giovedì 30 luglio 2015

Jester "The Rock"



Non servirono a nulla quel giorno le interminabili ore di allenamento presso la fortezza di Empty Sanctum, a nulla servirono quel giorno le tecniche che aveva a fatica fatte sue, non servì a nulla quel giorno lottare come una belva ferita perchè qualcosa di imprevedibile stava per accadere.
Le possenti mura innalzate a protezione della piccola cittadina di Legrash a nulla servirono quello stramaledettissimo giorno, le guardie non potevano immaginare che tra le loro fila si nascondesse una serpe, quel maledetto cane che eliminò nella notte le sentinelle di ronda aprendo il portone ai predoni.

Jester svegliato dalle urla non ebbe il tempo di indossare tutto il suo eguipaggiamento, prese solo la sua spada ed il suo scudo, disse a Linda, sua sorella di rimanere a protezione dei genitori e di barricarsi in casa, ed uscì cercando di dirigersi nel vivo dello scontro. Ma era ormai troppo tardi, i subumani avevano invaso il centro cittadino, sciamando dal portone principlae spalancato a giorno, dove l'esigua guardia cittadina non si sarebbe mai aspettata un attacco. Si lanciò come un folle all'interno delle fila degli attaccanti, schierandosi fianco a fianco con i suoi compagni, lottò con loro come se non vi fosse un futuro, e per un attimo riuscirno a rallentare l'attacco, attirando l'attenzione dei nemici su di loro. Insieme erano più forti, insieme erano pronti a formare una piccola linea difensiva come avevano imparato e più volte provato in allenamento alla fortezza. La possenza e la forza di Jester diedero nuova speranza ai suoi compagni d'arme ed ai cittadini che scappavano impauriti da case incendiate e dalle spade ricurve di quei banditi vestiti di nero. Avrebbero potuto resistere almeno fino a che le forze non li avrebbero abbandonati, erano riusciti ad indietreggiare fino alla via della speranza, uno stretto corridoio ricavato scavando la dura roccia che collegava le due parti della cittadina divise da una rocciosa collina facente parte dei Monti Zanlis, dalla quale Jester prendeva il suo soprannome "The Rock"

Era evidente che la loro preparazione bellica era nettamente superiore a quella dei banditi che dalla loro avevano invece il numero. Jester ed i suoi erano pronti a sacrificarsi per far in modo che la popolazione avesse il tempo di scappare tramite un cunicolo segreto e sotterraneo verso la pianura che si estendeva al di la del passo Tremble. La cittadina era persa, i corni della torre Hope riecheggiavano nella notte, tra i crepitii di case incendiate che si ripegavano su se stesse ed il fragoroso rumore del cozzare delle metalliche spade durante la battaglia. Jester ed i suoi compagni intonarono la ballata dell'eroe, sapevano che la loro fine sarebbe giunta di li a poco, ma erano consapevoli che la particolare conformazione del villaggio ed il punto nel quale si erano asserragliati per portare l'ultima e strenua resistenza non sarebbe potuto cadere tanto facilmente ne tanto presto.  
Fu li che avvenne un fatto inaspettato quanto repentino, il tradimento, dalle loro fila, proprio accanto a Jester, Kurt , suo amico da sempre, fece un passo indietro e lo colpì alla schiena, la piccola linea difensiva cadde sotto l'impeto dei predoni e Jester ebbe solo il tempo di accorgersi di quello che era successo. Il dolore per l'essere stato tradito da quello che pensava fosse un fratello era più grande del dolore provocato dallo squarcio mortale sulla sua schiena, cadde in ginocchio con il sapore aspro del sangue in bocca e vide un ghigno dipingersi sul volto di Kurt, le ultime parole che sentì furono...."adesso me la spasserò con Linda gran pezzo di merda". Il copioso sangue che usciva dalla bocca di Jester soffocò le sue ultime parole nella sua bocca " Bastardo...tornerò..." 

