giovedì 25 giugno 2015

L'inquietudine di Mircej


Di nuovo quel bosco, di nuovo quell'ombra che lo inseguiva, fino all'arrivo nella radura, dove la nonna lo aspettava e dove nessuno poteva ghermirlo. Quello era il suo posto sicuro, l'ultimo rifugio della mente nel quale nessuno poteva nuocergli, lontano da ogni paura e da ogni incertezza. Era cambiato molto durante queste settimane, dal ragazzo freddo e distaccato quale era, la condivisione della sua vita con Madame Eva lo aveva mutato, lo aveva fatto aprire di più al mondo, lo aveva reso più sensibile, gli aveva permesso di acquisire una nuova forma di conoscenza, nella quale non contava l'intelligenza né l'esperienza ma solo l'empatia e la compartecipazione, ma tutto questo lo aveva anche indebolito, lo aveva reso più insicuro, aveva minato la fredda corazza dello studioso di arti arcane per rivelare il fragile e insicuro ragazzo che non aveva mai fatto uscire fuori in vita sua. Dov'era adesso la sicurezza di essere superiore alla madre? Dov'era il freddo calcolatore in grado di essere sempre un passo avanti agli altri? Finalmente stava facendo i conti col suo vero io, e soltanto accettando i propri limiti sarebbe riuscito a crescere davvero e a fondere i sogni del bambino con la determinazione dell'uomo che stava diventando. Madame Eva non gli aveva solo permesso di conoscere il passato, il presente e il futuro, ma gli aveva permesso di conoscere di più se stesso. Ormai aveva capito di essere ancora nel suo letto, a dormire, e quasi si stupiva di come persino i suoi sogni toccassero tematiche così profonde, che più si addicevano a una persona sveglia forse.


Non appena realizzò tutto questo si svegliò e si ritrovò per l'ultima volta nella stanza che lo aveva ospitato per tutti questi giorni. Era finito il suo "riposo" in casa Romanov, era finito il suo ruolo a Zeidenburg. Grazie alle sue risorse il patriarca dei Trikskys era stato definitivamente spazzato via da Barovia. Dopotutto aveva rischiato molto anche lui, e suo malgrado aveva comunque fatto la sua parte, Astrid non era stata l'unica a mettere in gioco la sua vita, non che la sfida lo interessasse, ma in futuro nessuno avrebbe potuto dire che Mircej era stato a guardare, per quanto avrebbe sicuramente preferito restare al sicuro nella villa che uscire di notte e essere toccato da quei non-morti e poi da... un brivido lo percorse, si guardò la manica sinistra della casacca da notte e lentamente la tirò su, quasi sperando che ricordasse male, che anche quello fosse parte di un brutto sogno, e invece no, era tutto vero, i quattro segni neri sul suo avambraccio gli ricordavano che era stato toccato da uno dei peggiori non-morti evanescenti che si potessero incontrare. Corse allo specchio cercando di vedere se la necrosi fosse in espansione o se fosse uguale al giorno precedente. No, sembrava essersi arrestata, forse non sarebbe più andata via, ma il pericolo ormai sembrava arginato. Quando sollevò lo sguardo li vide per un attimo, alle sue spalle, un riflesso fugace, un barlume, poi scomparirono subito, non appena si voltò. I peli delle braccia gli si rizzarono dalla paura, no, forse era stata solo la sua immaginazione, non era più nei sotterranei della fortezza, Andrej aveva messo in fuga quella creatura, era al sicuro in casa Romanov, quegli occhi gialli non potevano averlo seguito anche qui. Si guardò di nuovo allo specchio, si asciugò il sudore freddo che gli imperlava il viso e il collo col suo fazzoletto di seta e vide le occhiaie procurategli dai sogni inquieti delle ultime notti. Forse era un bene lasciarsi Zeidenburg alle spalle e con lei tutti i brutti ricordi degli ultimi giorni. Una voce femminile nella sua testa gli ricordò che non era quello il modo di superare le proprie paure, ma in quel momento non aveva bisogno della verità, desiderava solo una rassicurante bugia...

martedì 23 giugno 2015

Preparativi

Piazze affollate, attentati, riunioni, parole e funerali, una nuova dimensione di una vita alla quale era del tutto avulsa, Mira era stanca paradossalmente si stancava più con intrighi politici, riunioni affollate di quanto non potesse stancarsi dopo una giornata di allenamento nell’arena della Falange.
Estenuanti discorsi e congetture sul futuro, la ferocia spietata dei Romanov malcelata dietro una facciata di pacatezza e rilassatezza e gli ultimi colpi di coda di una famiglia rivale, la indussero a pensare se l’interesse vero fosse lo sgominare una dittatura per sostituirsi ad essa o quanto fosse valida la scusa del benessere dei Baroviani.

