domenica 16 giugno 2019

Una storia di due donne - parte II

Con un sibilo continuo, la porta della cabina va a chiudersi. Un tonfo sordo e si riapre, come se qualcosa ne interrompesse la chiusura.
Nuovamente va a chiudersi, sbatte sulla testa di uno dei membri dell'equipaggio e si riapre, mostrando il resto del corpo del cadavere riverso nella stanza in un lago di sangue.
A fianco alla porta, un altro cadavere, il sangue colato via dagli occhi gli contorna il viso contorto in un'espressione di dolore.
In sottofondo una voca di donna che parla, interrotta saltuariamente da una voce maschile.

Pochi, singoli e precisi schizzi di sangue alla parete e lungo le scale portano al piano superiore, dove un superstite in mutande si aggira tremolante nei corridoi impugnando un fucile acceleratore. Guarda a destra: nessuno. Guarda a sinistra: nessuno. Gira a destra. L'ombra alle sue spalle si deforma e si "apre" rivelando un uomo con una tuta da combattimento grigia e una dupatta nera a contornargli una maschera tattica nera anch'essa.
Lo afferra, chiudendogli la bocca, mentre una lama mercurium gli trapassa la cassa toracica. Il corpo si accascia al suolo, mentre l'uomo in grigio si dirige a passo spedito verso il ponte.
La voce femminile si fa più forte, precisa, comprensibile.

«...e questo è tutto, Fratello Superiore Izmael»
Amira sta al centro del ponte, inginocchiata di fronte ad un uomo seduto sulla poltrone del capitano, vestito con una divisa militare tattica grigia con massicci guanti corazzati neri, e una shemag nera e oro attorno al volto. Questi annuisce: «Ben fatto, Iniziata» e si alza, invitando la donna ad alzarsi anche essa. Un pugnale jambiya al suo fianco con il tipico fodero ornamentale, una massiccia pistola a mesoni all'altro fianco; come tutti quanti, una fascia nera al centro del petto con una grossa struttura circolare piena di circuiti e led.
Dietro di loro, due uomini in grigio e nero stanno piazzando delle cariche esplosive, mentre uno sposta i cadaveri mutilati dell'equipaggio precedente e accenna una piccola preghiera davanti ai loro cadaveri.

«La strada per la Purificazione è costellata di Sacrifici, Iniziata - mentre con passo lento e attento si sposta a seguire le operazioni degli altri - e se la Carnefice ha chiamato a sè l'Adepta Magistra Naadira non possiamo esserne tristi. Pregheremo per lei e per tutti i valorosi combattenti caduti, sulla pira di questa nave e del suo equipaggio incapace di compiere i compiti più semplici» poi si rivolge ad un altro soldato «dopo che avremo smontato e recuperato la nostra tecnologia, ovviamente». Il soldato annuisce e va trafelato verso il ponte principale della nave.

«Nonostante le loro morti - riprende a parlare e a camminare lentamente osservando la console dei sensori che un soldato ha aperto e sta analizzando con un apparecchio - o forse proprio grazie ad esse, e soprattutto grazie a lei, Iniziata Tarsch, la missione si è trasformata in un parziale successo» porge la mano verso Amira che gli porge una fiala contenente un bocciolo di colore violaceo e una piccola tabula, di quelle usate per prendere appunti veloci senza bisogno di stilo.
Il Fratello Superiore osserva la fiala, girandola verso la luce per vedere bene il minuscolo fiore ancora chiuso; i suoi occhi azzurri accesi si fanno blu scuro e violacei per qualche secondo mentre la pupilla si accende con un minuscolo reticolo verde, e poi ritornano normali. Poi mette la fiala in una tasca alla cintura e osserva la tabula scorrendo rapidamente una serie di glifi. Si sofferma su un paio di essi, poi spegne la tabula e la mette anche essa nella cintura.