Un forte respiro e poi un urlo rimbombarono nel laboratorio "...Tornerò..." strappando dei tubi che lo collegavano ad uno strano marchingegno Jester si rizzò seduto sull tavolo dove era adagiato. Ma provò subito un dolore lancinante alla schiena, un dolore talmente forte che gli fece perdere i sensi di nuovo, non prima però di vedere due mani di carnagione scura che lo aiutavano ad adagiarsi su quello strano tavolo gelido. Risuonarono sulle sue labbra, questa volta non più soffocate dal suo stesso sangue le parole "Bastardo....tornerò..."

Moses



         Resurrezione
Io sono Moses, o meglio, questa è l'identità che mi è stata assegnata nella mia seconda vita, una banale traslitterazione del codice identificativo che ho tatuato sul collo: M0535.
Della mia vita precedente non ho ricordi se non gli ultimissimi istanti: il calore intenso della fiamma ed il gelo profondo del metallo. Il mio soffio vitale spazzato via, la mia personalità annullata, persi tutti quanti i miei ricordi. Eppure qualcosa è rimasto.

La maggior parte dei miei organi interni sono stati salvati: il mio cuore ed i polmoni sono artificiali ma pompano vero sangue in circolo nelle mie vene, le placche di metallo nascondono i nuovi innesti e le complesse apparecchiature elettroniche che oggi mi mantengono in vita.
Tutti e quattro i miei arti sono stati rimpiazzati con impianti cibernetici, braccia e gambe di scuro e solido acciaio che uso nascondere sotto vesti ampie e comode per non attirare attenzioni indesiderate.
Anche gran parte del mio sistema nervoso centrale è stato ricostruito: una buona porzione della materia grigia è ancora organica ma circa un quarto del mio cervello è circuitato ed accessibile attraverso una placca cranica sigillata di acciaio opaco, così come l'intera spina dorsale, i cui innesti vertebrali emergono dalla pelle sottile ed annerita della mia schiena.
Il volto che porto è ancora in larga parte quello che avevo nella mia vita precedente, non vi crescono più peli, così come su tutto il resto del mio corpo. Conservo i miei veri occhi, celati dietro una visiera specchiata, regolabile e direttamente innestata all'apparato uditivo, anch'esso interamente artificiale.
Sono uno spettacolo grottesco per la popolazione selvaggia ed ignorante del Nono Mondo e uno straordinario esemplare ibrido di carne e metallo per chi invece dedica la sua esistenza allo studio dei Numenera.


Mi risvegliai nel deserto alcune settimane or sono. Solo. Il vento aveva cancellato le tracce sulla sabbia di come fossi giunto fin lì. Accanto a me una sacca, strumenti di precisione, alcuni pezzi di ricambio e marchingegni ignoti, una lama e pochi viveri, come se fossi stato lasciato lì di proposito. Mi lasciai guidare da una colonna di fumo all’orizzonte per giungere entro sera in un primo, piccolo centro abitato.
Presto mi resi conto delle potenzialità del mio nuovo corpo, della sua incredibile resistenza e potenza fisica. Nonostante non riuscissi a comprendere l’esatto funzionamento delle mie parti cibernetiche era evidente che il lavoro compiuto fosse incompleto e, seppur già di per se stupefacente, ancora ben lontano dal manifestare il suo pieno potere.
L’eccellenza del lavoro fatto su di me da colui o coloro che mi hanno ridato vita è manifesta anche nell’agio in cui mi trovo in questo corpo ibrido: lo sento mio, perfettamente integrato con le parti ancora organiche, persino psicologicamente non avverto alcun rifiuto, nessun rimpianto di ciò che fui.
Paradossalmente potrebbe essere proprio questa innaturale armonia a turbarmi maggiormente o la consapevolezza di essere un’organismo superiore, ma allo stesso tempo ancora in corso d’opera ed in grado poter raggiungere un più alto livello di perfezione.
Viaggio da allora con il duplice scopo di svelare il mio passato e completare ciò che sono. I Numenera, i segreti mistici dei mondi precedenti al nostro, le tecnologie proibite e dimenticate sono la chiave per realizzare me stesso.


