mercoledì 28 dicembre 2016

Errando per Laitia - Interludio 2

De li Fumi di Nelea

La storia recente di Maro è nota a chiunque abbia orecchie funzionanti et uno cervello anche appena più voluminoso di quello di uno racchino. Su li soprusi et capricci de lo Imperatore Savio Vistiliano et de li screzi con li suoi più ostinati oppositori, quali Fra Graticola et altri noti urlatori di piazza, non reputo quindi necessario soffermarmi. Le righe che seguono andranno invece a raccontare una storia che difficilmente sarà mai nota al di fuori de li confini de la Zolia, visto che lo spietato et lungimirante Imperatore si premurò con tanto impegno di mettere a tacere ogni voce susseguente la caduta de li restanti Alti Signori di Maro, un tempo suoi pari.


Tra le nobili famiglie che si radunavano attorno a tavole imbandite, su scranni di velluto rosso, in alte sale con sontuose colonne et mirabolanti affreschi, ve n'erano di più et meno importanti, di più et meno influenti, ma tutti questi avevano in qualche misura voce in capitolo et tutti vennero infine trattati come rivali, contendenti a uno trono che lo stesso Consiglio de le Stirpi tanto premeva, a ragion veduta, per lasciar vacante.
Lo Signore di Nelea, possedeva una imponente tenuta fuori da le mura di Maro, oltre la sponda orientale de lo fiume Albula, su la quale crescevano rigogliosi et aurei decine di alberi di Maggiociondolo, chiamato anche Catena Dorata, che divenne poi lo stemma di famiglia. Egli discendeva da uno capitano mercenario proveniente da la Ilcisia cui era stato concesso titolo et podere per li servigi resi a lo Consiglio de le Stirpi durante le invasioni iperboree. Nelea prosperò ne li anni promuovendo li commerci ne le terre circostanti, soprattutto la Ciraiocia, et difendendo le sponde orientali de lo fiume finché lo suo Signore ebbe abbastanza influenza per poter sedere con li altri magnaccioni che decisero per secoli de lo fato di Maro.

Le generazioni si susseguirono per Nelea come in tutta Laitia. A le invasioni di Giscardo lo Smazzolatore seguì lo ritorno de la Entità Contraria, la terribile Peste Viola et lo Grande Anatema che sembrò ridar speranza ad uno regno fin troppo turbolento.
Fu proprio in quei pochi anni di pace che nacque in Laitia lo ultimo erede de la dinastia di Nelea, cui diedero il nome di Pirreo.
Lo fanciullo crebbe in buona salute et senza difficoltà alcuna ne la quiete et li agi de la tenuta di famiglia, circondato da fedeli servitori et amici in una realtà che sembrava esser fatta a sua misura, ne la quale non v'era spazio alcuno per problemi o preoccupazioni.
Lo fatto che li poderi di famiglia fossero dislocati fuori da lo centro nevralgico de lo governo di Maro facevano si che Nelea fosse meno invischiata ne li traffici et sordide macchinazioni de li Alti Signori, ma allo stesso tempo che la sua influenza fosse alquanto trascurabile se paragonata a quella esercitata da veri et propri gerarchi quali Vistiliano, che si interessavano di religione oltre che de la cosa pubblica.
Pirreo di Nelea divenne fanciullo destinato quindi a prender lo posto de lo Signore suo padre, dando sempre impressione di essere arguto et educato, in grado di comportarsi a modo sia con i suoi pari che con la servitù tutta et tutti gli volevano un gran bene.

L'adolescenza, si sa, è una brutta bestia... in grado di mutar agnelli in lupi et viceversa, o più semplicemente di far diverger le opinioni di figli et padri, portandoli a conflitto aperto.
Lo Signore di Nelea, fino a quel punto sempre soddisfatto de li giudizi entusiasti che li tutori professavano per lo suo unico erede, gradiva che Pirreo si dedicasse come suo dovere a l'arte de la politica et del commercio, egli però scoprì qualcosa di più interessante che finì per assorbirlo completamente...
Venne uno girodì di inverno, ne la tenuta di Nelea, uno vagabondo itinerante, appellatosi Dottor Pacubio, stanco et affaticato da uno viaggio estenuante et in cerca di riparo da lo maltempo di quel periodo. Egli venne ospitato di buon grado et Pirreo, che faceva le veci di suo padre, fece così la sua conoscenza.


