venerdì 17 luglio 2015

La Bara





Il feretro della bambina era lungo poco meno di un metro e mezzo, molto più pesante di quanto apparisse trasportato tra le possenti braccia di Andrej.
Venne poggiato su un piedistallo al centro della sala e liberato dal velluto bordeaux che ne nascondeva le fattezze.
Carmilla ne accarezzò delicatamente il coperchio con le dita pallide, affusolate e gelide. Il legno di ciliegio era uno dei più pregiati, importato dal Borca e altri dominii più remoti e finemente lavorato da un esperto artigiano. Le curatissime incisioni ed intarsi dorati raffiguravano intrecci di foglie e calendule lungo tutte le assi laterali, mentre sul coperchio compariva la sagoma di un daino a far capolino tra gli arbusti.
Le decorazioni richiamavano sempre elementi della vita passata del rinato, una simbologia per lui significativa o ad egli legata emotivamente. La bambina doveva adorare quei fiori ed avere un ricordo molto profondo legato all'animale sul coperchio o ciò che esso rappresentava.
Le unghie di Carmilla graffiarono crudelmente il muso disegnato della bestia poi, senza cura, il coperchio venne spinto di lato e cadde pesantemente in terra, scheggiandosi irreparabilmente.

La bara era vuota, ovviamente, il suo minuto ma feroce proprietario si nascondeva nel buio, da qualche parte là fuori, rifuggendo la mortale luce diurna, I raffinati pizzi all'interno erano di seta, adagiati attorno ad una morbida imbottitura che anche venne sfregiata dalle acuminate unghie smaltate di rosso della biondissima matrona dei Romanov.
Le dita nobili, splendidi artigli, si insinuarono tra le piume d'oca raschiando il fondo e raccogliendo nel pugno chiuso una manciata di terriccio che Carmilla portò poi al volto, odorò profondamente e lasciò di nuovo cadere nel piccolo sarcofago un granello alla volta.
Il terriccio conservato all'interno della bara era ciò che legava ad esso la creatura. Proveniva da un luogo profondamente significativo per la vita precedente della creatura o in altri casi era quello della sua sepoltura. Il terriccio di Lowenturm appariva anonimo, inodore, non aveva alcun che di particolare, soltanto il piccolo demonio avrebbe saputo riconoscerlo.

Nelle bare dei due Romanov era conservata una manciata di terra presa dal loro sepolcro, quando erano stati seppelliti e riesumati dal loro stesso padre. Carmilla riusciva a malapena a ricordare quanto tempo fosse passato da allora e dall'ultima volta che Cezar Romanov aveva posato il suo severo sguardo su di lei.
Cornel l'aveva preceduta di alcuni anni nell'oblio della dannazione e lei aveva ignorato il suo fato fino al giorno in cui suo padre l'aveva reputata pronta per compiere quello stesso passo. Persino Herr Locke non aveva osato opporsi al suo volere, nonostante la sua promessa d'amore ed eterna devozione. Era dovuto a quello il peso che Carmilla dava alla parola dei mortali, alla veridicità dei loro sentimenti, alla profondità dei loro intenti. Locke ora serviva lei e suo fratello senza un accenno di esitazione, senza un ripensamento, senza una menzogna né secondi fini. Schiavo nella morte perché incapace di sostenere in vita le proprie parole con azioni. In lei ogni sentimento era da tempo dimenticato.

Carmilla Romanov compativa Ylenia Trikskys perchè sentiva in fondo di comprenderla. Resa un mostro in prematura età, prigioniera di un corpo a metà tra una bambina e una donna, con una mente ed uno spirito che difficilmente avrebbero sopportato e razionalizzato la trasformazione e che di conseguenza poco si confacevano al ruolo che le sarebbe spettato nel loro ambizioso disegno. Trovava difficile immaginare che ci sarebbe stato un posto per l'erede di Sinise nella Barovia della Congiura, eppure la bara era lì, nelle loro mani, e la bambina vi avrebbe prima o poi fatto ritorno.

Come agire dunque? Fare a pezzi il feretro la avrebbe resa vulnerabile per un po', ma un essere in grado di soggiogare le menti altrui avrebbe trovato presto il modo di farne preparare un'altra. Una procedura lenta ed onerosa, dato che la nuova bara avrebbe dovuto essere molto simile, se non identica, alla precedente in qualità e decorazioni e contenere al suo interno i medesimi legami materiali. Una volta pronta la nuova bara e ben nascosta, i Romanov avrebbero perso ogni presa su di lei.
Avrebbe potuto Ylenia stessa chiedere al mortale soggiogato di distruggerla, ma sarebbe stato lui in grado di spingersi così in profondità nella villa? I guardiani non lo avrebbero di certo permesso.
Una valida possibilità era quella di sfruttare invece il suo ignaro servitore per attirarla allo scoperto... Ma poi..?
Distruggerla?
Soggiogarla sarebbe stato impossibile.
Scendere a patti alquanto improbabile.
Le creature figlie del caos non possono sottostare a lungo al giogo del padrone.
Non vi era altra soluzione probabilmente, Carmilla la cercava con determinazione, ma non riusciva a trovarne una che la soddisfacesse e che Cornel avrebbe sicuramente approvato.

Cornel, suo fratello maggiore, il vero e degno erede di Cezar Romanov e colui che le aveva insegnato a convivere con la sua nuova natura. Carmilla amava suo fratello fin da bambina, ora attendeva con ansia il suo ritorno dalla villa dei Von Zarovich. Aveva preferito Martha a lei come sua accompagnatrice senza prodigarsi in eccessive spiegazioni, l'incontro era in programma da giorni e di un'importanza cruciale per i loro piani: un "Si" della nipote del Conte avrebbe significato l'inizio della rivoluzione, un suo "No" l'ennesimo rimando se non direttamente il suo definitivo fallimento.

Uscì dalla stanza lasciando che i pesanti drappi purpurei si richiudessero alle sue spalle, ignorò lo sguardo cieco, fisso su di lei, dello schiavo Locke ed attraversò l'ingresso celato che conduceva alla cripta di famiglia.
Carmilla Romanov quella notte era tormentata, ansiosa, pensierosa e preoccupata. Decise di stomaco di recarsi ove non osava, per odio e timore, da lungo tempo. Avrebbe cercato il consiglio, destandolo dal suo sonno di morte, di Cezar, suo padre.

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