A Mira questo interessava marginalmente, era diventato di suo interesse quando il culto le aveva richiesto di dare il suo apporto alla causa. Per la Dhampir il tempo a Zeidenburgh scorreva troppo lento, differentemente dal sangue nelle sue vene, aveva sempre avuto questa idea del suo corpo registrato su di una velocità differente in contrapposizione con la normale velocità della razza umana. Mira si spiegava così il suo essere diversa, era abituata a vivere più veloce al punto che in situazione normali doveva limitare la propria frenesia per non essere additata come differente, alla scuola però le avevano insegnato a lasciarla fluire e scorrere selvaggiamente nei momenti di bisogno. La contrapposizione tra il fingere di essere normale e la constatazione palese di non esserlo, un dualismo che avrebbe caratterizzato tutta la sua esistenza. La morte per lei sarebbe stata una liberazione, la attendeva come un passaggio necessario come un corridore stanco vede il traguardo farsi sempre più vicino per potersi finalmente abbandonare al riposo. Mira non aveva paura perché non temeva la morte né la giudicava come un evento negativo e definitivo, voleva solo assicurarsi che il suo passaggio in questo mondo portasse più vantaggi che svantaggi e che quella scintilla che animava il suo corpo la portasse verso una morte giusta ed eroica degna fine di un discepolo di Irlek Khan.   
Così la vita scorreva tediosamente lenta per la diurna, nella gran parte della sua giornata e poteva concentrare la sua smania ed irruenza in brevi e feroci momenti, era stato l’insegnamento più duro al quale aveva dovuto far fronte, era la cosa tutt’ora più difficile da mettere in pratica. Non cedere alla bestia che era dentro di lei, non perdere la ragione e non deviare dal rigido cammino impartito dai dogmi del culto. Un lupo feroce ed affamato rinchiuso nel corpo di una giovane donna.
Pensando ai suoi “di nuovo nuovi” compagni, e vedendoli in azione non poté far altro che commiserarli, aver pietà della loro condizione, registrando al contempo cambiamenti in loro preoccupanti. Si era passato dal lutto per la condizione nella quale erano stati forzati, alla prepotenza ed alla spavalderia con la quale usavano e misuravano i propri poteri. D’altro canto il cambiamento repentino del proprio fisico e delle proprie abilità sarebbe stato inebriante ed incontrollabile anche per una mente abituata ad una ferrea disciplina. Andrej e Kuzja erano sì inquadrati in un culto che gli aveva fornito le basi di una disciplina erano sì avvezzi ad un potere magico o sacro, ma i loro culti davano un importanza alla disciplina insufficiente rispetto a quanto necessario. In poche parole Mira sapeva che non era no pronti, aveva paura che tutto quel potere nelle mani di un sacerdote e ancora peggio di un sacerdote con velleità arcane li portasse a diventare un pericolo per gli altri, un grande potere comporta una mente ferma, obiettiva e neutrale che rifugga dal piacere stesso generato dal suo uso che ben presto porterebbe alla corruzione della mente stessa. Un enorme responsabilità.
Pensando questo il giovane monaco richiudeva la porta della sua stanza dietro di se, all’interno la mobilia era sottosopra, un cuscino strappato e la lana al suo interno sparsa sul terreno, una flebile candela generava una luce tremolante per lo spostamento d’aria causato dall’apertura della porta della stanza.


In un angolo rannicchiata con le ginocchia strette al petto dalle sue stesse braccia, i lunghi capelli riversi sulle gambe fino a toccare il pavimento, il singhiozzo strozzato in gola, tremando giaceva Vivien.

Mira dopo essersi avvicinata con passo fermo ma lentamente, si sedette vicino alla giovane donna ed accarezzandole la folta chioma le disse: “E’ finito il tempo della disperazione e della rabbia, imparerai a convogliare tutto questo a tuo piacimento, è giunto il tempo della tua rinascita ti chiedo solo di fidarti di me.”

