mercoledì 28 dicembre 2016

Errando per Laitia - Interludio 2

De li Fumi di Nelea

La storia recente di Maro è nota a chiunque abbia orecchie funzionanti et uno cervello anche appena più voluminoso di quello di uno racchino. Su li soprusi et capricci de lo Imperatore Savio Vistiliano et de li screzi con li suoi più ostinati oppositori, quali Fra Graticola et altri noti urlatori di piazza, non reputo quindi necessario soffermarmi. Le righe che seguono andranno invece a raccontare una storia che difficilmente sarà mai nota al di fuori de li confini de la Zolia, visto che lo spietato et lungimirante Imperatore si premurò con tanto impegno di mettere a tacere ogni voce susseguente la caduta de li restanti Alti Signori di Maro, un tempo suoi pari.


Tra le nobili famiglie che si radunavano attorno a tavole imbandite, su scranni di velluto rosso, in alte sale con sontuose colonne et mirabolanti affreschi, ve n'erano di più et meno importanti, di più et meno influenti, ma tutti questi avevano in qualche misura voce in capitolo et tutti vennero infine trattati come rivali, contendenti a uno trono che lo stesso Consiglio de le Stirpi tanto premeva, a ragion veduta, per lasciar vacante.
Lo Signore di Nelea, possedeva una imponente tenuta fuori da le mura di Maro, oltre la sponda orientale de lo fiume Albula, su la quale crescevano rigogliosi et aurei decine di alberi di Maggiociondolo, chiamato anche Catena Dorata, che divenne poi lo stemma di famiglia. Egli discendeva da uno capitano mercenario proveniente da la Ilcisia cui era stato concesso titolo et podere per li servigi resi a lo Consiglio de le Stirpi durante le invasioni iperboree. Nelea prosperò ne li anni promuovendo li commerci ne le terre circostanti, soprattutto la Ciraiocia, et difendendo le sponde orientali de lo fiume finché lo suo Signore ebbe abbastanza influenza per poter sedere con li altri magnaccioni che decisero per secoli de lo fato di Maro.

Le generazioni si susseguirono per Nelea come in tutta Laitia. A le invasioni di Giscardo lo Smazzolatore seguì lo ritorno de la Entità Contraria, la terribile Peste Viola et lo Grande Anatema che sembrò ridar speranza ad uno regno fin troppo turbolento.
Fu proprio in quei pochi anni di pace che nacque in Laitia lo ultimo erede de la dinastia di Nelea, cui diedero il nome di Pirreo.
Lo fanciullo crebbe in buona salute et senza difficoltà alcuna ne la quiete et li agi de la tenuta di famiglia, circondato da fedeli servitori et amici in una realtà che sembrava esser fatta a sua misura, ne la quale non v'era spazio alcuno per problemi o preoccupazioni.
Lo fatto che li poderi di famiglia fossero dislocati fuori da lo centro nevralgico de lo governo di Maro facevano si che Nelea fosse meno invischiata ne li traffici et sordide macchinazioni de li Alti Signori, ma allo stesso tempo che la sua influenza fosse alquanto trascurabile se paragonata a quella esercitata da veri et propri gerarchi quali Vistiliano, che si interessavano di religione oltre che de la cosa pubblica.
Pirreo di Nelea divenne fanciullo destinato quindi a prender lo posto de lo Signore suo padre, dando sempre impressione di essere arguto et educato, in grado di comportarsi a modo sia con i suoi pari che con la servitù tutta et tutti gli volevano un gran bene.

L'adolescenza, si sa, è una brutta bestia... in grado di mutar agnelli in lupi et viceversa, o più semplicemente di far diverger le opinioni di figli et padri, portandoli a conflitto aperto.
Lo Signore di Nelea, fino a quel punto sempre soddisfatto de li giudizi entusiasti che li tutori professavano per lo suo unico erede, gradiva che Pirreo si dedicasse come suo dovere a l'arte de la politica et del commercio, egli però scoprì qualcosa di più interessante che finì per assorbirlo completamente...
Venne uno girodì di inverno, ne la tenuta di Nelea, uno vagabondo itinerante, appellatosi Dottor Pacubio, stanco et affaticato da uno viaggio estenuante et in cerca di riparo da lo maltempo di quel periodo. Egli venne ospitato di buon grado et Pirreo, che faceva le veci di suo padre, fece così la sua conoscenza.


Tale Pacubio, seppur svampito, si rivelò essere uno formidabile alchimista et li racconti et dimostrazioni che seppe elargire a lo giovane rampollo furon talmente sbalorditive che lo ragazzo ne rimase talmente affascinato da volergli chiedere di restare ed insegnargli. Improvvisamente per Pirreo la realtà cui era stato abituato sembrava stretta, limitata, di fronte a la conoscenza che racchiudeva il potere di mutarla a proprio piacimento.
Chiese a lo viandante di restare, ma ricevette un diniego alquanto sconclusionato et a nulla serviron copiose offerte pecuniarie. Pochi girodì dopo lo alchimista era andato via et lo Signore di Nelea fece ritorno al suo maniero.
Lo ragazzo insistette con lo genitore per avere uno mentore et dedicarsi a la Scienza Arcana, ma ancora una volta non venne accontentato perché lo suo destino era quello di governare un podere et gestire oro puro, non di chiudersi in uno scantinato a produrne di fasullo!
Pirreo si dimostrò comunque assai determinato et attingendo a li suoi risparmi et approfittando de le lunghe assenze de lo Signore si procurò li tomi adatti et attrezzò uno suo laboratorio in cui lentamente iniziò a fare i primi esperimenti.

La mente del ragazzo era sicuramente adatta a tale arte, veloce et intuitiva, eppure senza mentore che sapesse fornire li giusti consigli et distinguere uno tomo farlocco da uno autentico et inestimabile, gli insuccessi erano sempre più numerosi de li piccoli successi. Apprendere si dimostrò lento et difficoltoso: occorreva trovar rimedio.
Una volta, mentre lo Signore di Nelea era assente, Pirreo incaricò Bastiano, lo più fidato de li suoi servi, di recarsi a Maro et commissionare uno intruglio ad uno alchimista di professione: lo composto doveva servire per incrementare le capacità mentali, di intuito et immaginazione oltre li limiti de lo soggetto.
Bastiano tornò con quanto richiesto et Pirreo si chiuse per interi girodì ne le sue stanze a lavorare sul composto, la sua idea infatti non era quella di berla, perché ben conosceva la effimera durata di tali pozioni, inadatte a lunghe sessioni di apprendimento, bensì aveva intenzione, tramite processo inverso, di scomporla et ricrearla con le qualità specifiche di cui necessitava.

Occorsero interi cicli lunari, lunghe stagioni, di lavoro segreto ne lo suo laboratorio, quando lo Signore di Nelea era in viaggio per affari o in quel di Maro per sedute di governo. Da li comignoli iniziarono ad uscire fumate multicolori, a volte scoppi et fitta fuliggine spaventavano a morte l'anziano Bastiano che temeva di dover ripescar lo cadavere carbonizzato de lo erede di Nelea da le sue stanze, eppure Pirreo ottenne infine uno successo.
Lo filtro, battezzato in Lingua Antica, Imago Mentis, avea durata assai superiore a quello di partenza et spettro assai più ampio, ideale tanto per riconoscere l'esatta composizione di una sostanza poggiandola su la lingua, quanto per percepir rumori assai distanti o contar le zampe di uno millepiedi su lo muro opposto de lo cortile. Quello che lo esaltato rampollo non avea considerato erano però li tremendi effetti collaterali.
Lo estratto così perfezionato non avea necessità alcuna di venir trangugiato, bastava infatti inalarne li vapori per sortir taluni effetti non voluti, et la lunghissima esposizione cui Pirreo si era sottoposto ne li ultimi mesi aveva avuto effetti che a tutti, tranne che lui, erano palesemente evidenti.
Ne era diventato completamente assuefatto, tanto che non riusciva per un girodì intero a farne a meno senza dar di matto o cominciare a delirare, ma la produzione a lo stato attuale era talmente difficoltosa et dispendiosa che raramente riusciva a ricavarne quantità soddisfacenti. Ne risentì lo suo ruolo et la sua immagine, specie quando lo videro ad orinare ne lo cortile su la statua de la bisavola, o quando nudo si affacciò da le sue stanze a vomitare su sua cugina Lisia in visita di cortesia, o quando ancora provò ad accoppiarsi con uno povero racchino che Bastiano riuscì miracolosamente a salvare in tempo.