Tale Pacubio, seppur svampito, si rivelò essere uno formidabile alchimista et li racconti et dimostrazioni che seppe elargire a lo giovane rampollo furon talmente sbalorditive che lo ragazzo ne rimase talmente affascinato da volergli chiedere di restare ed insegnargli. Improvvisamente per Pirreo la realtà cui era stato abituato sembrava stretta, limitata, di fronte a la conoscenza che racchiudeva il potere di mutarla a proprio piacimento.
Chiese a lo viandante di restare, ma ricevette un diniego alquanto sconclusionato et a nulla serviron copiose offerte pecuniarie. Pochi girodì dopo lo alchimista era andato via et lo Signore di Nelea fece ritorno al suo maniero.
Lo ragazzo insistette con lo genitore per avere uno mentore et dedicarsi a la Scienza Arcana, ma ancora una volta non venne accontentato perché lo suo destino era quello di governare un podere et gestire oro puro, non di chiudersi in uno scantinato a produrne di fasullo!
Pirreo si dimostrò comunque assai determinato et attingendo a li suoi risparmi et approfittando de le lunghe assenze de lo Signore si procurò li tomi adatti et attrezzò uno suo laboratorio in cui lentamente iniziò a fare i primi esperimenti.

La mente del ragazzo era sicuramente adatta a tale arte, veloce et intuitiva, eppure senza mentore che sapesse fornire li giusti consigli et distinguere uno tomo farlocco da uno autentico et inestimabile, gli insuccessi erano sempre più numerosi de li piccoli successi. Apprendere si dimostrò lento et difficoltoso: occorreva trovar rimedio.
Una volta, mentre lo Signore di Nelea era assente, Pirreo incaricò Bastiano, lo più fidato de li suoi servi, di recarsi a Maro et commissionare uno intruglio ad uno alchimista di professione: lo composto doveva servire per incrementare le capacità mentali, di intuito et immaginazione oltre li limiti de lo soggetto.
Bastiano tornò con quanto richiesto et Pirreo si chiuse per interi girodì ne le sue stanze a lavorare sul composto, la sua idea infatti non era quella di berla, perché ben conosceva la effimera durata di tali pozioni, inadatte a lunghe sessioni di apprendimento, bensì aveva intenzione, tramite processo inverso, di scomporla et ricrearla con le qualità specifiche di cui necessitava.

Occorsero interi cicli lunari, lunghe stagioni, di lavoro segreto ne lo suo laboratorio, quando lo Signore di Nelea era in viaggio per affari o in quel di Maro per sedute di governo. Da li comignoli iniziarono ad uscire fumate multicolori, a volte scoppi et fitta fuliggine spaventavano a morte l'anziano Bastiano che temeva di dover ripescar lo cadavere carbonizzato de lo erede di Nelea da le sue stanze, eppure Pirreo ottenne infine uno successo.
Lo filtro, battezzato in Lingua Antica, Imago Mentis, avea durata assai superiore a quello di partenza et spettro assai più ampio, ideale tanto per riconoscere l'esatta composizione di una sostanza poggiandola su la lingua, quanto per percepir rumori assai distanti o contar le zampe di uno millepiedi su lo muro opposto de lo cortile. Quello che lo esaltato rampollo non avea considerato erano però li tremendi effetti collaterali.
Lo estratto così perfezionato non avea necessità alcuna di venir trangugiato, bastava infatti inalarne li vapori per sortir taluni effetti non voluti, et la lunghissima esposizione cui Pirreo si era sottoposto ne li ultimi mesi aveva avuto effetti che a tutti, tranne che lui, erano palesemente evidenti.
Ne era diventato completamente assuefatto, tanto che non riusciva per un girodì intero a farne a meno senza dar di matto o cominciare a delirare, ma la produzione a lo stato attuale era talmente difficoltosa et dispendiosa che raramente riusciva a ricavarne quantità soddisfacenti. Ne risentì lo suo ruolo et la sua immagine, specie quando lo videro ad orinare ne lo cortile su la statua de la bisavola, o quando nudo si affacciò da le sue stanze a vomitare su sua cugina Lisia in visita di cortesia, o quando ancora provò ad accoppiarsi con uno povero racchino che Bastiano riuscì miracolosamente a salvare in tempo.

Lo Signore alfine mangiò la foglia et proibì a lo suo figlio ogni pratica alchemica. A lo laboratorio venne dato fuoco per intero et lo fanciullo legato a lo letto fino a che non fosse rinsavito manco fosse indemoniato!
Da la tenuta di Nelea si levarono per molti girodì fumi densi et variopinti mentre le fiamme distruggevano anni di lavoro et incondizionata dedizione et le urla deliranti di Pirreo non accennavano ad estinguersi, a lo contrario de li suoi sogni.
Dopo giorni di agonia si dice che li deliri terminarono d'improvviso et tornò lo silenzio.

