domenica 16 giugno 2019

Una storia di due donne - parte I

«La morte, non è che una lunga notte senza giorno, illuminata da una stella lontana
Mai le parole del Profeta Zaahir nelle sue Lettere Perdute mi sono sembrate così vicine, figli miei. Eppure... eppure da questa lunga notte, sorgerà un nuovo giorno. Una nuova alba.»
Nell'oscurità, la figura cammina, quasi trascinandosi.

Un botto, un lampo le illumina il volto di donna di mezza età dalla carnagione pallida, i lunghi capelli neri raccolti in ciocche adornate da fiori viola scuro. Con gli occhi languidi guarda verso il corridoio, avvolto tra le fiamme. Un gesto, e una muraglia di rami e rampicanti cresce rapidamente a sigillare l'ingresso mentre l'aria viene risucchiata via dalla falla.

Di nuovo l'oscurità, in cui si trascina.
Il corpo di una creatura per terra, oramai priva della volontà da esso ottenuta. E che lei gli aveva donato. Si china quasi a raccoglierne la testa irta di radici, appena formata nella foga di avere nuovi corpi. «Avete servito il vostro scopo. Un guscio rigido protegge il seme e gli permette di attecchire al terreno...» e con una presa salda gli pianta la mano nella gola estraendone quello che sembra un piccolo seme

Poi si alza, come a rivolgersi verso l'altro cadavere, quello femminile, a pochi metri di distanza «...così come il guscio sottratto alla vostra nave, mi porterà su un nuovo terreno fertile»
Riprende a muoversi, a trascinarsi, a camminare, a correre lungo i corridoi immersi nel buio, mentre le pareti tremano per le esplosioni. Supera i cadaveri dei suoi "avatar", dai corpi deformati dalle piante e dai fiori e raggiunge la sala macchine. I tubi di refrigerante lungo le pareti iniziano a fischiare; uno salta; un altro si deforma picchiettando rumorosamente, mentre lei supera delle porte coperte di olio per macchine e rampicanti.

Uno, l'ultimo dei suoi assistenti ancora in grado di muoversi e il primo dei suoi rinati figli, l'attende con lo sguardo vacuo, i capelli rossi e le foglie verdi che compaiono dietro le orecchie e lungo la nuca. Le porge un libro rilegato con delle scritte in Dari sulla copertina, una grossa e antiquato terminale, antenato delle moderne tabula, un faldone con degli scritti a mano che ne escono fuori, e una scatola con dei glifi incisi sopra.

Lei apre la scatola e ne controlla il contenuto, poi la ripone nella navetta di salvataggio, delicatamente. Ripone poi il faldone e la tabula. Prende il libro, ne accarezza la copertina e infine ripone anche quello insieme al resto.
Lei guarda a lungo, il suo muto assistente; gli accarezza il viso, con il volto triste quasi a piangere. Poi gli infila una mano in bocca e la estrae bruscamente con uno strattpone come a strappar via qualcosa. Infine entra nella navetta. Un ultimo sguardo alla stanza vuota, a quel che resta dell'intera stazione mentre le pareti tremano e macerie iniziano a crollare dal soffitto. Poi chiude il portellone.

Un'unica grossa esplosione avvolge l'intera struttura. Le fiamme divampano consumando quel poco di ossigeno presente e si spengono mute mentre i rottami si spargono nel Grande Vuoto.
E poi il silenzio.

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