Lo Signore alfine mangiò la foglia et proibì a lo suo figlio ogni pratica alchemica. A lo laboratorio venne dato fuoco per intero et lo fanciullo legato a lo letto fino a che non fosse rinsavito manco fosse indemoniato!
Da la tenuta di Nelea si levarono per molti girodì fumi densi et variopinti mentre le fiamme distruggevano anni di lavoro et incondizionata dedizione et le urla deliranti di Pirreo non accennavano ad estinguersi, a lo contrario de li suoi sogni.
Dopo giorni di agonia si dice che li deliri terminarono d'improvviso et tornò lo silenzio.

Lo Signore di Nelea si fece aprire le porte de la stanza: era vuota, li lacci sciolti et solo uno ramoscello di Maggiociondolo su lo letto, madido di sudore, accanto una fiala vuota con dei rimasugli di fluido bluastro.
Bastiano, che fedele come sempre provava tanta pena per lo ostinato et sfortunato signorino, anche a dispetto de lo autoritario et determinato padrone, sparì anche lui quel giorno et venne cercato in lungo et largo per tutta Maro et dintorni senza mai esser ritrovato et del giovane Pirreo anche si perse ogni traccia.
Lo Signore di Nelea divenne furibondo, iracondo et assai depresso di fronte a tale sciagura. Cadde in una spirale di autodistruzione che lo portò a perder potere, influenza, ricchezze et infine a schierarsi con le persone sbagliate. Quando, ormai quattro anni or sono, l'Alto Signore Savio Vistiliano si proclamò Imperatore, Nelea perse ogni influenza, lo suo Signore si spense pochi cicli lunari or sono, lasciandoci senza un padrone.

De lo padre mio Bastiano nessuno seppe più nulla, ma dubito, vista la sua età, che sia ancora in giro; che le Divinità Pristine lo perdonino per quanto ha fatto...
De lo giovane Pirreo di Nelea anche, fino a pochi girodì orsono, non v'era traccia, poi sentii di questa ballata: Lo Mulino Beffardo di un tale Scarlatto Peregrino et di uno gruppo di Eclettici Viandanti in quel de la Gruilia, lo frate Frandonato, lo cavalier Galvano et lo alchimista Alburno.
Ero piccolo allora, ma affascinato da li fumi colorati et profumati dagli effetti imprevedibili, da lo vivace et pazzoide erede di Nelea. Mi rivenne in mente la sua stanza vuota in cui entrai di nascosto dopo che se ne fu andato, lo rametto di Maggiociondolo dai fiori dorati che il giovane Pirreo amava chiamare con lo suo nome alchemico, Laburnum, et alfine realizzai...

venerdì 16 dicembre 2016

Gli eclettici viandanti





Siori e Siore oggi vi narrerò una storia
la gentil novella de la compagnia senza boria

Non v'e' più sant'uomo de lo nostro frate che amoroso
pieno de vita, de fame ma da lo core mai ombroso

Li studiosi de solito son ben noiosi
Lo Magistro nostro invece ce fa ride con botti fragorosi

De tutti li cavalieri onorevoli, senza macchia et assai noti
a noi è capitato quello che dell'equilibrio ha preso i voti

A chiosar lo stravagante et temibil quartetto 
c'è  un tipo eclettico, poeta, giocoliere et ballerino provetto

Non fu per caso che si ritrovaron ad agir comunemente
attraversaron na Porta tra le nebbie apparse improvvisamente

De strada ne feceron tanta tra la gente incuriosita
risolvenno malanni et problemi con no schiocco de dita

Non vi è anfratto, ladro, fiera o malefatta
che li quattro compari non risolsero a spada tratta

De opere teatrali ne scrissi tante de poesie vergai pagine intere
ma non ti crucciar se hai tempo e denari per sentir di storie vere

Orsù non montar quel viso tristo e sconfortato
Chiama la compagnia e sarai accontentato

mercoledì 14 dicembre 2016

Errando per Laitia - Episodio 10

De le Eredità Fantastiche et Dove Trovarle

Quanto sto per narrarvi accadde più o meno contemporaneamente lo mio arrivo in quel di Zena, ove ebbe inizio la mia cerca, ove venni prima truffato, poi rapinato et infine malmenato. Ove dovetti decidere se persistere oppure arrendermi, ove... meglio non divagare: non è di me che su codeste sottili pergamene intendo dissertare.

Lo rudere di Castel Vero attendeva immoto. La fitta vegetazione che ricopriva li colli circostanti si scansava appena per lasciar scorrer lo fiume Blebo che biforcuto lambiva la antica et solidissima roccia nelle cui profondità affondavano le fondamenta de lo maniero. La profonda quiete de le rovine, ne la aria limpida di una tiepida mattinata estiva, sembrava richiamar a se lo gruppetto di avventurieri, pronti a calarsi in una nuova, intrepida impresa in illo loco che, nonostante lo degrado, già ad uno primo sguardo appariva permeato di fascino ancestrale et solenne maestosità.

Non v'è vittoria senza sfida, non v'è soddisfazione in una vittoria che non dia sfoggio di grande abilità, volontà o acume. La prima sfida fu rappresentata da lo ponte levatoio, o meglio, da lo fatto che fosse crollato, la prima vittoria che conseguì quella giornata lo saggio Alburno, per sua grande soddisfazione.
Per attraversar lo baratro con minimi rischi lo abile alchimista mise subito a frutto nuove mirabolanti formule che grazie ad inflessibile dedizione avea continuato a mettere a punto mentre li suoi compari comunemente riposavano o bighellonavano. Fu così che rese una floscia scala di corda solida passerella dura come lo ferro, su la quale tutta la comitiva poté attraversare lo fossato in relativa sicurezza.
Una volta tra le mura de la antica dimora de lo Pio Conte, lo Magistro decise di aver già dato mirabile supporto a la spedizione et, ne la sua magnanimità, volle lasciar gloria pure a li suoi valorosi compari. Decise quindi di sedersi su le pietre dismesse di una parete crollata ad abbeverarsi, lasciando lo cavalier Galvano, lo frate Frandonato et lo poliedrico Tristano ad esplorar li anfratti ancora integri de la pianta de la fortezza.

Non passaron che pochi granelli di clessidra quando uno grido di allarme fece trasalir lo Peregrino et Alburno che accorser trafelati a prestar soccorso a li lor compari, incappati malauguratamente ne la trappola di una curiosa creatura vegetale. Lo secolare alberone ne lo cortile offriva appoggio a la salma di uno antico cavaliere, ormai ridotto a mero ammasso di ossa marcescenti et metallo arrugginito, Frandonato et Galvano s'eran accostati per riconoscerne li emblemi su lo surcotto malandato et eran caduti vittima de lo attacco di uno pericoloso Brassabosca: vegetale animato, molto aggressivo, che sole nutrirsi di incauti che indugiano sotto le sue fronde grazie a lunghe et resistenti liane urticanti.
Per fortuna de li nostri eroi la spada de lo cavaliere era rapida et affilata et li trasse d'impaccio senza sforzi eccessivi. Deciser saggiamente di non sfrugugliar la creatura più de lo necessario et accostandosi a lo muro passaron oltre.