Lo Signore di Nelea si fece aprire le porte de la stanza: era vuota, li lacci sciolti et solo uno ramoscello di Maggiociondolo su lo letto, madido di sudore, accanto una fiala vuota con dei rimasugli di fluido bluastro.
Bastiano, che fedele come sempre provava tanta pena per lo ostinato et sfortunato signorino, anche a dispetto de lo autoritario et determinato padrone, sparì anche lui quel giorno et venne cercato in lungo et largo per tutta Maro et dintorni senza mai esser ritrovato et del giovane Pirreo anche si perse ogni traccia.
Lo Signore di Nelea divenne furibondo, iracondo et assai depresso di fronte a tale sciagura. Cadde in una spirale di autodistruzione che lo portò a perder potere, influenza, ricchezze et infine a schierarsi con le persone sbagliate. Quando, ormai quattro anni or sono, l'Alto Signore Savio Vistiliano si proclamò Imperatore, Nelea perse ogni influenza, lo suo Signore si spense pochi cicli lunari or sono, lasciandoci senza un padrone.

De lo padre mio Bastiano nessuno seppe più nulla, ma dubito, vista la sua età, che sia ancora in giro; che le Divinità Pristine lo perdonino per quanto ha fatto...
De lo giovane Pirreo di Nelea anche, fino a pochi girodì orsono, non v'era traccia, poi sentii di questa ballata: Lo Mulino Beffardo di un tale Scarlatto Peregrino et di uno gruppo di Eclettici Viandanti in quel de la Gruilia, lo frate Frandonato, lo cavalier Galvano et lo alchimista Alburno.
Ero piccolo allora, ma affascinato da li fumi colorati et profumati dagli effetti imprevedibili, da lo vivace et pazzoide erede di Nelea. Mi rivenne in mente la sua stanza vuota in cui entrai di nascosto dopo che se ne fu andato, lo rametto di Maggiociondolo dai fiori dorati che il giovane Pirreo amava chiamare con lo suo nome alchemico, Laburnum, et alfine realizzai...

venerdì 16 dicembre 2016

Gli eclettici viandanti





Siori e Siore oggi vi narrerò una storia
la gentil novella de la compagnia senza boria

Non v'e' più sant'uomo de lo nostro frate che amoroso
pieno de vita, de fame ma da lo core mai ombroso

Li studiosi de solito son ben noiosi
Lo Magistro nostro invece ce fa ride con botti fragorosi

De tutti li cavalieri onorevoli, senza macchia et assai noti
a noi è capitato quello che dell'equilibrio ha preso i voti

A chiosar lo stravagante et temibil quartetto 
c'è  un tipo eclettico, poeta, giocoliere et ballerino provetto

Non fu per caso che si ritrovaron ad agir comunemente
attraversaron na Porta tra le nebbie apparse improvvisamente

De strada ne feceron tanta tra la gente incuriosita
risolvenno malanni et problemi con no schiocco de dita

Non vi è anfratto, ladro, fiera o malefatta
che li quattro compari non risolsero a spada tratta

De opere teatrali ne scrissi tante de poesie vergai pagine intere
ma non ti crucciar se hai tempo e denari per sentir di storie vere

Orsù non montar quel viso tristo e sconfortato
Chiama la compagnia e sarai accontentato

mercoledì 14 dicembre 2016

Errando per Laitia - Episodio 10

De le Eredità Fantastiche et Dove Trovarle

Quanto sto per narrarvi accadde più o meno contemporaneamente lo mio arrivo in quel di Zena, ove ebbe inizio la mia cerca, ove venni prima truffato, poi rapinato et infine malmenato. Ove dovetti decidere se persistere oppure arrendermi, ove... meglio non divagare: non è di me che su codeste sottili pergamene intendo dissertare.

Lo rudere di Castel Vero attendeva immoto. La fitta vegetazione che ricopriva li colli circostanti si scansava appena per lasciar scorrer lo fiume Blebo che biforcuto lambiva la antica et solidissima roccia nelle cui profondità affondavano le fondamenta de lo maniero. La profonda quiete de le rovine, ne la aria limpida di una tiepida mattinata estiva, sembrava richiamar a se lo gruppetto di avventurieri, pronti a calarsi in una nuova, intrepida impresa in illo loco che, nonostante lo degrado, già ad uno primo sguardo appariva permeato di fascino ancestrale et solenne maestosità.

