunque fato l'antico Clan avesse in mente per lei sarebbe stato terribile, decise di fuggire, attingendo alla sua esperienza da ladra per aprire facilmente la porta del carro e scivolando silenziosamente nella notte. Con sua sorpresa, era proprio sola. Non c’era traccia del comitato d’accoglienza che si aspettava di trovare fuori dal carro. Invece, un’ampia radura si estendeva intorno a lei. Gli Zarovan erano stati là, tanto la cosa era evidente dai falò spenti, ma erano ormai lontani. Tranquillizzata, e più che un po’ confusa, Jacqueline lasciò la radura dietro di lei nell’evenienza che i Vistani potessero tornare. Attraversò velocemente la Vecchia Strada di Svalich e scoprì che non era lontana da casa sua. Con il cuore più leggero, accellerò il passo verso Krezk. Le vie del borgo erano quasi deserte, e Jacqueline arrivò all’ingresso di casa sua senza difficoltà. Scivolò dentro e sbarrò la porta dietro di lei. Cercando di dimenticare gli incubi degli ultimi giorni, accese un fuoco e cominciò a scaldare un po’ d’acqua per lavarsi. Decise di dare un ultimo sguardo allo stravagante abito che indossava prima di bruciarlo nel fuoco. Si mise davanti ad uno specchio d’argento e lasciò uscire un urlo di terrore che alcuni dicono può essere ancora udito nei vicoli di Krezk. Nello specchio, vide la flessuosa figura alla quale era abituata. Le sue lunghe, snelle braccia e gambe, tanto in forma e muscolose quanto quelle di un atleta, erano abbellite dal costume gitano che indossava. Il suo volto comunque, era raggrinzito e vecchio. Difatti, la testa sul suo corpo non era nient’altro che quella di Madame Eva. Disgustata, Jacqueline stracciò l’abito colorato, sganciando di fretta bottoni e ganci. Tolse la corda dai suoi capelli, e scoprì che le sue solite trecce arrotolate erano diventate di un ispido grigio. Ma fu soltanto quando tolse il nastro dal suo collo che la reale enormità della Maledizione degli Zarovan si rivelò. Non appena il nastro cremisi cadde dal suo collo, la stanza sembrò inclinarsi all’impazzata intorno a lei. Ebbe la sensazione di cadere e provò inutilmente a riprendersi. Quando riuscì di nuovo a focalizzare, vide la sua nuova testa che sembrava le sorridesse dal pavimento, mentre sul suo collo non sentiva nient’altro. Va comunque lodata la volontà di ferro di Jacqueline Montarri che non perse la ragione immediatamente. Invece, provò a calmarsi e a cercare di capire la maledizione che gravava su di lei. Per esempio, scoprì che poteva controllare il suo corpo normalmente, perfino senza testa. Quando sollevò la raggrinzita testa della vecchia Vistani e la poggiò sul suo collo, cadde di nuovo sul pavimento. Solamente quando la poggio sul suo collo e la legò con il nastro di velluto, questa rimase ferma. Quando alla fine Jacqueline accettò quello che le era successo, giurò di spezzare la maledizione. Scovò di nuovo il campo dei Vistani e chiese di sapere cosa le aveva fatto. Per la maggior parte, le sue uniche risposte furono risate e sbeffeggiamenti. Infine la Raunie, che si dichiarò essere l'erede di Madame Eva, si degnò di parlarle. Lei era aspra, come uno poteva ben eccepire, e sembrava deliziata per la sofferenza che bruciava l’anima di Jacqueline. Disse alla ladra che la sua unica possibilità di liberarsi della maledizione era di trovare la sua testa originale e rimetterla al suo posto. Se questa fosse stato fatto, il desiderio della ragazza di eterna giovinezza e bellezza sarebbe stato esaudito. Quando Jacqueline chiese di sapere dove fosse la sua testa, la  donna rise e andò via. Nei tanti anni passati da quel giorno, Jacqueline aveva imparato molte cose sulla sua maledizione e le sue sottili ramificazioni. La più importante di queste, forse, è che lei può indossare le teste staccate di altri allo stesso modo di quella di Madame Eva. Inoltre, ha scoperto che comincia a sviluppare terribili mal di testa se indossa la stessa testa per più di tre giorni di fila. A causa di ciò, ha accumulato, con una serie di brutali omicidi, una grande collezione di teste in un periodo di molte decadi. La maggior parte delle teste di Jacqueline sono scelte per le loro conoscenze e per le loro attrattive fisiche, dato che la donna è in grado di acquisire ogni tipo di abilità appartenesse alla sua vittima. La stessa vanità che l’ha condotta a sfidare Castel Ravenloft l’ha portata a creare una collezione delle più belle teste che uno può immaginare. Passa innumerevoli ore a truccarle, cambiare le pettinature e ad agghindarle, ha fondato la Compagnia del Vardo Rosso, mercanti e furfanti senza scrupoli che viaggiano per ogni terra in cerca di oggetti preziosi, rari ed insoliti, celando il loro vero fine, cioè scoprire dove sia realmente tenuta nascosta la vera testa di Jacqueline Montarri.