Ne la stanza immediatamente successiva, rimasta a cielo aperto in seguito ad uno crollo, la parete era ricoperta da uno fitto rampicante, a malapena visibile era la liscia pietra dietro arbusti et foglie d'edera. Tristano ebbe la buona idea di strapparne quanta più possibile, rivelando dietro essa lo contorno di uno ingresso nascosto che conducea ad una ripida scala verso il basso, verso un cupo sotterraneo.
La discesa fu parimenti buia, pericolante et umida, viste le condizioni di totale abbandono in cui vertevan le rovine. Frandonato apriva coraggiosamente la via, intenzionato a ritrovar l'Eredità promessa da la pergamena in suo possesso, mentre lo Magistro chiudeva il gruppo torcia in mano, aiutandosi con lo bastone a scender la scala scivolosa con in spalla lo ingombrante laboratorio portatile stracolmo de li frammenti grezzi de lo suo potere.

Lo cunicolo terminò bruscamente in una sala più ampia, parzialmente edificata, tra colonne crollate et capitelli superstiti, et parzialmente scavata ne la roccia, tra la quale si intravedea lo piccolo altare di pietra di uno culto antico, ormai sepolto da erbaccia et fango.
Quando Frandonato si avvicinò per esaminarlo da presso li predatori in agguato colpirono impietosi. Tele di ragno sommersero tutti, tranne Alburno che era per sua fortuna qualche passo indietro, et quando le orribili creature, da lo corpo grosso come uno grasso racchino et zampe irsute ancor più schifose, piombarono su li suoi compari la situazione sembrò precipitare.

La seconda sfida fu mostrare a tutti che anche quando intrugli, astuzia et conoscenza non possono trar d'impaccio, lo vero eroe è impavido et sa come farsi valere. A suon di mazzate lo Magistro iniziò a pestar le bestiacce come una brava massaia batte li panni appesi ad asciugare, lasciando lo tempo a li suoi compari di liberarsi, miracolosamente illesi, da la ferale imboscata.
Ne la stanza lo Peregrino trovò una nuova uscita, celata da una pesante porta scorrevole di solida roccia, et mentre Frandonato riconosceva ne lo altare li antichi simboli de lo Signore Senza Tempo, precedenti forse a la Croce Tau stessa, lo cavalier Galvano decise di perdere la brocca.

Cosa ti aspetti da uno uomo d'arme addestrato a l'Equilibrio? Che sollevi lo scudo suo per protegger li alleati, che si schieri primo innanzi a lo pericolo, spada in resta, pronto a punir li vili et difendere li oppressi, che sia primo anche innanzi ad altri con animo avventuroso come il suo a gettarsi ne la oscurità ne lo nome de la sua missione, de lo suo altissimo et equilibratissimo scopo.
Almeno questo è quanto Alburno immaginava prima di veder Galvano sgranare gli occhi, come avesse visto Frandonato che scopa mentre divora una torta di ricotta, et proclamar di aver avuto uno presagio di sventura, di aver già vissuto tale scena et che sarebber tutti morti di lì a breve se uno prode et coraggioso non fosse rimasto indietro a tener la porta.
Lo Magistro si sforzò di capire et non capendo annusò l'aria aspettandosi odor di feci calde, ma con disappunto continuò a non trovare logica spiegazione a tal comportamento. Incrociò gli sguardi parimenti attoniti di Tristano et Frandonato et quando si voltò di nuovo lo cavaliere era già a metà strada per le scale, reggendo convintamente la parte de lo eroe che resta su la soglia a perir per la salvezza de li compari.
Peccato che fuori fosse una splendida giornata estiva et innanzi a loro li attendesser diabolici indovinelli et mortali tranelli.

Gli avventurieri, nuovamente in tre, deciser di procedere anche se allibiti et inforcarono lo nuovo corridoio, che si inoltrava ne li dimenticati sotterranei di Castel Vero.
La prima trappola in cui incapparono era alquanto palese et, ovviamente, li colse impreparati.
Innescato uno meccanismo su uno scalino, si aprì una botola su lo soffitto, direttamente connessa con lo fiume Blebo, ormai soprastante. Lo sciacquone artificiale trascinò verso una morte orribile, fatta di spuntoni acuminati sullo muro innanzi, li tre sventurati che ebbero a salvarsi solamente grazie a buoni riflessi ed un bel po' di buona sorte: lo Peregrino trovò appiglio in uno anello per regger torce su la parete, Frandonato gettandosi subito di lato ne lo fondo de le scale, et Alburno sbattendo pesantemente il grugno su la parete, ma, miracolosamente senza che nessuna lama lo trafiggesse.
Ripresisi da lo immediato scossone decisero di procedere con estrema cautela.

La mappa in lor possesso rivelava con dicreta accuratezza lo dipanarsi di stanze et gallerie di quella che sembrava essere una antica catacomba di una epoca in cui le Divinità Pristine ancora non tolleravano la presenza de li seguaci de lo Signore Senza Tempo.
Secondo li appunti vergati da li monaci, in stanze a le estremità opposte de lo sotterraneo, si trovavan due chiavi et uno tesoro. Lo percorso era chiaro, li ostacoli ancora ignoti.
Durante li primi passi tra le umide et tenebrose sale li eroi notaron cripte de lo Pio Conte et de li suoi avi et una scritta più recente, ormai quasi del tutto cancellata da muffa et intemperie, recante una classica invocazione a San Cisso: "La Morale è Chiodo Fisso!"
Lo Peregrino et lo Magistro ignoravano chi fosse lo sacro in questione, ma Frandonato aveva ancor qualche reminiscenza de la sua non rimpianta clausura et seppe darne sfoggio dinnanzi a lo primo enigma che bloccò loro lo passo.

La porta innanzi a loro era massiccia, a lo contrario de le altre fatta per durar ne lo tempo et senza alcuna serratura. A la sommità de lo suo arco imperava la scritta: "Solo l'Uomo di Fede potrà passare!".
Parve incredibile anche a lo Magistro, ma dopo aver visto uno Cavaliere dell'Equilibrio farsela addosso davanti ad un tetro corridoio si convinse che tutto poteva essere, et così accettò che Frandonato apponesse la sua croce tau su lo stemma de la porta et pregasse San Cisso di consentir loro accesso, di fatto aprendo l'uscio invalicabile senza sforzo alcuno.

Li eroi non ebber molto di che lodarsi, dato che lo atrio successivo colse impreparata la loro avidità. Invitanti sacchetti strabordanti di cei giacevano incustoditi su lo pavimento. Lo Peregrino aprì la bocca per dir che qualcosa non gli tornava ma Alburno et Frandonato eran già lì pronti ad intascarseli. Scontato dire che essi eran collegati a trappole letali. Uno dardo colpì lo frate in pieno petto, infrangendosi in mille pezzi contro maglia et pettorali, entrambi di ferro, lo secondo meccanismo invece era assai arrugginito et lo Magistro, che forse avea considerato le infime probabilità che la trappola fosse ancora funzionante, ne uscì di nuovo, fortunosamente illeso.

Se da un lato la stanza rivelava una uscita nascosta per li livelli superiori, la loro meta, la prima chiave, era ne la direzione opposta, dietro una nuova porta stavolta chiusa a chiave.
Tristano ebbe modo di mettersi in mostra anche senza pubblico femminile, dimostrando di saperci fare con tutti i buchi, anche quelli de la serratura.
La vergogna di esser caduti così scioccamente ne lo tranello che solleticava la lor fame di ricchezze era ancora troppo fresca et aiutò non poco a superar la sfida successiva: non cedere a la tentazione di una intera tavola imbandita con ogni genere di leccornia, vini et nettari finissimi cui persino Frandonato seppe resister concentrandosi su la totale assurdità de la cosa. Le vivande si rivelaron poco dopo effettivamente sotto effetto di uno incantesimo che faceva apparir appetitosi li rimasugli corrotti, avvelenati et marcescenti di uno banchetto fatale.