Non v'è vittoria senza sfida, non v'è soddisfazione in una vittoria che non dia sfoggio di grande abilità, volontà o acume. La prima sfida fu rappresentata da lo ponte levatoio, o meglio, da lo fatto che fosse crollato, la prima vittoria che conseguì quella giornata lo saggio Alburno, per sua grande soddisfazione.
Per attraversar lo baratro con minimi rischi lo abile alchimista mise subito a frutto nuove mirabolanti formule che grazie ad inflessibile dedizione avea continuato a mettere a punto mentre li suoi compari comunemente riposavano o bighellonavano. Fu così che rese una floscia scala di corda solida passerella dura come lo ferro, su la quale tutta la comitiva poté attraversare lo fossato in relativa sicurezza.
Una volta tra le mura de la antica dimora de lo Pio Conte, lo Magistro decise di aver già dato mirabile supporto a la spedizione et, ne la sua magnanimità, volle lasciar gloria pure a li suoi valorosi compari. Decise quindi di sedersi su le pietre dismesse di una parete crollata ad abbeverarsi, lasciando lo cavalier Galvano, lo frate Frandonato et lo poliedrico Tristano ad esplorar li anfratti ancora integri de la pianta de la fortezza.

Non passaron che pochi granelli di clessidra quando uno grido di allarme fece trasalir lo Peregrino et Alburno che accorser trafelati a prestar soccorso a li lor compari, incappati malauguratamente ne la trappola di una curiosa creatura vegetale. Lo secolare alberone ne lo cortile offriva appoggio a la salma di uno antico cavaliere, ormai ridotto a mero ammasso di ossa marcescenti et metallo arrugginito, Frandonato et Galvano s'eran accostati per riconoscerne li emblemi su lo surcotto malandato et eran caduti vittima de lo attacco di uno pericoloso Brassabosca: vegetale animato, molto aggressivo, che sole nutrirsi di incauti che indugiano sotto le sue fronde grazie a lunghe et resistenti liane urticanti.
Per fortuna de li nostri eroi la spada de lo cavaliere era rapida et affilata et li trasse d'impaccio senza sforzi eccessivi. Deciser saggiamente di non sfrugugliar la creatura più de lo necessario et accostandosi a lo muro passaron oltre.

Ne la stanza immediatamente successiva, rimasta a cielo aperto in seguito ad uno crollo, la parete era ricoperta da uno fitto rampicante, a malapena visibile era la liscia pietra dietro arbusti et foglie d'edera. Tristano ebbe la buona idea di strapparne quanta più possibile, rivelando dietro essa lo contorno di uno ingresso nascosto che conducea ad una ripida scala verso il basso, verso un cupo sotterraneo.
La discesa fu parimenti buia, pericolante et umida, viste le condizioni di totale abbandono in cui vertevan le rovine. Frandonato apriva coraggiosamente la via, intenzionato a ritrovar l'Eredità promessa da la pergamena in suo possesso, mentre lo Magistro chiudeva il gruppo torcia in mano, aiutandosi con lo bastone a scender la scala scivolosa con in spalla lo ingombrante laboratorio portatile stracolmo de li frammenti grezzi de lo suo potere.

Lo cunicolo terminò bruscamente in una sala più ampia, parzialmente edificata, tra colonne crollate et capitelli superstiti, et parzialmente scavata ne la roccia, tra la quale si intravedea lo piccolo altare di pietra di uno culto antico, ormai sepolto da erbaccia et fango.
Quando Frandonato si avvicinò per esaminarlo da presso li predatori in agguato colpirono impietosi. Tele di ragno sommersero tutti, tranne Alburno che era per sua fortuna qualche passo indietro, et quando le orribili creature, da lo corpo grosso come uno grasso racchino et zampe irsute ancor più schifose, piombarono su li suoi compari la situazione sembrò precipitare.

La seconda sfida fu mostrare a tutti che anche quando intrugli, astuzia et conoscenza non possono trar d'impaccio, lo vero eroe è impavido et sa come farsi valere. A suon di mazzate lo Magistro iniziò a pestar le bestiacce come una brava massaia batte li panni appesi ad asciugare, lasciando lo tempo a li suoi compari di liberarsi, miracolosamente illesi, da la ferale imboscata.
Ne la stanza lo Peregrino trovò una nuova uscita, celata da una pesante porta scorrevole di solida roccia, et mentre Frandonato riconosceva ne lo altare li antichi simboli de lo Signore Senza Tempo, precedenti forse a la Croce Tau stessa, lo cavalier Galvano decise di perdere la brocca.

Cosa ti aspetti da uno uomo d'arme addestrato a l'Equilibrio? Che sollevi lo scudo suo per protegger li alleati, che si schieri primo innanzi a lo pericolo, spada in resta, pronto a punir li vili et difendere li oppressi, che sia primo anche innanzi ad altri con animo avventuroso come il suo a gettarsi ne la oscurità ne lo nome de la sua missione, de lo suo altissimo et equilibratissimo scopo.
Almeno questo è quanto Alburno immaginava prima di veder Galvano sgranare gli occhi, come avesse visto Frandonato che scopa mentre divora una torta di ricotta, et proclamar di aver avuto uno presagio di sventura, di aver già vissuto tale scena et che sarebber tutti morti di lì a breve se uno prode et coraggioso non fosse rimasto indietro a tener la porta.
Lo Magistro si sforzò di capire et non capendo annusò l'aria aspettandosi odor di feci calde, ma con disappunto continuò a non trovare logica spiegazione a tal comportamento. Incrociò gli sguardi parimenti attoniti di Tristano et Frandonato et quando si voltò di nuovo lo cavaliere era già a metà strada per le scale, reggendo convintamente la parte de lo eroe che resta su la soglia a perir per la salvezza de li compari.
Peccato che fuori fosse una splendida giornata estiva et innanzi a loro li attendesser diabolici indovinelli et mortali tranelli.