L'incontro
Lo sconosciuto sembrò riconoscermi dopo appena qualche parola scambiata, mi disse qualcosa, un nome di persona o forse un luogo che mandò completamente in tilt il mio sistema neurale.
Dal suo volto sorpreso, quando mi ripresi, capii che ciò che aveva causato non era voluto, eppure non riuscivo a ricordare cosa fosse successo. In seguito l’uomo mi raccontò della mia infanzia, mi disse chi ero e da dove venivo, eppure ancora oggi non riesco a ricordare quei dettagli, come se andassero in conflitto con le mie memorie attuali, ma in fondo nemmeno mi interessa. Chi mi ha ricostruito ha fatto in modo che il nuovo me non rimpiangesse chi fossi prima di risorgere. Appare però evidente che il mio inconscio si opponga a questa scelta, basta pronunciare quel nome, che in alcun modo riesco a ricordare, affinché i tessuti organici del mio corpo si ribellino a quelli cibernetici. L’effetto è un offuscamento quasi totale della mia volontà, incapacità completa di agire per alcuni secondi finchè non si attiva una sorta di impianto di emergenza che elimina il ricordo e ristabilisce il controllo. Seguono diversi minuti in cui mi è impossibile assimilare ogni tipo di ricordo a breve termine, poi il sistema neurale sembra riavviarsi e tutto torna normale.
Non sono attualmente in grado di mettere mano al circuito di emergenza, non senza rischiare di arrecare danni più gravi, e non conosco nessuno di cui mi fidi abbastanza per consentirgli di operare sul mio pannello neurale. Per ora non è quindi possibile fare nulla a riguardo.


Quando all’alba del giorno dopo lasciai il villaggio scoprii che lo sconociuto avrebbe preso la mia stessa strada. Vidi in lui un grande potere, risultò vitale conquistare e mantenere la fiducia di costui, sia perché a conoscenza di chi ero e avrebbe potuto aiutarmi a ricostruire gli eventi, sia perché sarebbe stato a questo punto troppo rischioso averlo come nemico.
Gli offrii la mia compagnia e la mia protezione, in fondo, come presto scoprii, le nostre strade non erano molto dissimili.

mercoledì 29 luglio 2015

Jamal Sahl Al-Fayeed






Era una normale giornata di primavera, il momento migliore per iniziare a preparare un nuovo filare sull'appezzamento di terra che da anni aspettavamo di poter acquisire. Una collina ben esposta e molto produttiva, che avrebbe rivelato un ulteriore piacevole sorpresa. Ero partito presto e avevo già lavorato su metà della terra, quando l'aratro si bloccò completamente, mentre una lampo di luce balenava dal terreno. Calmati i buoi che cercavano di scappare, riusci a trovare il manufatto e lì inizio tutto. Appena preso in mano infatti ebbi come la sensazione che tutto assumesse una nuova visione, come se quella sensazione di incompletezza, avesse finalmente trovato la sua soluzione. 

Giocando, lavorando e studiando questo oggetto iniziarono ad emergere altre interessanti aspetti di me stesso: potevo giocare con la materia, plasmarla con la forza della mia mente.  Ringrazio i miei che capirono che era più importante per me e per l'umanità che intraprendessi questo itinerario di scoperta e studio. 

Ormai sono 4 anni che ho abbandonato l'azienda vinicola di famiglia e viaggio in cerca dei Numénera........