Dei tre compari lo Magistro è sicuramente quello meno incline a cedere alle tentazioni, la sua passione per lo conio et per le gemme è puramente accademica, essendo spesso essi strumenti utili a li suoi esperimenti. Dava per scontato che tutti ormai sapessero che ne la stanza successiva sarebbero stati nuovamente tentati et che qualsiasi cosa avessero incontrato sarebbe stato meglio tener le mani a posto. Gli venne da sorrider vedendo quanto scioccamente lo ideatore di quei tranelli osasse cercare di corromperlo: chi poteva mai credere che in una stanza perduta, dimenticata da ere, sepolta sotto rovine incantate di uno fatiscente castello, potessero esserci avvenenti donne di piacere pronte a soddisfare li loro desideri più lussuriosi?
Nessuno ci sarebbe mai cascato...

... eccetto li suoi compari. Entrambi.
Tempo che Alburno, consultando la mappa, dicesse "La prima chiave deve essere qui!" quelli già eran pronti a chiavare.
La porta iniziò a cigolare et richiudersi a le loro spalle, Frandonato et Tristano vittime di una triste illusione pomiciavano con cadaveri essiccati et la stanza iniziava a riempirsi d'acqua che presto li avrebbe annegati.

La terza sfida fu smettere di imprecare contro le infime debolezze de la carne che li avevano messi in quel guaio, rendersi conto di essere la unica loro salvezza et bloccare lo meccanismo de la porta per dar tempo a li due di rinsavire et mettersi al sicuro.
Frandonato et Tristano quanto meno ci miser poco a farselo smosciare. Appena ripresisi da lo sortilegio sentirono lo umido a le caviglie, lo primo si fiondò a la porta per prendere il posto de lo stremato Magistro, lo secondo scattò a rovistar tra la mobilia in cerca de la agognata chiave.
Quando lo reperto fu infine ne le sue mani si scaraventaron tutti et tre fuori da la stanza assassina. Stremati ma soddisfatti: la prima prova era infine superata.

La seconda chiave richiese sforzo molto maggiore da parte di Frandonato ma fu quasi riposante per li altri due che concordaron che, essendo lo più massiccio et interessato ne lo trovar le Eredità a lui destinate, dovesse fare da apripista.
Lo pavimento che aveano dinnanzi presentava uno gran numero di piastrelle, larghe almeno quattro cubiti, su ognuna de le quali era impresso un carattere. Lo sentiero che era possibile tracciare percorrendole formava una moltitudine non indifferente di parole et era chiaro che la via non mortale sarebbe stata solo una:
CISSO - CASTO - FESSO - PIRLA - CESTO - DOTTO
Di prove ne fecero a bizzeffe, senza mai indovinar quella corretta, et ogni volta Frandonato si faceva uno volo di una mezza dozzina di cubiti su spuntoni in legno per fortuna vecchi et marcescenti, uscendone malconcio ma soprattutto assai stufo di doversi ogni volta ritirar su, illeso solamente grazie a la sua costituzione et virilità degna persino de le leggende iperboree.
Insomma lo percorso giusto era lungo la parola FISSO, come lo chiodo de lo motto di San Cisso... ma vacci a pensare?

La chiave era custodita da uno antico guardiano, scheletrico in armatura, animato da magia oscura. Venne mazzuolato senza pietà alcuna da lo maglio de lo frate, mentre lo Magistro fondeva uno paio di altri simili immondi che avventatamente avevano provato a metter teschio fuori da li lor sarcofagi. I tre tornarono su li loro passi gustandosi lo piacevole odor di mentolo de lo Foco de lo Alchimista che per un po' coprì ogni tanfo di umido, vecchio et morte ne la micidiale catacomba de lo Pio Conte.

La sala in cui inserire ambo le chiavi era segnata chiaramente su la mappa. Li eroi, memori delle batoste prese, seppero evitar uno paio di meccanismi atti a far scattar novi et diabolici strumenti di dolore. Varcaron la soglia di uno ampio et profondo stanzone che ospitava diversi sepolcri, disposti su ambo i lati, et terminava con uno massiccio colonnone scolpito ne la roccia ne lo quale due serrature sbloccavano altrettanti solidi cassetti.
Guardinghi et cauti, viste le molte sorprese fino a quel punto loro riservate da li perversi architetti de la catacomba, lo Magistro et lo Peregrino si fecero qualche cubito più in là mentre Frandonato temerario sbloccava li meccanismi.
Inizialmente nulla sembrò succedere et con somma curiosità di tutti lo frate estrasse li agognati tesori da li rispettivi nascondigli: essi consistevano in uno sacchetto di cuoio, celante almeno uno paio di minuti oggetti, uno barattolo di ceci, a prima occhiata duri come selci, et uno imponente padellone di massiccio metallo la cui impugnatura superava li due cubiti di lunghezza.

Ovviamente non vi fu tempo di esaminar meglio le reliquie trafugate: la trappola finale, riservata loro da lo Pio Conte, era stata già innescata.
La sala intera tremò, lo pavimento sotto li loro piedi si mosse et lentamente iniziò a precipitare verso il basso, lasciando in alto solo le bare di pietra lungo i muri, una ristretta sequenza di mattonelle isolate ne lo centro et la agognata uscita che diveniva via via più lontana.
Agilmente li tre saltarono al sicuro: Alburno et Tristano lungo li lati, su li sarcofagi, Frandonato su una de le mattonelle centrali, divenute ormai pilastri.
Lo pavimento però continuava ad allontanarsi sotto li loro sguardi et come se non bastasse li coperchi de le bare iniziarono a scuotersi, li loro occupanti stavano prendendo vita!

La ultima sfida consistette ne lo valutar la intera situazione in uno battito di ciglia, soppesare li pro et li contro, le scarse risorse ancora a disposizione et la brutta piega che li eventi stavano prendendo. La vittoria fu nel comprendere che la fuga sarebbe stata la via unica per trarsi d'impaccio.
Lo pavimento distava ormai già una decina di cubiti et non accennava ad arrestar la sua corsa, era tanto ma ancora non troppo, d'altro canto zompare di bara in bara, di pilastro in pilastro, come intendevan far li due compari, ma portando su le spalle lo delicato et ingombrante laboratorio portatile, sarebbe stato assai più rischioso. Alburno decise così di improvvisare et si lasciò cadere crollando pesantemente al suolo.
Ne lo mentre lo Peregrino et Frandonato avean iniziato a farsi strada verso la uscita a suon di balzi, ma li scheletri guardiani, ridestati da lo lor sonno secolare, facevano di tutto per impedir loro di proseguire con archi et lame. Lo frate incassava colpi et deviava frecce con la padellona appena conquistata, rimanendo stoicamente in bilico et un paio di volte persino appeso per una sola mano non cedette fino all'ultimo. Tristano scagliò lame finché ne ebbe ne la saccoccia, aiutando il compagno et attirando su di se anche lo tiro del nemico, a la fine dovette pensare a salvarsi le terga, mutandosi in fringuello et svolazzando fino a la salvezza.

Lo Magistro invece si riprese dolorante da lo gran botto, tutto sommato illeso. Era conscio di essere saltato di sua sponte in uno vicolo cieco, ma non lo avrebbe mai fatto senza uno piano per venirne fuori. Gli rimanevan due pozioni, soltanto due et non v'era tempo per farne di nuove, li insegnamenti de la più elevata de le scienze arcane dettano che la materia è la stessa per tutte le cose, et lo approfondito studio de la Regola Aurea lo avean reso alquanto abile ne lo improvvisar filtri mescolandoli tra loro.
Aveva uno solo tentativo: crear lo filtro che lo avrebbe tratto d'impaccio o restar sepolto ne le profondità de la cripta crivellato da li dardi de li imperituri guardiani.