Gli avventurieri, nuovamente in tre, deciser di procedere anche se allibiti et inforcarono lo nuovo corridoio, che si inoltrava ne li dimenticati sotterranei di Castel Vero.
La prima trappola in cui incapparono era alquanto palese et, ovviamente, li colse impreparati.
Innescato uno meccanismo su uno scalino, si aprì una botola su lo soffitto, direttamente connessa con lo fiume Blebo, ormai soprastante. Lo sciacquone artificiale trascinò verso una morte orribile, fatta di spuntoni acuminati sullo muro innanzi, li tre sventurati che ebbero a salvarsi solamente grazie a buoni riflessi ed un bel po' di buona sorte: lo Peregrino trovò appiglio in uno anello per regger torce su la parete, Frandonato gettandosi subito di lato ne lo fondo de le scale, et Alburno sbattendo pesantemente il grugno su la parete, ma, miracolosamente senza che nessuna lama lo trafiggesse.
Ripresisi da lo immediato scossone decisero di procedere con estrema cautela.

La mappa in lor possesso rivelava con dicreta accuratezza lo dipanarsi di stanze et gallerie di quella che sembrava essere una antica catacomba di una epoca in cui le Divinità Pristine ancora non tolleravano la presenza de li seguaci de lo Signore Senza Tempo.
Secondo li appunti vergati da li monaci, in stanze a le estremità opposte de lo sotterraneo, si trovavan due chiavi et uno tesoro. Lo percorso era chiaro, li ostacoli ancora ignoti.
Durante li primi passi tra le umide et tenebrose sale li eroi notaron cripte de lo Pio Conte et de li suoi avi et una scritta più recente, ormai quasi del tutto cancellata da muffa et intemperie, recante una classica invocazione a San Cisso: "La Morale è Chiodo Fisso!"
Lo Peregrino et lo Magistro ignoravano chi fosse lo sacro in questione, ma Frandonato aveva ancor qualche reminiscenza de la sua non rimpianta clausura et seppe darne sfoggio dinnanzi a lo primo enigma che bloccò loro lo passo.

La porta innanzi a loro era massiccia, a lo contrario de le altre fatta per durar ne lo tempo et senza alcuna serratura. A la sommità de lo suo arco imperava la scritta: "Solo l'Uomo di Fede potrà passare!".
Parve incredibile anche a lo Magistro, ma dopo aver visto uno Cavaliere dell'Equilibrio farsela addosso davanti ad un tetro corridoio si convinse che tutto poteva essere, et così accettò che Frandonato apponesse la sua croce tau su lo stemma de la porta et pregasse San Cisso di consentir loro accesso, di fatto aprendo l'uscio invalicabile senza sforzo alcuno.

Li eroi non ebber molto di che lodarsi, dato che lo atrio successivo colse impreparata la loro avidità. Invitanti sacchetti strabordanti di cei giacevano incustoditi su lo pavimento. Lo Peregrino aprì la bocca per dir che qualcosa non gli tornava ma Alburno et Frandonato eran già lì pronti ad intascarseli. Scontato dire che essi eran collegati a trappole letali. Uno dardo colpì lo frate in pieno petto, infrangendosi in mille pezzi contro maglia et pettorali, entrambi di ferro, lo secondo meccanismo invece era assai arrugginito et lo Magistro, che forse avea considerato le infime probabilità che la trappola fosse ancora funzionante, ne uscì di nuovo, fortunosamente illeso.

Se da un lato la stanza rivelava una uscita nascosta per li livelli superiori, la loro meta, la prima chiave, era ne la direzione opposta, dietro una nuova porta stavolta chiusa a chiave.
Tristano ebbe modo di mettersi in mostra anche senza pubblico femminile, dimostrando di saperci fare con tutti i buchi, anche quelli de la serratura.
La vergogna di esser caduti così scioccamente ne lo tranello che solleticava la lor fame di ricchezze era ancora troppo fresca et aiutò non poco a superar la sfida successiva: non cedere a la tentazione di una intera tavola imbandita con ogni genere di leccornia, vini et nettari finissimi cui persino Frandonato seppe resister concentrandosi su la totale assurdità de la cosa. Le vivande si rivelaron poco dopo effettivamente sotto effetto di uno incantesimo che faceva apparir appetitosi li rimasugli corrotti, avvelenati et marcescenti di uno banchetto fatale.