venerdì 17 luglio 2015

La Bara





Il feretro della bambina era lungo poco meno di un metro e mezzo, molto più pesante di quanto apparisse trasportato tra le possenti braccia di Andrej.
Venne poggiato su un piedistallo al centro della sala e liberato dal velluto bordeaux che ne nascondeva le fattezze.
Carmilla ne accarezzò delicatamente il coperchio con le dita pallide, affusolate e gelide. Il legno di ciliegio era uno dei più pregiati, importato dal Borca e altri dominii più remoti e finemente lavorato da un esperto artigiano. Le curatissime incisioni ed intarsi dorati raffiguravano intrecci di foglie e calendule lungo tutte le assi laterali, mentre sul coperchio compariva la sagoma di un daino a far capolino tra gli arbusti.
Le decorazioni richiamavano sempre elementi della vita passata del rinato, una simbologia per lui significativa o ad egli legata emotivamente. La bambina doveva adorare quei fiori ed avere un ricordo molto profondo legato all'animale sul coperchio o ciò che esso rappresentava.
Le unghie di Carmilla graffiarono crudelmente il muso disegnato della bestia poi, senza cura, il coperchio venne spinto di lato e cadde pesantemente in terra, scheggiandosi irreparabilmente.

La bara era vuota, ovviamente, il suo minuto ma feroce proprietario si nascondeva nel buio, da qualche parte là fuori, rifuggendo la mortale luce diurna, I raffinati pizzi all'interno erano di seta, adagiati attorno ad una morbida imbottitura che anche venne sfregiata dalle acuminate unghie smaltate di rosso della biondissima matrona dei Romanov.
Le dita nobili, splendidi artigli, si insinuarono tra le piume d'oca raschiando il fondo e raccogliendo nel pugno chiuso una manciata di terriccio che Carmilla portò poi al volto, odorò profondamente e lasciò di nuovo cadere nel piccolo sarcofago un granello alla volta.
Il terriccio conservato all'interno della bara era ciò che legava ad esso la creatura. Proveniva da un luogo profondamente significativo per la vita precedente della creatura o in altri casi era quello della sua sepoltura. Il terriccio di Lowenturm appariva anonimo, inodore, non aveva alcun che di particolare, soltanto il piccolo demonio avrebbe saputo riconoscerlo.

Nelle bare dei due Romanov era conservata una manciata di terra presa dal loro sepolcro, quando erano stati seppelliti e riesumati dal loro stesso padre. Carmilla riusciva a malapena a ricordare quanto tempo fosse passato da allora e dall'ultima volta che Cezar Romanov aveva posato il suo severo sguardo su di lei.
Cornel l'aveva preceduta di alcuni anni nell'oblio della dannazione e lei aveva ignorato il suo fato fino al giorno in cui suo padre l'aveva reputata pronta per compiere quello stesso passo. Persino Herr Locke non aveva osato opporsi al suo volere, nonostante la sua promessa d'amore ed eterna devozione. Era dovuto a quello il peso che Carmilla dava alla parola dei mortali, alla veridicità dei loro sentimenti, alla profondità dei loro intenti. Locke ora serviva lei e suo fratello senza un accenno di esitazione, senza un ripensamento, senza una menzogna né secondi fini. Schiavo nella morte perché incapace di sostenere in vita le proprie parole con azioni. In lei ogni sentimento era da tempo dimenticato.

Carmilla Romanov compativa Ylenia Trikskys perchè sentiva in fondo di comprenderla. Resa un mostro in prematura età, prigioniera di un corpo a metà tra una bambina e una donna, con una mente ed uno spirito che difficilmente avrebbero sopportato e razionalizzato la trasformazione e che di conseguenza poco si confacevano al ruolo che le sarebbe spettato nel loro ambizioso disegno. Trovava difficile immaginare che ci sarebbe stato un posto per l'erede di Sinise nella Barovia della Congiura, eppure la bara era lì, nelle loro mani, e la bambina vi avrebbe prima o poi fatto ritorno.