Ne lo mentre, Frandonato ormai ferito barcollava, mulinando maglio et padella come meglio potea per tenere indietro le orde non morte. Tristano riprese forma umana, da uccelletto qual era, giusto su la soglia de la uscita, si volse et scagliò una ultima lama per coprir lo disperato tentativo di fuga del compare.
Appena alcuni secondi dopo, a lo suo fianco, uno lucertolone lungo quasi mezzo braccio si arrampicò da lo pavimento sprofondato. Lo Magistro Alburno sorse vittorioso, riprendendo forma umana con aria tronfia per lo successo de lo suo piano. Afferrata la Diabolica Cerbottana si volse et assieme a lo Peregrino liberò la via di fuga al compare in difficoltà.

Lo mio mentore, in ogni suo racconto, non mancò mai di rimarcare li aspetti più mirabili de li baldi cui si accompagnava: l'ecletticità et la dote di arrangiarsi in ogni situazione di Tristano, lo vigore et inesauribile energia di Frandonato. Mal sopportava alcuni lati de lo lor carattere, talune perversioni, ma mai avrebbe immaginato più validi alleati a lo suo fianco. Lo rapporto di stima virava man mano in amicizia. Anche in codesta ardua prova eran riusciti a trionfare, ne eran emersi non illesi ma uniti, spalleggiandosi et completandosi con le rispettive capacità.

Eppure lo lor cammino era ancora a li inizi, persino l'uscita da la catacomba avrebbe rivelato ancora qualche sorpresa. Tanto per cominciare dovean capire cosa avesse lasciato loro ne lo sacchetto lo grigio Magistro S. et cosa potesse esser capitato a lo bizzarro cavalier Galvano...

mercoledì 7 dicembre 2016

L'equilibrio smarrito


I cadaveri dei ragni giacevano li, inerti e in attesa dell'inevitabile decomposizione.
Ancora col fiatone per l'inaspettato sforzo, Galvano ebbe una stranissima sensazione:
quella scena l'aveva già vissuta...ma l'epilogo era stato diverso!
Si giro di scatto verso l'entrata della grotta, come se avesse sentito qualche rumore sospetto ma niente, tutto taceva. Un silenzio profondo...quasi irreale. Si irrigidì, una paura ancestrale sopraggiunge improvvisamente.
Riuscì a controllarsi (il suo primo istinto rea stato quello di fuggire senza guardarsi indietro) grazie alla durissima autodisciplina che aveva acquisito duranti gli anni di addestramento. 'La paura si affronta con l'equilibrio' queste le parole del suo maestro; gli risuonavano nella mente come un mantra come se le avesse sentite in quell'istante.
Cercò con gli occhi i suoi nuovi compagni d'arme in cerca di un qualche conforto ma uno scenario orrendo gli si stampò negli occhi.L’unica via d’uscita (e di entrata) era scomparsa e
tutti erano morti, trucidati; mangiati da dentro, solo le spoglie esterne erano rimaste a testimoniare la presenza di quello che un tempo era un corpo umano.
Chiuse gli occhi per tre volte ma li trovò ancora li.
A quel punto qualcosa si ruppe dentro di se e contemporaneamente una voce lo cominciò a chiamare...era quella sognata più e più volte nelle ultime settimane; era il magistro con la tunica grigia e i paramenti oro. Corse a perdifiato verso l'uscita  ma una mano tentò di sbloccarlo vigorosamente, era il Frate. Si divincolò con una agilità che neanche lui pensava di avere e scomparse nel buio della galleria, ma dopo pochi passi ebbe l’istinto di fermarsi.
Doveva in qualche modo aiutarli anche solo rimanendo li fermo e inebetito per proteggere la via di fuga.


venerdì 2 dicembre 2016

Sotto l'arco de la Grotta





Ballata N° I

Sotto l'arco de la grotta
Se celavan esseri che puzzavan de caciotta

Al comando di uno strano omuncolo
Assai losco con mano marcia e dito aduncolo

Perpetravan strani et oscuri affari
Che li boni frati eran ancora ignari

Quando ecco che tosti e gajardi
Arrivaron l'eroi che fortuna non era ancor tardi

La cagnara fu tanta et rumorosa
Ma di botte ne volaron a iosa

Du frati, Tre omuncoli uno alchimista uno musico ed un Vermone
Oscuraron l'entrata de la caverna con intenzioni bone

De riffa e de raffa volaron schiaffoni a desta e manca
Periro BiroBiro mano marcia e la Lupa ma ci persi quasi l'anca

Ma quel che conta ed è importante
E' che gli intrepidi han arrestato un altro lestofante

Ringraziamo ordunque lo Conte Gualfiero de Epilorna
Che chiamò l'eroi affinchè la bene aritorna


Tristano
Lo Scarlatto Peregrino

Lo salvataggio de la figlia e del Formaggio





Ballata N° II

Nella notte buia lo lupo feroce
Attacca li mercanti a piè veloce

Non v'e' scampo per lo Peregrino
Meglio Rimanere accanto al camino

Ulula al vento et feroce avanza
Presto corri prima che inizi la macabra danza

La morte ti coglie senza l'avviso
Cancella dal volto il tuo sorriso

Cavalieri e arcieri scaldate le braccia
E' giunta l'ora della grande Caccia


Tristano
Lo Scarlatto Peregrino

Lo Molino Beffardo


Ballata N° III

La Festa era in periglio
Li ladri operavan da lo nascondiglio

Nella notte trafugavan gli alimenti
Bisognava trovalli tosto , non v'era altrimenti

Senza paura ne indugio
La compagnia si fece segugio

Non era L'Omo Topo lo colpevole
Ma Balestrino lo mugnaio ben poco onorevole

Niuno ladro scappar potrà
Se sulle sue tracce la Compagnia sarà

Li ladri scovati, la refurtiva in salvo tratta
 Orsù gioimo le Fiera inizi , GIUSTIZIA è fatta.

Tristano 
lo Scarlatto Peregrino







martedì 29 novembre 2016

Errando per Laitia - Episodio 9

De li Affamati, li Cavalieri et li Furfanti

Ne lo buio de lo magazzino si propagava irresistibile un buon odorino di salumi, caciotte, pagnotte et ogni altro bene che le Divinità Pristine vollero concedere allo omo di Rarte per allietare la sua triste et dolorosa esistenza.
Tra botti ricolme di vino et scaffali di conserve li nostri eroi non seppero resistere: Frandonato forse non si aspettava di ricever l'avallo de lo semper morigerato Magistro Alburno, ma non ebbe esitazione alcuna et in breve i tre ebber a saziarsi con provvigioni che sarebber bastate ad uno singolo omo per più di una settimana.
Così, con la panza ricolma di piacere et energia, li compari si appostarono in attesa de lo furfante, con occhio et orecchio ben concentrato verso la porta su lo retro de la stanza.
Invero trascorsero solamente poche clessidre et a destarli da uno minimo torpore cui si eran abbandonati non fu il sottile scatto d'una serratura, ma lo pesante sollevarsi d'una botola... Sorpresi più che mai li tre si affrettaron a far luce, giusto in tempo per veder sorgere, da tutt'altro punto de la stanza, la grossa e pelosa testa d'una immensa pantegana!

"L'Omo Topo!" Esclamaron.
Lo Magistro, forse stordito da lo troppo cibo cui non era abituato, si lasciò cader di mano l'intruglio con lo quale avea intenzione di fermare il malfattore et la nube che ne scaturì diede magicamente vita ad un galletto senza testa, appeso a le travi del soffitto, che iniziò a dimenarsi come un non-morto indemoniato.
Reazione più ferma ebbero per fortuna li suoi compari, et mentre lo Peregrino Scarlatto dimostrò di aver realmente appreso le vie dell'arcano formulando uno incanto protettivo a le tonanti parole di "Deretanum Protecto!", lo belligeroso Frandonato non esitò ad alzare lo suo maglio per poi calarlo pesantemente su la capa appena sporta de la bestia disumana.
Ne seguì uno clangore forte et rimbombante, de metallo contro metallo et la bestia ne fu talmente sorpresa et stordita che fece subito per difendersi et fuggir via, indietro ne lo cunicolo da cui era sbucata.