Dei tre compari lo Magistro è sicuramente quello meno incline a cedere alle tentazioni, la sua passione per lo conio et per le gemme è puramente accademica, essendo spesso essi strumenti utili a li suoi esperimenti. Dava per scontato che tutti ormai sapessero che ne la stanza successiva sarebbero stati nuovamente tentati et che qualsiasi cosa avessero incontrato sarebbe stato meglio tener le mani a posto. Gli venne da sorrider vedendo quanto scioccamente lo ideatore di quei tranelli osasse cercare di corromperlo: chi poteva mai credere che in una stanza perduta, dimenticata da ere, sepolta sotto rovine incantate di uno fatiscente castello, potessero esserci avvenenti donne di piacere pronte a soddisfare li loro desideri più lussuriosi?
Nessuno ci sarebbe mai cascato...

... eccetto li suoi compari. Entrambi.
Tempo che Alburno, consultando la mappa, dicesse "La prima chiave deve essere qui!" quelli già eran pronti a chiavare.
La porta iniziò a cigolare et richiudersi a le loro spalle, Frandonato et Tristano vittime di una triste illusione pomiciavano con cadaveri essiccati et la stanza iniziava a riempirsi d'acqua che presto li avrebbe annegati.

La terza sfida fu smettere di imprecare contro le infime debolezze de la carne che li avevano messi in quel guaio, rendersi conto di essere la unica loro salvezza et bloccare lo meccanismo de la porta per dar tempo a li due di rinsavire et mettersi al sicuro.
Frandonato et Tristano quanto meno ci miser poco a farselo smosciare. Appena ripresisi da lo sortilegio sentirono lo umido a le caviglie, lo primo si fiondò a la porta per prendere il posto de lo stremato Magistro, lo secondo scattò a rovistar tra la mobilia in cerca de la agognata chiave.
Quando lo reperto fu infine ne le sue mani si scaraventaron tutti et tre fuori da la stanza assassina. Stremati ma soddisfatti: la prima prova era infine superata.

La seconda chiave richiese sforzo molto maggiore da parte di Frandonato ma fu quasi riposante per li altri due che concordaron che, essendo lo più massiccio et interessato ne lo trovar le Eredità a lui destinate, dovesse fare da apripista.
Lo pavimento che aveano dinnanzi presentava uno gran numero di piastrelle, larghe almeno quattro cubiti, su ognuna de le quali era impresso un carattere. Lo sentiero che era possibile tracciare percorrendole formava una moltitudine non indifferente di parole et era chiaro che la via non mortale sarebbe stata solo una:
CISSO - CASTO - FESSO - PIRLA - CESTO - DOTTO
Di prove ne fecero a bizzeffe, senza mai indovinar quella corretta, et ogni volta Frandonato si faceva uno volo di una mezza dozzina di cubiti su spuntoni in legno per fortuna vecchi et marcescenti, uscendone malconcio ma soprattutto assai stufo di doversi ogni volta ritirar su, illeso solamente grazie a la sua costituzione et virilità degna persino de le leggende iperboree.
Insomma lo percorso giusto era lungo la parola FISSO, come lo chiodo de lo motto di San Cisso... ma vacci a pensare?

La chiave era custodita da uno antico guardiano, scheletrico in armatura, animato da magia oscura. Venne mazzuolato senza pietà alcuna da lo maglio de lo frate, mentre lo Magistro fondeva uno paio di altri simili immondi che avventatamente avevano provato a metter teschio fuori da li lor sarcofagi. I tre tornarono su li loro passi gustandosi lo piacevole odor di mentolo de lo Foco de lo Alchimista che per un po' coprì ogni tanfo di umido, vecchio et morte ne la micidiale catacomba de lo Pio Conte.

La sala in cui inserire ambo le chiavi era segnata chiaramente su la mappa. Li eroi, memori delle batoste prese, seppero evitar uno paio di meccanismi atti a far scattar novi et diabolici strumenti di dolore. Varcaron la soglia di uno ampio et profondo stanzone che ospitava diversi sepolcri, disposti su ambo i lati, et terminava con uno massiccio colonnone scolpito ne la roccia ne lo quale due serrature sbloccavano altrettanti solidi cassetti.
Guardinghi et cauti, viste le molte sorprese fino a quel punto loro riservate da li perversi architetti de la catacomba, lo Magistro et lo Peregrino si fecero qualche cubito più in là mentre Frandonato temerario sbloccava li meccanismi.
Inizialmente nulla sembrò succedere et con somma curiosità di tutti lo frate estrasse li agognati tesori da li rispettivi nascondigli: essi consistevano in uno sacchetto di cuoio, celante almeno uno paio di minuti oggetti, uno barattolo di ceci, a prima occhiata duri come selci, et uno imponente padellone di massiccio metallo la cui impugnatura superava li due cubiti di lunghezza.