mercoledì 15 ottobre 2014

Onore ai Caduti

Non è ancora tramontato il sole su questa incredibile giornata e Andrej, prima di riposare le membra afflitte dalle ferite della battaglia, porge la sua mente al calore dell'Alba e all'abbraccio del Signore del Mattino.
 
Dio del Mattino, noi uomini d’arme eleviamo a te la nostra Preghiera e il nostro ringraziamento per averci protetto,Dio della Luce, accogli nella Tua pace le spoglie di coloro che, prima del mortale spasimo, conobbero il tormento delle ferite.
Dio della Potenza, esalta nella Tua gloria il valore dei Caduti, tempra i nostri cuori e rendili piú forti del metallo che corazza i nostri corpi.

Signore del Mattino, veglia su di me in questa notte di tenebra poichè lo spirito di chi ho ucciso oggi non torni a tormentarmi.

Mai avrei immaginato di vedere un luogo simile, una costruzione tanto ingegnosa quanto pericolosa, un luogo di dannazione capace di mietere cosi tante vite e far perdere il senno. Un luogo studiato per essere la celebrazione di un'uomo tanto folle da portare con se oggetti maledetti, forse a proteggerlo forse pronti per il suo ritorno sulla terra come dannato.


E' forse quel luogo ad aver trasformato uno dei fratelli che prima di noi avevano tentato l'impresa? Quel fratello che ho ucciso poichè folle? Per la sua sconsideratezza ora dovrà scontare le proprie pene nella Notte Senza Fine nella speranza, un giorno, di vedere l'Alba.
Se cosi fosse, mi chiedo, se non stiamo peccando nell'affidarci a una persona, Gabriel Frech, così interessata ad oggetti di un tale potere e oscurità. Tanto interessa ta mandare più e più volte persone nella Cripta di Quinn Roche, mettendo a rischio le loro anime.
Se da un lato è vero che abbiamo bisogno di assistenza, non dobbiamo forse chiederci da chi la riceviamo? La stessa Lavinia ci ha messo in guardia da lui eppure suo figlio ci scherza e ride insieme?

Oh Luce dell'Alba quante ombre grigie e poco nette appaiono al tuo cospetto. Dammi la fortezza per comprendere. Dammi un cenno per capire. Illuminami sul quello che è e sarà il nostro scopo?!? I miei fratelli Gundarakiti sono in rivolta e da quanto stiamo capendo, oh Signore, noi siamo parte della rivolta. O forse un mero strumento. Quanta indecisione nella mia mente e nessuno spiraglio della tua luce ad illumarmi.

Dammi un segno poichè il mio cuore ora mi dice che dovrei rimanere qui e aiutare il Tuo Tempio, lo Specchio sul Lago ormai privo di guida religiosa e pieno di tuoi fedeli, piccoli ed persi. Ma se il mio cuore mi spinge verso questa via, la mente mi dice che i rischi sono troppi. E che la rivolta Gundarakita è la vera via.


Oh Signore, dammi ora la forza per curare le ferite dei miei compagni e la serenità per affrontare la notte.
Poichè anche la notte più oscura ha la sua Alba.