sabato 20 giugno 2015

Nuovo risveglio

Kuzja si risvegliò nel suo nuovo giaciglio: ormai trovava più confortevola la bara al letto tanto da farlo rimuovere dalla sua stanza. Aprì il coperchio con rabbia, infuriato con Cornell e Carmilla: per portare avanti la loro folle Ribellione lo avevano trasformato in un di loro, un non morto, un vampiro un essere maledetto. Avevano provato a spiegargli che lo avevano fatto per proteggerlo, per evitare altre inutili e dannose perdite. Gli avevano promesso e decantato nuovi poteri che la sua falsa dea non gli avrebbe mai garantito. Eppure in pochi secondi Trikskys lo aveva spazzato via, come un fuscello secco in un incendio che divampa, trasformando lui e Martha in cenere al vento.
Kuzja stava provando in ogni modo ad accettare quella sua nuova esistenza, scandita dal susseguirsi delle notti invece che dei giorni, dal cibarsi di esseri umani; vissuta al buio e nel freddo delle umide sale sotterranee di Villa Romanov. Un esistenza fredda, distaccata e silenziosa: assolutamente inumana. Ma lui non lo era più nel fisico ed anche la mente iniziava ad adattarsi e a cambiare facendogli prendere confidenza con la sua nuova natura e le sue nuove capacità. Ma una parte di lui si ribellava, facendolo ardere nel profondo seppur solo emotivamente. Ormai il suo corpo gelido si scaldava solo con il sangue umano.
Kuzja era furioso anche con il Ministro di Hala: lo aveva cresciuto riempendogli la testa di fandonie e di inutili storielle sulla dea, sulla sua infinita saggezza. Ora Hala non lo ascoltava più eppure Kuzja continuava a manipolare la Trama a suo piacimento, senza fronzoli, senza interecessioni: era lui a decidere, in modo diretto. Non gli serviva più la sua stupida dea, ammesso fosse mai esista.

Kuzja sentiva un ormai inusuale calore avvampare dal profondo del suo petto ghiacciato mentre, furente di rabbia, camminava nervosamente nella stanza tracimando insulti e rabbia,  stringendo le mani a pugno tanto da conficcare le unghie nei palmi. All'improvviso quell'intenso calore esplose in tutto il corpo, come se le sue membra non potessero più trattenerlo.  Kuzja riaprì le mani e dai palmi aperti  iniziarono a divampare fiamme. Con uno scatto d'ira inizò a scagliare le fiamme createsi nei palmi contro il muro, immaginando di colpire il Ministro, Cornell, Carmilla, Lucius, Pate e tanti altri demoni che affolavano la sua testa finché il fuoco smise di bruciare insieme alla rabbia di Kuzja.
L'impeto d'ira sfumò, ma Kuzja riuscì a manipolare nuovamente il fuoco tra le mani: ne poteva sentire il calore senza bruciarsi, come se le fiamme fossero un prolungamento delle sue dita.


La rabbia repressa, l'odio covato per anni sotto traccia, le sofferenze, le tragedie patite, i sentimenti di vendetta celati avevano trovato uno sfogo, plasmati dal raziocino di Kuzja. La cenere sotto cui aveva nascosto tutto ciò era stata spazzata via, ridando ardore alla sua rabbia interiore, risvegliando i suoi istinti. Era riuscito ad incanalare quella tempesta di sentimenti che lo bloccavano in energia. Ora dopo tanto vagare in cerca di risposte sapeva per cosa lottava: per se stesso. Non c'era più nessuno da aiutare o salvare, nessua causa da sposare, nessuna ribellione da portare avanti, nessuna dea da adorare o pregare. Solo se stesso ed un nuovo cammino solitario. Tutto il resto trascendeva davanti ad una vita immortale ed assumeva finalmente il suo vero significato: inezie, battibecchi tra persone limitate, quisquilie per comuni mortali. Kuzja doveva aspirare a qualcosa di più grande, più ambizioso per non restare intrappolato nella maledizione che gli era stata inflitta. Conoscenza, potere ed un giorno vendetta questi erano i pilastri della sua nuova esistenza. Sarebbe tornato alla Radura dei Sogni infranti con uno scopo ben diverso ora. Ma non adesso, doveva ancora prendere conoscenza del nuovo se stesso: non era più un umano ma un vampiro, un essere maledetto si, ma potente. Più vicino ad una divinità che ad un mortale.

Con una nuova tunica, nera come la sua anima, a coprirlo e con queste nuove certezze Kuzja sia apprestò a partire, desideroso di mettersi alla prova. Destinazione Lowenturm, la prima di tappa del suo lungo, forse eterno, cammino.

lunedì 15 giugno 2015

Risvegli






Kuzja si risvegliò ansimante in un letto sconosciuto. Nei suoi occhi erano ancora impresse le raccapriccianti immagini del suo ultimo incubo:  disteso su un letto di dura e fredda pietra, mostruose statue troneggiavano su di lui. Alcune ghermivano fanciulle avvolte in candide vesti imbrattate da macchie e schizzi vermiglio. Le statue sembravano muoversi in modo inquietante, stringendosi attorno al letto ed allungando i loro artigli lordi di sangue su Kuzja. Il quale assisteva inerme ed impotente, in uno stato di semiveglia, cogliendo soltanto sprazzi della scena attorno a lui.