Ovviamente non vi fu tempo di esaminar meglio le reliquie trafugate: la trappola finale, riservata loro da lo Pio Conte, era stata già innescata.
La sala intera tremò, lo pavimento sotto li loro piedi si mosse et lentamente iniziò a precipitare verso il basso, lasciando in alto solo le bare di pietra lungo i muri, una ristretta sequenza di mattonelle isolate ne lo centro et la agognata uscita che diveniva via via più lontana.
Agilmente li tre saltarono al sicuro: Alburno et Tristano lungo li lati, su li sarcofagi, Frandonato su una de le mattonelle centrali, divenute ormai pilastri.
Lo pavimento però continuava ad allontanarsi sotto li loro sguardi et come se non bastasse li coperchi de le bare iniziarono a scuotersi, li loro occupanti stavano prendendo vita!

La ultima sfida consistette ne lo valutar la intera situazione in uno battito di ciglia, soppesare li pro et li contro, le scarse risorse ancora a disposizione et la brutta piega che li eventi stavano prendendo. La vittoria fu nel comprendere che la fuga sarebbe stata la via unica per trarsi d'impaccio.
Lo pavimento distava ormai già una decina di cubiti et non accennava ad arrestar la sua corsa, era tanto ma ancora non troppo, d'altro canto zompare di bara in bara, di pilastro in pilastro, come intendevan far li due compari, ma portando su le spalle lo delicato et ingombrante laboratorio portatile, sarebbe stato assai più rischioso. Alburno decise così di improvvisare et si lasciò cadere crollando pesantemente al suolo.
Ne lo mentre lo Peregrino et Frandonato avean iniziato a farsi strada verso la uscita a suon di balzi, ma li scheletri guardiani, ridestati da lo lor sonno secolare, facevano di tutto per impedir loro di proseguire con archi et lame. Lo frate incassava colpi et deviava frecce con la padellona appena conquistata, rimanendo stoicamente in bilico et un paio di volte persino appeso per una sola mano non cedette fino all'ultimo. Tristano scagliò lame finché ne ebbe ne la saccoccia, aiutando il compagno et attirando su di se anche lo tiro del nemico, a la fine dovette pensare a salvarsi le terga, mutandosi in fringuello et svolazzando fino a la salvezza.

Lo Magistro invece si riprese dolorante da lo gran botto, tutto sommato illeso. Era conscio di essere saltato di sua sponte in uno vicolo cieco, ma non lo avrebbe mai fatto senza uno piano per venirne fuori. Gli rimanevan due pozioni, soltanto due et non v'era tempo per farne di nuove, li insegnamenti de la più elevata de le scienze arcane dettano che la materia è la stessa per tutte le cose, et lo approfondito studio de la Regola Aurea lo avean reso alquanto abile ne lo improvvisar filtri mescolandoli tra loro.
Aveva uno solo tentativo: crear lo filtro che lo avrebbe tratto d'impaccio o restar sepolto ne le profondità de la cripta crivellato da li dardi de li imperituri guardiani.

Ne lo mentre, Frandonato ormai ferito barcollava, mulinando maglio et padella come meglio potea per tenere indietro le orde non morte. Tristano riprese forma umana, da uccelletto qual era, giusto su la soglia de la uscita, si volse et scagliò una ultima lama per coprir lo disperato tentativo di fuga del compare.
Appena alcuni secondi dopo, a lo suo fianco, uno lucertolone lungo quasi mezzo braccio si arrampicò da lo pavimento sprofondato. Lo Magistro Alburno sorse vittorioso, riprendendo forma umana con aria tronfia per lo successo de lo suo piano. Afferrata la Diabolica Cerbottana si volse et assieme a lo Peregrino liberò la via di fuga al compare in difficoltà.

Lo mio mentore, in ogni suo racconto, non mancò mai di rimarcare li aspetti più mirabili de li baldi cui si accompagnava: l'ecletticità et la dote di arrangiarsi in ogni situazione di Tristano, lo vigore et inesauribile energia di Frandonato. Mal sopportava alcuni lati de lo lor carattere, talune perversioni, ma mai avrebbe immaginato più validi alleati a lo suo fianco. Lo rapporto di stima virava man mano in amicizia. Anche in codesta ardua prova eran riusciti a trionfare, ne eran emersi non illesi ma uniti, spalleggiandosi et completandosi con le rispettive capacità.