Finita la preghiera il Monack si leva in piedi, e con passo dolorante per le ferite ma confortato dalla fede, si reca dai suo compagni per curare le ferite e cambiare le medicazioni.

mercoledì 8 ottobre 2014

I DOLORI DEL GIOVANE RAMDIR



Il ricordo è come una lenta lama che si insinua tra le vergini carni, il dolore aumenta ad ogni minima pressione fino a diventare così costante e da non sentirlo più, la lotta contro il tempo in questo caso deve necessariamente arrestare l’incedere della lama prima che tocchi organi vitali. Prima che il ricordo si impossessi della tua stabilità mentale e prima che ti cambi per sempre.Ricordare fa male. Ricordare ti rende consapevole di quel che è stato.
Ma si tratta di un male necessario. Bogdan se lo ripeteva da giorni, dopo aver passato mesi rinchiuso da qualche parte cercando di dimenticare, ora aveva bisogno di ricordare. Un paradosso, pensava il giovane Ramdir, un paradosso necessario, anzi, essenziale per la sua sopravvivenza e per quella degli altri componenti del gruppo. Uno stesso fato beffardo che li aveva uniti in un legame forte e difficile da recidere, tanto che il rapimento di Martha aveva lasciato indelebili segni nel suo animo, aveva significato un ulteriore squarcio alla sua già provata fiducia negli altri.
Così il giovane si aggrappava come poteva a quei pochi bei ricordi che gli erano ormai rimasti. L’infanzia, faticosa dei lavori nei campi ma pur sempre spensierata, considerando quello che da lì a poco gli sarebbe capitato, aveva lasciato il posto, visto anche
come si era conclusa, all’unico momento di vera felicità. Bodo si aggrappava ogni giorno a quel ricordo ed era certo vi si sarebbe aggrappato per il resto della sua vita, o almeno fino a che non avesse avuto modo di provarne di altri, ma giudicando dall’andazzo del recente passato, c’era poco da essere fiduciosi.
Quel ricordo gli era stato utile, gli aveva permesso di dimenticare la cocente delusione provocata da quella che lui credeva essere la sua famiglia, gli aveva insegnato a guardare le situazioni da altre prospettive, gli aveva, infine, permesso di sopravvivere. Nessuno aveva mostrato interesse per Bogdan, se non per qualche fine, gli unici che avevano dato qualcosa senza chiedere nulla in cambio erano Leda, Hugo, Rannarth e lo Straniero. Avevano capito, studiato e aiutato ad uscire dal guscio a quelle abilità che aveva innate dentro di lui. Avevano preso un ragazzino impaurito ed avevano restituito un giovane uomo curioso del mondo circostante e conscio delle proprie capacità, ma soprattutto lo avevano reso meno sensibile al dolore provocato da aspettative tradite. Duri, durissimi i giorni di allenamento intensivo, il tempo ha sempre giocato un ruolo determinante nella vita del giovane Ramdir, non c’era mai tempo per fermarsi, la
voglia di imparare cresceva giorno dopo giorno. Bodo aveva capito fin da subito che quel sacrificio, quell’impegno che profondeva gli sarebbe servito, per rendersi indipendente, per non dover quindi dipendere da nessuno, per potersi forgiare la propria vita, come un fabbro forgia la spada dei sogni, lui sperava di poter dare una direzione alla sua. Era stanco di dover dire grazie, era stanco di dover sottostare a regole e regolamenti che non condivideva, comprendeva le regole del buon vivere, ma non condivideva le assurdità ed i soprusi. Gli insegnamenti quasi ascetici di Hugo, gli aprirono gli occhi, mostrandogli che una guida c’è già, basta aprire gli occhi e confrontarsi con quello che ci accade intorno, la Natura è un’ottima maestra. Crebbe in lui la consapevolezza che ogni causa generava necessariamente un effetto, che ogni cosa accadesse per un preciso disegno, che ogni azione che implicasse modifiche per qualcuno avrebbe portato almeno ad un azione uguale e contraria. Leda, insegnò a Bodo, invece, come capire chi si trovasse difronte, come interpretare certi atteggiamenti, come usarli a proprio vantaggio, se possibile gli donò un pochino della furbizia e
scaltrezza propri di una donna. Capì che la forza bruta era sicuramente un evidente vantaggio, ma che una forza media applicata con saggezza, cercando di colpire i punti deboli del proprio avversario, erano un vantaggio devastante al quale non poteva permettersi di rinunciare. Il controllo della mente sul corpo, il controllo delle sue emozioni, imparò a lasciarle fluire quando esse avessero portato un vantaggio ed a reprimerle, o modificarle a propria convenienza, in caso l’uso cieco delle stesse avesse
portato ad uno svantaggio. Ebbe la fortuna di avere degli ottimi maestri, ebbe la fortuna di vedere con i suoi occhi quel che accadeva poco lontano dal campo di addestramento, visto che lo stesso era collocato in sicurezza ma pur sempre vicino al fronte, dove imperversava una furiosa battaglia. I giorni passarono in fretta, Bogdan avido di imparare nemmeno se ne rese conto, aveva capito che il mezzo per raggiungere la propria pace era l’apprendimento di tutto ciò che gli capitasse a tiro. Aveva compreso benissimo le lezioni di tattica dello Rannarth, aveva fatto sua la calma dello Straniero. Come una spugna assorbiva tutto quello che la vita di campo gli desse modo di apprendere, di certo non si trattava di trattati storici, umanistici o magici, ma poco gli sarebbe importato di questo, lui voleva sopravvivere, e lo avrebbe fatto con ogni mezzo a sua disposizione.