Rimane pensoso nel silenzio interrotto solo dal rumore del posizionamento delle cariche esplosive dei soldati e in lontananza della litania di preghiera per i cadaveri dell'equipaggio, recitata nella stanza accanto. Lunghi interminabili secondi dopo si volta nuovamente verso Amira scostandosi leggermente il bavero della shemag senza peraltro scoprire il volto: «E per quanto riguarda gli altri uomini? I civili che hanno recuperato il professore?»
«Mi hanno salvata. Vedo nella loro opera la mano delle Icone»
«Certamente, mia cara. Raccontami quello che sai di loro...»

Una storia di due donne - parte I

«La morte, non è che una lunga notte senza giorno, illuminata da una stella lontana
Mai le parole del Profeta Zaahir nelle sue Lettere Perdute mi sono sembrate così vicine, figli miei. Eppure... eppure da questa lunga notte, sorgerà un nuovo giorno. Una nuova alba.»
Nell'oscurità, la figura cammina, quasi trascinandosi.

Un botto, un lampo le illumina il volto di donna di mezza età dalla carnagione pallida, i lunghi capelli neri raccolti in ciocche adornate da fiori viola scuro. Con gli occhi languidi guarda verso il corridoio, avvolto tra le fiamme. Un gesto, e una muraglia di rami e rampicanti cresce rapidamente a sigillare l'ingresso mentre l'aria viene risucchiata via dalla falla.

Di nuovo l'oscurità, in cui si trascina.
Il corpo di una creatura per terra, oramai priva della volontà da esso ottenuta. E che lei gli aveva donato. Si china quasi a raccoglierne la testa irta di radici, appena formata nella foga di avere nuovi corpi. «Avete servito il vostro scopo. Un guscio rigido protegge il seme e gli permette di attecchire al terreno...» e con una presa salda gli pianta la mano nella gola estraendone quello che sembra un piccolo seme

Poi si alza, come a rivolgersi verso l'altro cadavere, quello femminile, a pochi metri di distanza «...così come il guscio sottratto alla vostra nave, mi porterà su un nuovo terreno fertile»
Riprende a muoversi, a trascinarsi, a camminare, a correre lungo i corridoi immersi nel buio, mentre le pareti tremano per le esplosioni. Supera i cadaveri dei suoi "avatar", dai corpi deformati dalle piante e dai fiori e raggiunge la sala macchine. I tubi di refrigerante lungo le pareti iniziano a fischiare; uno salta; un altro si deforma picchiettando rumorosamente, mentre lei supera delle porte coperte di olio per macchine e rampicanti.

Uno, l'ultimo dei suoi assistenti ancora in grado di muoversi e il primo dei suoi rinati figli, l'attende con lo sguardo vacuo, i capelli rossi e le foglie verdi che compaiono dietro le orecchie e lungo la nuca. Le porge un libro rilegato con delle scritte in Dari sulla copertina, una grossa e antiquato terminale, antenato delle moderne tabula, un faldone con degli scritti a mano che ne escono fuori, e una scatola con dei glifi incisi sopra.

Lei apre la scatola e ne controlla il contenuto, poi la ripone nella navetta di salvataggio, delicatamente. Ripone poi il faldone e la tabula. Prende il libro, ne accarezza la copertina e infine ripone anche quello insieme al resto.
Lei guarda a lungo, il suo muto assistente; gli accarezza il viso, con il volto triste quasi a piangere. Poi gli infila una mano in bocca e la estrae bruscamente con uno strattpone come a strappar via qualcosa. Infine entra nella navetta. Un ultimo sguardo alla stanza vuota, a quel che resta dell'intera stazione mentre le pareti tremano e macerie iniziano a crollare dal soffitto. Poi chiude il portellone.

Un'unica grossa esplosione avvolge l'intera struttura. Le fiamme divampano consumando quel poco di ossigeno presente e si spengono mute mentre i rottami si spargono nel Grande Vuoto.
E poi il silenzio.