Tra quella selva di artigli di pietra spuntò un elegante pugnale cerimoniale, che rilfettè la fioca luce che illuminava quel tetro e sconosciuto posto, mettendo in rilasto i suoi preziosi intarsi. La mano pallida e ferina che brandiva il pugnale saettò verso il petto di Kuzja, lacerando le carni, spezzando le ossa, squarciandogli il torace dal collo all'inguine, strappando il soffio vitale dal corpo ormai immobile di Kuzja.



 
Fù a quel punto che l'incubo si interruppe bruscamente e Kuzja si risvegliò: le sue mani corsero frenaticamente sul petto, sotto la veste: la sua pelle era madida di sudore e gelida come i ghiacci perenni dei monti Balinok, ma intonsa. Era stato solo un incubo, l'ennesimo seppur nuovo.
Si alzò dal letto, muovendosi timidamente nella stanza sconosciuta. Una stanza elegante a prima vista eppure disadorna e freddamente inospitale. Kuzja osservò stupito e terrorizzato la bara che giaceva ai piedi del letto, decorata con serpenti neri che richiamavano sinistramente il simbolo di Hala. Kuzja si inginocchiò pregando la Dea davanti ad un simile orrore solo per restare ancora più agghiacciato: non provò nulla dentro di se, solo un inquietante silenzio ed un immenso vuoto; la Dea era come scomparsa o indifferente alle sue preghiere.
Ancora intontito e sconvolto uscì lentamente dalla stanza seguendo una figura familiare che scoprì essere Martha. La felicità dell'incontro fu breve ed effimera: la ragazza fece rinsavire Kuzja rendendolo consapevole del suo stato attuale che Martha condivideva con lui. Camminava, pensava, sembrava forse normale all'apparenza ma non era vivo: il cuore aveva cessato di battere nel suo petto ed il vuoto che aveva ascoltato prima non era dovuto alla sordità di Hala ma all'empiezza della sua anima.
La reazione di Kuzja fu rabbiosa: provò a uccidersi scoprendo di essere insensibile alle ferite; provò a scappare, scoprendo di essere in gabbia; provò a piangere ma fu incapace anche di quello. Giurò e gridò vendetta verso chi lo aveva ridotto in quello stato, trasformandolo in un mostro. Le sue parole caddero vuote, ascoltate solo da Martha che lo guardava atterrita e sconfitta quanto lui.


Era ormai un essere immondo, una creatura non morta, la sua esistenza una farsa che era condannato a portare avanti per l'eternità. No non si era risvegliato dall'incubo: ci era appena entrato!




giovedì 11 giugno 2015

Il potere del sangue


Essendosi ripreso a stento dal riuscito attacco alla fortezza in cui era asserragliato Barboianu, il gruppo si preparava alla seconda parte dell’epurazione voluta repentina e feroce contro i veri artefici dell’attentato alla precaria “pace” desiderata dai Romanov.

Mira aveva subito alcune ferite ma era più pronta che mai a mettere al servizio della causa le sue conoscenze faticosamente apprese nella Falange di Irlek-Khan, Andrej a seguito della “trasformazione” era ora in grado di incanalare il proprio potere affinché curasse le ferite di differente fattura del Damphir. Il gruppo composto da Cornel, Locke, Mira, Vasily, Andrej, Mircej, Feldon e Constantin e si sarebbe diretto nel luogo dove le spie dei Romanov avevano identificato la possibile “tana” di Sinise Trikskys, il capoclan della omonima famiglia e stirpe. Dall’eliminazione del clan dei Trikskys, ovviamente i Romanov avrebbero attinto rinnovato slancio e potere debellando uno dei nemici più ostici e soprattutto più vicini alla loro causa.

La dislocazione della tana di Sinise la diceva lunga sullo stretto legame di collaborazione, da appurare se voluto o indotto, tra lo stesso clan e la milizia governata da Barboianu, mero fantoccio nelle mani dei Trikskys. Il colle Ashen, sul quale si stagliava l’imponente fortezza omonima, all’interno della quale i Romanov avevano già rivendicato la loro potenza bellica durante il primo assalto, voluto per liberare i componenti della famiglia “trattenuti” da Barboianu, ufficialmente per preservarli da futuri attentati, ufficiosamente trattati come prigionieri. Tra le mura della rocca si ergeva il bastione adibito a prigione ed i suoi sotterranei in realtà erano diventati il covo del clan Trikskys.