giovedì 2 ottobre 2014

Un passato incerto, un futuro pericoloso

Libro magia



 Le pagine sfogliate, la sensazione dei polpastrelli sulla carta, l'odore acre dell'inchiostro portano Kuzja ad un'improvvisa epifania. Le ore, i giorni passati chino sui libri ad apprendere i dettami di Hala, gli erudimenti per accedere alla Trama sotto la guida attenta dei suoi maestri sovvengono alla mente di Kuzja portando con loro la felicità di quei giorni e la tranquillità di quei luoghi. Anche oggi Kuzja può dirsi felice, avendo ripreso dopo tanto tempo i suoi studi, dopo aver dormito in un posto confortevole e tranquillo senza dover intraprendere un viaggio l'indomani.
Di certo stasera, prima di coricarsi, nelle sue abituali preghiere non mancheranno bendizioni per Lavinia ed i suo figli. Difatti è grazie a loro se Kuzja ha potuto riassaporare questa esperienza e riportare alla mente alcune cose sui suoi anni "bui".
Ora che Kuzja Andrej, Bogdan e Lukan hanno un minimo di tranquillità iniziano a pensare ad i prossimi passi. Tutti giudicano, a malincuore, troppo pericoloso ed avventato pensare di mettersi sulle tracce di Martha, specie con le poche informazioni in loro possesso. In attesa di eventuali novità dalle persone che hanno mosso Lavinia, Mircej e Astrid in loro soccorso, non resterebbe che muoversi verso sud in cerca di notizie di Emilian Buchvold, seguendo le indicazioni del fratello Adrian. Purtroppo il viaggio da intraprendere è pericoloso ed è impensabile mettersi in viaggio a piedi. I mezzi e l'equipaggiamento necessario per affrontare bene il viaggio sono al momento fuori portata per le loro scarsissime risorse a disposizione. Tutti quanti si industriano per trovare modi di raccimolare del denaro: Andrej pensa di recarsi al tempio per vedere se lo possono aiutare e se può pensare di ricoprire il ruolo di monach al momento vacante; inoltre suggerisce di andare a far visita a Nicholas Van Richten, l'uomo che hanno soccorso la sera prima che soggiorna alla locanda Il Mostro del Lago; Kuzja pensa di offrire i propri servigi di erborista e guaritore a Lavinia o ad altri; Bodo propone che ognuno metta a frutto le proprie abilità nei tempi morti, in attesa di qualche impiego più remunerativo, in caso anche di far "visita" notturna ad un negozio
Prima di mettere in pratica i propri propositi si recano da Lavinia per chiedere lei consiglio su come muoversi per guadagnare del denaro senza destare troppe attenzioni, spiengadole il motivo di questa necessità
Lavinia suggerisce loro di leggere le bacheche in città, che pullulano di richieste dal momento che la milizia è impegnata in altre attività, a loro ben note. Inoltre Lavinia fa loro il nome di Gabriel Frech, una sorte di commerciante cui le autorità costituite sono invise e che potrebbe aiutarli a rimediare l'equipaggiamento. Lavinia ha già intrattenuto affari direttamente ed indirettamente con il sig Frech che si è dimostrato abbastanza affidabile, ma comunque avido come ogni commerciante.
Guidati da Mircej si recano alla locanda Il Mostro del Lago ove incontrano, dopo qualche peripezia e con un po di diffidenza, Nicholas Van Richten. Il quale confessa di non chiamarsi in realtà Van Richten, ma di presentarsi così in onore del suo famoso parente, seppure molto alla lontana,  Rudolph Van Ricthen. Il celeberrimo dottore è scomparso ormai da tempo ma Nicholas è ben intenzionato a risalire ai suoi assassini. Dopo un pranzo rifocillatore ed una chiaccherata si scopre che Nicholas potrebbe aver bisogno di avvalersi dell'aiuto che Kuzja Andrej, Bogdan, Lukan e forse Mircej e Astrid possono fornirgli per perseguire il suo ambizioso obiettivo. Tutto ciò dopo aver compiuto da solo alcune ulteriori indagini necessarie a muovere i prossimi passi: concluse queste indagini nel giro di qualche giorno si farà vivo lui stesso.
Dopo il pasto i sei compagni si soffermano a leggere gli annunci in bacheca, trovando solamente un annuncio interessante riguardante un miniera in montagna da liberare da una qualche forma oscura che la infesterebbe. Fatto peraltro già a loro noto essendo già passati nel posto in questione prima di arrivare a Vallaki.