Come agire dunque? Fare a pezzi il feretro la avrebbe resa vulnerabile per un po', ma un essere in grado di soggiogare le menti altrui avrebbe trovato presto il modo di farne preparare un'altra. Una procedura lenta ed onerosa, dato che la nuova bara avrebbe dovuto essere molto simile, se non identica, alla precedente in qualità e decorazioni e contenere al suo interno i medesimi legami materiali. Una volta pronta la nuova bara e ben nascosta, i Romanov avrebbero perso ogni presa su di lei.
Avrebbe potuto Ylenia stessa chiedere al mortale soggiogato di distruggerla, ma sarebbe stato lui in grado di spingersi così in profondità nella villa? I guardiani non lo avrebbero di certo permesso.
Una valida possibilità era quella di sfruttare invece il suo ignaro servitore per attirarla allo scoperto... Ma poi..?
Distruggerla?
Soggiogarla sarebbe stato impossibile.
Scendere a patti alquanto improbabile.
Le creature figlie del caos non possono sottostare a lungo al giogo del padrone.
Non vi era altra soluzione probabilmente, Carmilla la cercava con determinazione, ma non riusciva a trovarne una che la soddisfacesse e che Cornel avrebbe sicuramente approvato.

Cornel, suo fratello maggiore, il vero e degno erede di Cezar Romanov e colui che le aveva insegnato a convivere con la sua nuova natura. Carmilla amava suo fratello fin da bambina, ora attendeva con ansia il suo ritorno dalla villa dei Von Zarovich. Aveva preferito Martha a lei come sua accompagnatrice senza prodigarsi in eccessive spiegazioni, l'incontro era in programma da giorni e di un'importanza cruciale per i loro piani: un "Si" della nipote del Conte avrebbe significato l'inizio della rivoluzione, un suo "No" l'ennesimo rimando se non direttamente il suo definitivo fallimento.

Uscì dalla stanza lasciando che i pesanti drappi purpurei si richiudessero alle sue spalle, ignorò lo sguardo cieco, fisso su di lei, dello schiavo Locke ed attraversò l'ingresso celato che conduceva alla cripta di famiglia.
Carmilla Romanov quella notte era tormentata, ansiosa, pensierosa e preoccupata. Decise di stomaco di recarsi ove non osava, per odio e timore, da lungo tempo. Avrebbe cercato il consiglio, destandolo dal suo sonno di morte, di Cezar, suo padre.

venerdì 10 luglio 2015

Fame oscura

Andrej e Kuzja si svegliarano affamati. Per consuetudine continuavano ad utilizzare la parola fame per descrivere quel che provavano. Ma era qualcosa di diverso, più profondo, animalesco ed incontrollabile che andava ben al di la del nutrimento e della semplice sazietà. Era desiderio puro che attanagliava le loro menti, era istinto che tartassava ogni loro pensiero. La sensazione del sangue caldo che scaldava le loro membra fredde, ridonando loro un effimero ed ingannevole afflato vitale, era la cosa più desiderata ed al contempo temuta dai due novelli vampiri. Una sorta di ultimo assurdo appiglio alla loro vita passata, ottenuto rubando la vita stessa ad altri esseri. Era l'aspetto più terribile ed appagante della loro nuova natura. 
Finché si nutrivano riuscivano a tenerlo a bada, ma già dopo una giornata intera diventava un fastidio costante che influenzava le loro azioni. Ora appena svegli, a quasi due giorni dal loro ultimo pasto, la furia animalesca, l'incontrollabile istinto di nutrirsi stavano per prendere il sopravento su di loro con conseguenze probabilemnte spiacevoli.

Una cosa era certa: quella sera in un modo o nell'altro si sarebbero nutriti.

Andrej e Kuzja uscirono dalle loro bare e si portarono sotto la finestra ove alloggiavano i diurni. Non troppo lontano però scorsero Mira correre verso di loro, inseguita da alcuni grossi lupi. Andrej impugnò la sua arma, Kuzja indietreggiò dietro il compagno. Un lupo caricò Andrej finendo letteralmente diviso in due dalla sua pesante spada, un altro lupo tentò di azzannare Mira che schivò il morso ed abbatte la bestia con una rapida combinazione.