Ripresisi da la inaspettata intrusione et concordato che lo Omo Topo non fosse uno vero mannaro ma piuttosto uno furbacchione camuffato da gigantesco roditore, Frandonato insistette per partir subito a lo inseguimento et li altri due si fecer convincer, ne lo mezzo de la notte, a dargli la caccia ne lo fitto de lo bosco in cui lo cunicolo segreto conduceva.
Quella notte Alburno ebbe sempre modo di raccontarla come lunga et confusa, forse a causa de li fumi di Imago Mentis cui attinse copiosamente per seguir le tracce ne lo fango et le paludi et che a la fine, lo portarono a smarrirsi.
Sebbene lo inseguimento si rivelò inizialmente fallimentare, li tre eroi capitaron fortuitamente tra le rovine, immerse ne la vegetazione, di uno antico borgo, intuendo finalmente la posizione di Castel Vero, ove sarebbero tornati di lì a pochi girodì. Successivamente, smarrita la pista de lo Omo Topo, giunsero presso la capanna di uno piccolo omuncolo timoroso che avea ormai perso la brocca quasi del tutto, ma che riusciron a convincere a far loro da guida, giacché soli avean ormai abbandonato ogni speranza di orientarsi.
Il folle ma gentil Marziano, le cui uniche compagne eran ranocchie, alcune delle quali ormai già inquietantemente trapassate, seppe condurli ne lo bosco fino al punto in cui lo presunto mostro avea fatto tana, ma non volle proseguir oltre et corse via lasciando che ad avvicinarsi fosser solo i tre spavaldi, resi ancor più temerari da l'abuso del Cordial di Gelatodia de lo Peregrino, che era servito a rincuorarli durante la lunga e perigliosa escursione notturna.

In una radura v'era uno grosso olmo, tanto che lo suo immenso tronco nascondea l'ingresso ad una grotta sotterranea, sbarrata però da un pesante macigno che li tre dovetter faticar non poco per spostar quel tanto che bastava a garantir loro lo passaggio.
Mosso infine lo roccione, si ritrovaron ne lo spartano covo de la bestia, che di bestiale non avea poi così tanto: sembrava più la dimora di uno selvaggio.
Frandonato guidava lo gruppo, sembrava non esserci niuno, quando da le radici sul soffitto, con gran balzo et grosso tonfo, balzo a terra lo Omo Topo, ascia in mano, pronto a difender lo suo territorio a lo fianco di alcuni rattoni che attaccaron inferociti.
Li eroi si difeser come poterono ma l'omone era invero dotato di straordinaria forza et brutalità: Frandonato se la vide brutta, ferito malamente da uno fendente inarrestabile, et pure Alburno, dopo aver fatto arrosto et messo in fuga le pantegane con lo suo intruglio al mentolo letalmente infiammabile, subì un colpo furioso et si finse morto. Lo Peregrino riuscì a malapena a scalfire il bestione, rivelatosi null'altro di uno bruto vestito di pellicce et con uno pesante elmo metallico che potea ricordar lo cranio di uno topo, ma che per fortuna de li nostri eroi non avea intenzione a farli fuori et al primo graffio subito si guadagnò la via di fuga, lasciando i tre a leccarsi le ferite.
Lo Magistro non mancò mai occasione di delineare quanto le abilità sue et de li suoi compari fosser molteplici et complementari. Il ricucir le ferite est sicuramente ambito de lo eclettico alchimista che con filtri, garze et bende rimise a posto se stesso et il vigoroso frate.
Preferiron comunque dileguarsi prima che lo padrone di casa tornasse ancor più inferocito, notando accortamente che ne la tana non v'erano tutte le cibarie di cui Norberto denunziava la scomparsa: l'Omo Topo era si ladro, ma solo de la poca roba necessaria a lo suo sostentamento.
Li furti che minacciavan la Fiera di Borgoratto dovean esser frutto di altra, macchinosa et malvagia cospirazione.

Di ritorno alla locanda di Puccina, dopo l'estenuante nottata attraverso lo bosco et la palude, Alburno et li suoi compari vennero accolti da uno avventore assai particolare: l'omo, di origine iperborea, avea capelli lunghi, lisci et scuri, et un fiero portamento marziale reso ancor più evidente da lo equipaggiamento da cavaliero di cui vestiva, unico suo bene. Portava seco uno falcone da caccia, di nome Ombra, et rispondea a lo nome di Galvano, Cavaliere de lo Equilibrio.
Scongiurata da subito la possibilità che fosse lì per saccagnar di botte lo Peregrino per qualche dama offesa et abbandonata, i tre deciser che fosse degno d'esser ascoltato, dato che dicea di conoscerli et di aver esser tormentato in sogno da la loro medesima visione.
Galvano parlò de la figura di grigio ammantata et d'oro bordata, disse di percepire la importanza che lo gruppo riuscisse a trovarlo, perché in egli poteva esserci risposta ad uno grande male incombente et, sopra di ogni cosa, a lo ritrovamento de la mitica Spada de lo Equilibrio un tempo appartenuta a li più grandi Imperatori di Maro.
Lo Magistro ascoltò interessato, anche se non del tutto convinto, ma era vero che quel cavaliere sembrava esser familiare et d'istinto degno di fiducia. Decisero quindi di condividere con lui le informazioni in loro possesso et lo scopo de la loro trasferta in quel di Borgoratto, di contro, Galvano, notò una cosa che loro era sfuggita su la pergamena in possesso di Frandonato: la firma di un tal Magistro S. che subito rintoccò familiare ne le loro menti.
La destinazione sembrava chiara, le catacombe sotto Castel Vero sarebbero state lo punto di partenza per la lor ricerca, ma prima li eroi voller mantenere la parola data et riferire alla consulta cittadina de le lor scoperte.

L'onesto Norberto li accolse ne la sua fattoria, a qualche migliaio di cubiti da lo paese. Fu lieto di ascoltare le novità et la conferma che lo Omo Topo fosse et restasse sol leggenda. Eppure ebbe anche da rammaricarsi de lo fatto che lo vero sottrattore di cibarie non fosse stato ancor stanato, et ancor meno tollerò che venisser mosse accuse su lo stimato Balestrino in base a pettegolezzi che li tre sconosciuti, per quanto affidabili, giuravan di aver udito.
Decisi quindi a procurarsi prove tangibili et recuperar la refurtiva, tornarono a Borgoratto, ove anche Galvano riposava, per pungolar li due mercanti assai sospetti, ignari de la sorpresa che di lì a poco li attendeva.

Nel mezzo del cammin et de lo girodì, lo Magistro, a la guida de lo suo carretto, vide alzarsi un polverone et di lì a pochi secondi ben quattro uomini a cavallo piombar loro addosso ad armi sguainate!
Frandonato si frappose, temerario come suo solito, affrontando quel che sembrava esser lo loro condottiero, ben armato et corazzato in sella ad uno destriero. Senza poter parlamentare iniziaron a volar dardi, fendenti et mazzate; lo carretto usato come riparo da quadrelli di balestra et grandi roncolate date et subite da entrambe le parti finché non giunse alla ribalta lo Cavalier Galvano che in poche mosse stese li marrani et si lanciò a lo inseguimento de lo suo pari, che pavidamente scelse lo disonore de la ritirata a l'accettazione de la sconfitta.
Quando li due al galoppo spariron tra le frasche, li tre rimasti poteron leccarsi le ferite et rattoppar uno nemico sopravvissuto, che confessò d'esser mercenario a buon mercato assoldato per accoppare uno frate et uno musico (Alburno ebbe da rallegrarsi di non esser ne l'elenco).
Spogliatolo d'ogni avere, quanto meno per lo disturbo, lo lasciaron andar via con le pive ne lo sacco et rientraron in locanda chiedendosi che fine avesse fatto lo lor soccorritore.