Ricordi perduti
Si avviano quindi fuorì città per recarsi da Gabriel Frech ed Astrid approfitta del tragitto per chiedere a Kuzja, Andrej, Bogdan e Lukan chi essi siano realmente. Domanda cui è affatto banale per i quattro compagni rispondere, visti i loro vuoti di memoria ed i mille interrogativi che ancora li attanagliano. Nonostante ciò Kuzja, rinfrancato riguardo le reali intenzioni di Astrid ed intenzionato a mostrarsi cordiale nei confronti dei due ragazzi, racconta le loro recenti peripezie, la separazione dolorosa dalle famiglie, il vuoto che riempe gli utlimi anni delle loro vite. Mircej in particolare sembra molto interessato alla storia e cerca di elucubrare vari scenari per spiegare alcuni collegamenti mancanti a causa delle amnesie. Purtroppo la verità su quegli anni ancora deve venire alla luce e molte domande i quattro sperano troveranno risposta recandosi a sud.

Nel frattempo il gruppo giunge alla fattoria di Gabriel Frech, che si presenta un uomo mediamente elegante con dei folti baffi scuri a caratterizarne il viso.
Kuzja, Andrej e Bogdan illustrano le loro necessità al sig. Frech e stabiliscono dell'attrezzatura di massima per affrontare il viaggio: un vardo, quattro cavalli pesanti, provviste, abiti, vettovaglie ed una guida. Il prezzo per il tutto è di mille monete d'oro. Un'altra richiesta fatta al ricettatore è quella di un posto riservato ove risiedere in attesa di mettere da parte la cifra richiesta, magari per partire al ritorno della bella stagione. Capite le difficoltà economiche del gruppo Frech avanza una sua richiesta a Mircej, richiedendo un possedimento della madre che abbasserebbe di molto il prezzo. Il possidemento è una rara moneta Terg, che Lavinia, quando Mircej le riferisce la richiesta  di Gabriel Frech,  spiega possa essere usata per accedere famigerata Cripta di Quinn Roche. Lavinia cede la moneta a Mircej, non prima di averlo ammonito riguardo il prossimo passo che Frech chiederà loro e di essersi accertata che il ragazzo sia consapevole dei pericoli cui rischia di andare incontro accettando lo scambio.
Cripta Quinn Roche
L'avvertimento di Lavinia si conferma realtà quando Mircej torna dal ricettatore : per ripagarlo dell'equipaggiamento richiesto Frech vuole che Mircej e gli altri entri nella cripta per recuperare un'arma incantata. Egli sostiene che il primo livello della cripta sia stato in gran parte svaligiato e ripulito da trappole e pericoli, tranne per poche stanze in cui si trova per l'appunto l'oggetto dei suoi desideri. Kuzja, Andrej , Bogdan, Lukan, Mircej ed Astrid accettano di scendere nella cripta a patto di essere opportunamente equipaggiati. Le loro richieste vengono accontentate ed assieme all'equipaggiamento ricevono un'altra moneta Terg: Gabriel Frech spiega che questa seconda moneta servirà per uscire dalla cripta. Nel farlo guarda severamente Mircej ed ammonisce il gruppo: "Se tornerete indietro per paura a mani vuote vi considererò debitori per questa !"