Uno dei lupi, il più grosso, ringhiò verso il trio per poi iniziare a trasformarsi: le ossa si allungarono e deformarono con sordi e secchi rumori; la pelliccia si diradò lasciando spazio ad una pallida pelle ricoperta di folto pelo. In breve tempo il lupo prese forma umana, scrutò i tre per un breve attimo e poi fiutà l'aria con profondi respiri. Spezzò la tensione creatasi iniziando a parlare con una voce ruvida, gutturale più da bestia che da uomo: "Non siete umani, nessuno di voi tre. Cosa ci fate qui? Questo è il mio territorio, andatevene!"
Seguì una sorta di breve trattattiva: il clan Romanov avrebbe lasciato a Graam libertà di cacciare nel terriotrio di Lowerturn, in ogni caso molto povero, in cambio di informazioni su Ylenia Trikskys. Graam difatti ha confermato la presenza di Ylenia nella residenza dei Trikskys, ultima della sua famiglia, spiegando che avrebbero potuto trovarla nei pressi di un gazebo nel labirinto, raggiungibile seguendo un particolare tipo di fiori. Graam però non sapeva dove trovare la bara della ragazza, nella sua vita da servo dei Trikskys non aveva avuto accesso a quella zona della residenza.
Lasciarono andare Graam con il suo branco di lupi, ululando nella notte: Andrej e Kuzja avevano altre urgenze da sbrigare prima che l'alba sorgesse nuovamente.


Dopo l'inaspettato incontro Andrej e Kuzja si rivolsero bruscamente a Mira: "vi siete procurati il nostro cibo?" chiesero i due visibilmente alterati. Mira spiegò loro di aver provato a raggirare una guardia solo per rischiare di finir anche lei vittima di Graam. I due vampiri non potevano attendere oltre, così decisero di entrare di forza in una delle case di Lowerturn grazie all'aiuto della diurna. Individuarono una casa isolata, abitata probabilmente solo da due persone anziane: Mira bussò invano cercando di convincere una delle persone in casa ad uscire. Andrej spazientito buttò giù la porta con un poderoso calcio facendola volare addosso all'ignaro anziano che si trovava dietro. Mira scattò dentro cercando di abbrancare la signora che restò in un primo momento impietrita vedendo suo marito giacere sotto la porta divelta in fin di vita. Poi l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e provò a correre fuori evitando la dampyr. Così finì tra le braccia di Andrej e Kuzja che, impossibilitati ad entrare nella casa, si protendevano nell'ingresso scoprendo i denti affilati già in preda alla fama animalesca. Erano ormai due immonde creature della notte disinteressate ad ogni cosa che non fosse la loro preda, avide di sangue caldo con cui saziarsi per poche ore. Bevvero voracemente azzannando a fondo i loro canini affilati nella carni della preda finché non persero interesse quando la vittima spirò tra le loro braccia. Ormai calmi e soddisfatti, con il volto, le vesti e le mani lorde di sangue tornarono lucidi ed iniziarono a preoccuparsi di come mascherare l'accaduto onde evitare si sospettasse della loro presenza.
Andrej gettò i due cadaveri nel fiume in modo che la corrente li portasse lontani mentre Mira e Kuzja cercarono di siste
mara la scena in modo da simulare un assalto di lupi affamati: sparsero il pelo del lupo ucciso poco prima ed Andrej evocò dei lupi in modo lasciassero le impronte intorno alla casa.

Mira tornò in stanza per il meritato riposo, non senza aver stramaledetto ancora una volta l'incarico assegnatole, mai avrebbe potuto credere di dover procurare del cibo per dei vampiri, per di più due persone innocenti. Aveva cercato almeno due persone che avessero goduto di gran parte della loro vita, sperava che fossero contenti almeno del loro vissuto. Con il cuore lacerato dal dolore per delle vite spezzate, lasciò avere il sopravvento al ferreo regime che le era stato imposto dal culto. La missione era più importante di ogni cosa, la Missione veniva prima di tutto. Con le mani sporche non quanto la sua coscienza Mira salutò i compagni e si diresse verso la locanda. Con un paio di balzi arrivò alla finestra spense la candela e tirò le tende, Kazimir ed il bardo dormivano della grossa, non le restò che infilarsi nel letto, sperando di riuscire a dormire.