Quella sera trascorse in abbuffate et riposo per Frandonato, tra fumi colorati et filtri sperimentali per lo Magistro, intenzionato a rimpinguar le proprie scorte, et accorte investigazioni di Tristano, determinato più che mai a smascherar li mercanti truffatori.
Lo buon Peregrino ebbe anche fortuna et li seguì fuori città, ove, tramutatosi in gatto prima et in faggiano poi a lo scandir di uno imperioso "Animalis Mutanda!", riuscì ad origliare una conversazione interessante: incontratisi ne lo mulino ad acqua, con il sospetto Balestrino, essi preser accordi per una ultima consegna ne lo giorno seguente et poi si sarebber dileguati.

Lo Peregrino tornò a sera tarda, Galvano era già rientrato senza esser riuscito ne l'impresa di inseguir lo suo nemico, che però avea avuto l'ardire di riconoscere in Tarquinio, un tempo Cavaliere de lo Equilibrio suo pari ma oramai rinnegato da lo ordine et da le buone maniere, visto come s'era presentato brandendo la sua spada. Disse che probabilmente era lì per impedir loro che trovasser lo misterioso Magistro S. et questo non poteva che sottolineare ancor di più la importanza de la loro cerca.
Ciononostante la promessa fatta a li villici di Borgoratto avea ancora priorità per li altri eroi che, sapute le scoperte di Tristano, deciser di tenere d'occhio i due mercanti et seguirli l'indomani per poterli coglier con le mani su la refurtiva.

La notte passò lesta et l'alba giunse presto. Li nostri eroi s'accorser un po' tardi de la scomparsa dei due mariuoli ma lesti saltaron in sella e riuscirono a raggiungerli prima che fosser troppo lontani.
Colti sul più bello i due tentarono una breve fuga, prima di abbandonare muli et maltolto et svanir ne la boscaglia. Li eroi non li inseguirono, avevan salvato le cibarie et con esse la fiera di paese, restava solo da incastrare Balestrino.
Per la consulta cittadina et Norberto, abile calcolatore, fu facile far la conta de li beni trafugati et capir che qualche cosa era sparito durante la notte appena trascorsa. Li tonti figli del mugnaio, lasciati di guardia, vennero quindi chiamati a testimoniare et facilmente indotti a tradirsi l'un l'altro et confessar li crimini de lo loro genitore.
L'impresa eroica fu allor completa, forse non all'altezza de la sconfitta de la Lupa Abba ma portata ancor più in alto da le note de lo Peregrino Scarlatto, che consacrò con una magnifica ballata durante la grande Fiera di Borgoratto lo suo abile trio, oramai divenuto uno quartetto, portando onori et fama che li mercanti itineranti contribuirono a sparger per buona parte di Laitia nei girodì a seguire.

Et fu così che per la prima volta anche io, che ho l'onore di trascriver le sue memorie, ebbi modo di sentir parlare de lo Magistro, l'Aureo Alburno, come ne li suoi momenti di maggiore vanità amava appellarsi. Et quelli di cui la prossima volta andrò a narrarvi saranno li incredibili eventi accaduti ne le dimenticate sale sotterranee de la abbandonata rocca di Castel Vero.

giovedì 17 novembre 2016

Errando per Laitia - Episodio 8

De lo Santo Maglio, la Pietra su lo Palo et lo Zufolo Incantato

Lo Magistro, dopo mesi di totale devotione a lo studio et perfetionamento de la Scientia Arcana, ebbe infine modo di veder riconosciuti li propri sforzi.
Memorizzata la formula de la Regola Aurea, initialmente concepita da Ottavianus Firminus, ma realizzata solo et esclusivamente gratie a la collaborazione con Alburno, et manufatto lo suo primo prototipo di Pietra Filosofale, o Crisopea, ancora vacua d'ogni potere a causa de la mancanza di un ultimo ingrediente, lo Magistro capì che li tempi de la sua permanenza in quel di Zena eran ufficialmente volti al termine.

Quasi in concomitanza, come se divine entità intendessero de la importanza de le sue scoperte et volessero lasciarlo concludere, lo strano sogno iniziò a presentarsi, ne lo corso de le notti, sempre con maggior ricorrenza.
La diafana figura di grigio ammantata e d'oro merlata appariva indistinguibile in una antica grotta abbandonata. Li suoi tratti eran poco distinguibili ma decisamente familiari et la sua voce gentile appellava: "Venite! Venite meco!"
Specie quel verbo, plurale, destò curiosità in Alburno che ne li suoi sogni soleva viaggiar solo... e manco a farlo apposta, la mattina successiva, ne la piazza antistante lo laboratorio de lo Magister Firminus, apparve a predicar menate come suo solito una vecchia conoscenza a lungo attesa: lo virile Frandonato.

Lo frate poco pio sembrava aver finalmente trovato la sua via. Vigoroso et pasciuto come se nemmeno uno giorno fosse passato da la sua partenza, indossava sempre la stessa tunica, forse neppur lavata da allora, che astutamente nascondeva la fitta maglia metallica da battaglia. Predicava dinnanzi uno piccolo altarino, null'altro che una croce tau alta più di tre cubiti che opportunamente ribaltata et impugnata fungeva da grosso et pesante maglio da guerra. Raccoglieva offerte in un secchiello in terra, metallico ma di cuoio rivestito, null'altro che uno solido et pesante elmo.
Frandonato ebbe modo di spiegare al buon Alburno che ne li mesi passati si unì ad una compagnia mercenaria, portanto la Nova Fede in giro per la Laitia occidentale a suon di mazzate ne lo nome di Santa Starnazza.
Ciò che realmente destò l'attenzione de lo Magistro fu che lo suo compare ebbe in visione lo stesso sogno, anche se ne la sua versione la figura ammantata era donna, et forse pure di facili costumi. Alburno attribuì quella differenza di particolari a la perversione latente de lo frate et gli diede poco peso, ma insieme voller appurare se anche Tristano, fuggito da le guardie de lo Conte Gualfero di Epilorna in quel di Pelopia, avesse ricevuto lo medesimo presagio et così gli spediron una missiva.

Frandonato porto a la attentione de lo Magistro anche la pergamena che a lungo avea tenuto seco, lasciatagli in eredità da li ignari frati di uno de li monasteri in cui avea militato. Li antichi papiri descrivean un loco, in terre vicine geograficamente ma storicamente assai lontane, in cui uno tesoro era ancor sepolto et attendea l'avvento di un'anima coraggiosa, avventurosa et dalla incrollabile fede.
Riconoscendo in Frandonato sicuramente due delle tre virtù richieste Alburno decise che potea valer la pena di trovar codesto tesoro, tanto più che l'ingrediente mancante per la sua Crisopea l'avrebbe ottenuto solamente viaggiando.
Tosto preparò lo carretto, lo fido mulo Grullo et si commiatò con rimpianto da li suoi ospiti di Zena, lo Magister Ottavianus Firminus et li suoi stipendiati: lo scriba Alceste et lo soprammobile Fidenzo.

Lo Peregrino Scarlatto giunse poco prima de la partenza, arrivando con tale tempestività che non si potè far a meno di pensare che non vedesse l'ora di ricever notizie da li suoi compari; e disse d'esser mago.
Tristano era lo stesso, identico, esuberante, chiassoso fanfarone di prima. Si presentò intonando uno motivetto con lo zufolo, che avea sostituito la sua storica zampogna, et si dichiarò pronto a partire per nuove avventure. Sull'esser mago lo Magistro ebbe subito a dubitare, ma con suo grande stupore dovette presto ricredersi...

Ignorando momentaneamente li sogni che i tre compari avean condiviso, non avendo altri indizi, lasciata Zena, si diresser al confine con la Tauria, verso le pendici de li monti ove la antica pergamena de lo frate indicava esister un tempo il podere di un Pio Conte: la dimenticata landa di Castel Vero.
Le indicazioni esplicite parlavano di uno loco da cui initiare le ricerche: uno piccolo borgo noto per una grande fiera, appellato Borgoratto.