Eppure lo lor cammino era ancora a li inizi, persino l'uscita da la catacomba avrebbe rivelato ancora qualche sorpresa. Tanto per cominciare dovean capire cosa avesse lasciato loro ne lo sacchetto lo grigio Magistro S. et cosa potesse esser capitato a lo bizzarro cavalier Galvano...

mercoledì 7 dicembre 2016

L'equilibrio smarrito


I cadaveri dei ragni giacevano li, inerti e in attesa dell'inevitabile decomposizione.
Ancora col fiatone per l'inaspettato sforzo, Galvano ebbe una stranissima sensazione:
quella scena l'aveva già vissuta...ma l'epilogo era stato diverso!
Si giro di scatto verso l'entrata della grotta, come se avesse sentito qualche rumore sospetto ma niente, tutto taceva. Un silenzio profondo...quasi irreale. Si irrigidì, una paura ancestrale sopraggiunge improvvisamente.
Riuscì a controllarsi (il suo primo istinto rea stato quello di fuggire senza guardarsi indietro) grazie alla durissima autodisciplina che aveva acquisito duranti gli anni di addestramento. 'La paura si affronta con l'equilibrio' queste le parole del suo maestro; gli risuonavano nella mente come un mantra come se le avesse sentite in quell'istante.
Cercò con gli occhi i suoi nuovi compagni d'arme in cerca di un qualche conforto ma uno scenario orrendo gli si stampò negli occhi.L’unica via d’uscita (e di entrata) era scomparsa e
tutti erano morti, trucidati; mangiati da dentro, solo le spoglie esterne erano rimaste a testimoniare la presenza di quello che un tempo era un corpo umano.
Chiuse gli occhi per tre volte ma li trovò ancora li.
A quel punto qualcosa si ruppe dentro di se e contemporaneamente una voce lo cominciò a chiamare...era quella sognata più e più volte nelle ultime settimane; era il magistro con la tunica grigia e i paramenti oro. Corse a perdifiato verso l'uscita  ma una mano tentò di sbloccarlo vigorosamente, era il Frate. Si divincolò con una agilità che neanche lui pensava di avere e scomparse nel buio della galleria, ma dopo pochi passi ebbe l’istinto di fermarsi.
Doveva in qualche modo aiutarli anche solo rimanendo li fermo e inebetito per proteggere la via di fuga.


venerdì 2 dicembre 2016

Sotto l'arco de la Grotta





Ballata N° I

Sotto l'arco de la grotta
Se celavan esseri che puzzavan de caciotta

Al comando di uno strano omuncolo
Assai losco con mano marcia e dito aduncolo

Perpetravan strani et oscuri affari
Che li boni frati eran ancora ignari

Quando ecco che tosti e gajardi
Arrivaron l'eroi che fortuna non era ancor tardi

La cagnara fu tanta et rumorosa
Ma di botte ne volaron a iosa

Du frati, Tre omuncoli uno alchimista uno musico ed un Vermone
Oscuraron l'entrata de la caverna con intenzioni bone

De riffa e de raffa volaron schiaffoni a desta e manca
Periro BiroBiro mano marcia e la Lupa ma ci persi quasi l'anca

Ma quel che conta ed è importante
E' che gli intrepidi han arrestato un altro lestofante

Ringraziamo ordunque lo Conte Gualfiero de Epilorna
Che chiamò l'eroi affinchè la bene aritorna


Tristano
Lo Scarlatto Peregrino

Lo salvataggio de la figlia e del Formaggio





Ballata N° II

Nella notte buia lo lupo feroce
Attacca li mercanti a piè veloce

Non v'e' scampo per lo Peregrino
Meglio Rimanere accanto al camino

Ulula al vento et feroce avanza
Presto corri prima che inizi la macabra danza

La morte ti coglie senza l'avviso
Cancella dal volto il tuo sorriso

Cavalieri e arcieri scaldate le braccia
E' giunta l'ora della grande Caccia


Tristano
Lo Scarlatto Peregrino

Lo Molino Beffardo


Ballata N° III

La Festa era in periglio
Li ladri operavan da lo nascondiglio

Nella notte trafugavan gli alimenti
Bisognava trovalli tosto , non v'era altrimenti

Senza paura ne indugio
La compagnia si fece segugio

Non era L'Omo Topo lo colpevole
Ma Balestrino lo mugnaio ben poco onorevole

Niuno ladro scappar potrà
Se sulle sue tracce la Compagnia sarà

Li ladri scovati, la refurtiva in salvo tratta
 Orsù gioimo le Fiera inizi , GIUSTIZIA è fatta.

Tristano 
lo Scarlatto Peregrino