L'origine del suono


Le ferite dell'esplosione stavano guarendo, l'onda d'urto era stata tremenda ma la consapevolezza del suo arrivo e la buona salute della quale godeva da sempre il giovane bardo fecero la differenza sul peso nella bilancia che rappresentava la sua vita. Ancora una volta il piatto della vita era in leggero vantaggio su quello della morte. Ancora una volta a Warvic era stato concesso di vivere.

I giorni seguenti, da come gli era stato raccontato furono pieni zeppi di eventi, per lo più la situazione di apparente stallo si sbloccò improvvisamente e la lenta guerra politica divenne una guerriglia atta alla vendetta e per ripristinare l'ordine delle cose in favore dei Romanov.

Dovendo passare del tempo a letto, colse l'opportunità per riflettere, strimpellando sulla sua arpa, riguardo i recenti accadimenti su come la sua vita fosse cambiata negli ultimi anni e su come la faccenda si stesse facendo più intrigata di come avesse mai immaginato potesse essere una rivolta. Ripensò ai suoi compagni, figli di una ribellione soffocata sul nascere, ripensò alle serate di bivacco ed al calore tipico del folklore gundarakita, ripensò al fervore dei discorsi intorno al fuoco, pieni di voglia di rivalsa, di giustizia e di speranza. Ripensò a quanto fosse evidente con il senno di poi che quella rivolta, fatta di piccole schermaglie, in realtà non fosse nemmeno lontanamente efficace contro un regime radicato, potente e terribile come quello del Conte.

Si chiese che fine avessero fatto i suoi compagni d'arme, Lo Straniero su tutti, un enigmatico personaggio di cui non era dato sapere più di tanto, che la sua stessa paranoia per la segretezza lo avesse salvato? Seppe parlando con la taciturna diurna che Kuzja , Andrej , Martha , Astrid e Mircej erano stati compagni di Bogdan. Warvic conosceva di sfuggita quel giovane esploratore, ma aveva avuto modo di apprezzare il suo animo schivo ma leale, sempre pronto a sacrificare se stesso per il bene della causa che aveva sposato con fierezza. Una delle poche volte che ci aveva parlato gli aveva confessato che per lui quel posto era una casa, la casa che gli era stata negata anni prima da una famiglia che lo aveva tradito, due volte, si era spaccato la schiena sui campi di quei contadini e nel momento del bisogno era stato venduto da quelli che credeva fossero i suoi genitori.

Il bardo ammirava il coraggio con il quale il giovane Bodo, invece di rassegnarsi al suo maledetto fato, aveva risposto con entusiasmo ed energia alla chiamata del popolo gundarakita, aveva guardato quegli occhi ed aveva tratto ispirazione proprio quando la speranza veniva meno nei suoi. 

Eppure a quel tempo non sapeva chi fosse Bogdan, i piani segreti dello Straniero non erano alla portata di tutti, ben che meno di un umile artista come lui. Oggi quel giovane avrebbe potuto dire la sua, oggi quel giovane così pacato sarebbe stato tramutato in qualcosa di differente. Chissà se la sua lealtà e bontà d'animo si sarebbe  tramutata in una bestia assai feroce, determinata e sopratutto spietata. Quel infausto destino che lo aveva colto forse lo aveva liberato dal peso di una non-vita piena di contraddizioni. 
Aveva sentito di integerrimi personaggi usciti di senno diventati dei nemici formidabilmente spietati, la mente umana deviata da un male così grande poteva diventare un arma piena di cattiveria e ferocia, esattamente come una belva ferita ed in pericolo di morte. Esattamente come un lupo. Chissà cosa avrebbe pensato di queste fantasie quel giovane, chissà come sarebbero stati oggi i suoi occhi.

Riflettendo le sue mani si erano fermate sulle corde della sua arpa, mentre l'eco del fiume di note ancora riecheggiavano nella stanza. Warvic posò lo strumento e rimase in concentrazione per qualche istante, poi disse a voce alta: " Si è così che farà La Ballata del Gundar ".