A lo intraprendente Alburno la destinazione et la lontananza de la meta importavan poco, se v'era di mezzo uno tesoro, avventura et ricchezze tanto meglio, ma lo suo vero scopo era coglier l'ultimo tassello, con l'avvento de le belle e soleggiate giornate di primavera, per la realizzazione de lo suo più magno experimento. La sua Crisopea era pronta ne la sua forma materiale: una pietra irregolare, poco meno grande di uno pugno, da lo colore paglierino pallido; quel che le mancava era una buona dose di energia naturale arcana, la più pura et potente che le Divinità Pristine avean partorito: la calda et eterna luce de lo Sole.
Così lo Magistro avea accroccato la sua pietra su la punta di una lunga pertica, ben fissata con lunghi intrecci ramati, et la tenea sempre in bella mostra su lo carretto, orientandola di volta in volta lungo il corso de lo girodì perché li raggi de lo fulgido astro potesser sempre giunger ad essa perpendicolari. Si trattava solo di attendere per assistere a lo prodigio.

Borgoratto era invero uno minuscolo paesino. Poche case et fattorie arroccate su di un colle a le pendici de li monti, lungo li confini di una vasta foresta et palude.
La modesta locanda era retta da una ligia vedova di nome Puccina et le due sguattere Lina et Pina. Ospitava come di consueto la consulta cittadina et un paio di mercanti itineranti.
La discussione de lo girodì verteva intorno la annuale fiera di paese, commemorativa de la cacciata de la iperborea Regina Pedoca et le sue orde, che rischiava di saltare a causa di ripetuti furti ne lo magazzino ove li solerti paesani accumulavan le libagioni da lo anno precedente.
Li più timorosi attribuivan la colpa a lo Omo Topo, figura storica che diede nome a lo abitato quando, rubando uno poco per volta tutte le provviste dell'invasore iperboreo, costrinse loro a la ritirata et rifocillò li assediati rintanati in Castel Vero.

Aguzzate le orecchie et colta al volo l'occasione, lo saggio Alburno convinse facile li suoi compagni a proporsi per indagar sui misteriosi accadimenti, guadagnandosi in avanzo la possibilità di dormir e mangiar a sbafo per qualche giorno et magari far le giuste domande per capire ove fosse situato lo loco descritto ne la pergamena di Frandonato.
Discussa la questione con lo capo de la consulta, tal Norberto, che ne la storia de lo Omo Topo proprio non credeva, l'avventuroso trio solerte si diresse ad ispezionar lo magazzino, pieno zeppo d'ogni cibaria et libagione, sorvegliato notte e dì da uno paio di nerboruti imbecilli bravi a dir "Nessuno Entra! Nessuno Esce!" quanto a russar di grosso durante li turni al chiar di luna.

E così, mentre lo scaltro Peregrino Scarlatto origliava in giro pel paese, scoprendo una probabile combutta tra li mercanti ospiti in locanda et Balestrino, lo fattore responsabile de lo magazzino, l'attento Alburno et lo fiero Frandonato scoprirono una via d'accesso ben nascosta sul retro dell'antico magazzino, ricavato invero da una antica torre risalente a li tempi de le invasioni iperboree, forse la stessa da cui l'Omo Topo avea rubato le provviste de la Regina Pedoca durante l'assedio di Castel Vero!

Scoperto lo modo in cui lo vile ladro trafugava il cibo nottetempo, l'astuto Magistro Alburno suggerì che lo modo migliore per acciuffarlo sarebbe stato coglierlo con le mani nel sacco.
Così, accertatisi che nessuno eccetto Norberto sapesse de lo loro piano, dopo il tramonto, i tre eroi si intrufolaron di nascosto ne lo magazzino in attesa de lo intruso...

Lo ricongiungimento de li "allegri" viandanti





Lo tempo era buio e tempestoso, li venti soffiaveno forti e fu così che lo Peregrino decise de rimettese in cammino, giammai curante de li tempi avversi. Con il core in gola si fece sull’uscio, mentre lo Magistro suo e li altri della scuola lo salutaveno sull’uscio piagnucolanti. Lo scarlatto Peregrino sapea che in cor suo non lo avrebbero mai fatto partir e per questo decise a suo malincuore di dover insistere e prender coraggio per varcar la soglia, la sua vita era sempre stata pregna di difficili decisioni. Sarebbe stato bello accontentare quella folla festosa, sarebbe stato bello rimaner il fiore all’occhiello dello Magistro suo. Ma il mondo anelava e scalpitava necessitando le virtute e la conoscentia, enorme aggiungerei, de Tristano lo musico dello popolo laitiano.

Vinse le emozioni e strappandosi letteralmente le mani dello Magistro suo di dosso
prese il volo dalla finestra della scuola senza rompersi del collo l’osso.
Mise in pratica l’arte appena appresa
tramutandosi in falco con l’ala tesa
La giovine sguattera Geraldina a cui avea rubato la virtute e lo core
Mandò a prender in cantina er vino bono dello suo padrone e signore
 Colse l’occasione spiccando il volo come falco non a caso
Lasciò la poveretta con un bicchiere in mano ed un palmo di naso
Lo Magistro suo invero fu sollevato
Di vederlo andar via tutto d’un fiato
Non vi fu gran rammarico per lo Mago invero
Visto che gli avea svuotato delle provviste l’armadio intero
Con Pelopia alle spalle ed una nuova arte in borsa
Lo Scarlatto Peregrino se ne andò via e di gran corsa

E così tra il lasco ed il brusco con il suo cavallo, Fausto di nome e di fatto, si mise in cammino per raggiungere ancora una volta il suo destino. Pochi giorni prima avea ricevuto una missiva da li suoi compari, che lo invitaveno a presentasse presso lo borgo de Zena. Indubbiamente furono tutti felici e contenti de rivedè la faccia sua allegra e bontempona, scene di panico e giovinette ammiccanti non appena si apprestò a metter lo piede, e non solo lo piede, nello antico borgo. Lo musico era ormai abituato a tali sentimenti, non capiva come mai però tra i suoi sostenitori vi fossero più donne che omini, anzi a dire il vero l’omini non lo poteveno proprio vedè…Che bislacca coincidenza e proprio mentre rifletteva su questo tema si ritrovò tra le braccia de li amici sua pronto per una nuova e mirabolante avventura. Ecco li li…il trio…il gruppo….la compagnia….ma come era possibile che niuno nome avean scelto si domandò e disse tra se e se…così entrando nella locanda dove avventori assonnati e mezzi avvinazzati rovinavano sui tavoli esclamò in un impeto di gioia , ad alta voce…..va bene quasi urlando….in effetti urlando a squarcia gola…LO NOME LO NOME DE LO GRUPPO INVERO DOVEMO DA TROVA’……


Ci mancò poco che non lo percuotessero per bene, e che il vecchio Tobia per poco n’infartasse, e così fu costretto pe placà l’animi a fa un mezzo balletto. Quello che accadde poi non ve lo svelerò oggi ma lo potrete sicuramente scoprir nelle prossime novelle. 

lunedì 26 settembre 2016

Ritorno a Caribdus




la nave salpava, la salsedine si alzava
mentre il sole all'orizzonte sorgeva
Nella baia intanto scorreva a fiotti 
il putrido Grog dalle botti

Il fato avverso 
il vento di traverso
l'amore la musica e le puttane 
possono risanare ferite ormai lontane

Non c'e' donna che possa star tranquilla
se Yanez l'ispanico nel porto sguscia come anguilla
Il burbero capitan Black Sam la via ci mostra
Non v'e' angolo di terrà che non possa essere nostra
Fiero sul castello di poppa al timone 
c'e' J.J. che aspetta il suo momento sornione

L'acqua costantemente sale ogni giorno
speriamo che del pesce non finirem contorno.