L’impeto e l’acume tattico di Cornel, guidarono lo strampalato gruppo verso una vittoria annunciata.
Mira prese parte a questo repentino attacco e fece il possibile contro le creature alla sua portata, orrendi ghauls tramutati dal clan capeggiato da Sinise Trikskys, ed immondi servitori. Lo scontro si divise naturalmente in due tronconi, uno scontro tra creature mortali ed uno scontro tra immortali. Mira qualcosa aveva intuito della potenza che risiedeva nelle stanche e vecchie membra di quegli esseri non scalfiti dal tempo ma che di umano avevano salvato ben poco.
Il monaco comprese fin da subito che contro tali esseri immortali c’era poco da fare per i comuni, benché nel gruppo vi fossero delle eccellenze un normale combattente avrebbe potuto poco o niente e sarebbe stato fatto letteralmente a pezzi da tali esseri se solo lo avessero voluto. Decise quindi di lasciare che il combattimento avesse il proprio corso e che le forze sovraumane si scontrassero tra di loro. Vide negli occhi di Cornel i riflessi di un ira che poco aveva di naturale, ma rimase profondamente colpita dallo sguardo e dalle movenze di Andrej, che seppur per poco aveva conosciuto prima dell’abbraccio e non poté far altro se non rassegnarsi a tale destino, così come immaginava lo stesso Andrej avesse dovuto fare. Rimase il rammarico ed il senso di impotenza, sapeva che contro i Vampiri avrebbe potuto nulla, sarebbe stata suo malgrado una pedina nelle loro mani. La frustrazione del non poter essere artefice in toto del proprio destino o più semplicemente la constatazione di essere troppo inferiore alla loro forza la demoralizzarono.

Giunti nell’anticamera della stanza in cui risiedeva il “letto”, a forma di bara, di Sinise, i suoi acutissimi sensi aiutati dalle innate capacità della sua razza e soprattutto da un potere magico che le permetteva di individuare i diversamente vivi, iniziarono a vibrare rivelandogli di un imboscata. Il gruppo fu colto impreparato ma comunque non del tutto di sorpresa e l’attacco in parte fu smorzato, evitando se non altro, danni maggiori. Strani esseri piombarono dall’alto in mezzo al gruppo che aveva a malapena fatto in tempo a sparpagliarsi, ed usando dei poteri magici, riuscirono ad influenzare le menti di alcuni suoi compagni. L’addestramento ostico e senza pietà al quale venne abituata fin da piccola gli venne ancora una volta in aiuto, la sua mente era difficile da penetrare, il suo corpo abituato ai più comuni effetti malefici. Mira ripensò alla disciplina ferrea ed a quelle che da piccola considerava delle torture. Ripensò ai duri allenamenti sotto la pioggia battente, in ambienti ostili, ai combattimenti con scarsa visibilità, agli attacchi a sorpresa, di gruppo e portati da quelli che poco prima erano tra le sue stesse fila. Normale routine di allenamento alla quale un discepolo della Falange era costretto ad abituarsi o a soccombergli. Non c’erano cose prevedibili o sicure, non c’era una famiglia alla quale rivolgersi, non c’era e non doveva esserci spazio per le emozioni o i sentimenti, non era possibile distrarsi mostrando un lato debole al nemico, era una macchina, era uno strumento, benché impotente contro taluni esseri, era un soldato. 

giovedì 4 giugno 2015

Bastardi senza gloria





Vasily si aggira insolitamente pensieroso tra la folla radunatasi per assistere alla pena capitale di Ursul e dei suoi scagnozzi. I criminali vengono fatti salire sul palco però Vasily rimane distante non si unisce ai compagni, Kazimir e Warwic, che ha intravisto nelle vicinanze ma e preferisce rimanere solo, preso dal suo flusso di pensieri : "Avrei potutto esserci io su quel palco al posto di Ursul." è questo il pensiero che non abbandona Vasily da qualche giorno: "Anche io io ho spiato, rubato, ucciso e compiuto tante altri crimini che mi avrebbero assicurato il patibolo. L'unica differenza è che io l'ho ho fatto sotto la protezione dei Romanov, dietro ordine di Cornell e Carmilla. Ordini piacevoli per lo più." Un accenno di sorriso compare sul volto teso di Vasily mentre ripercorre rapidamente le sue discutibili gesta: dai primi piccoli furti, in crescendo fino all'assassinio di Dorninoff e alle recenti retate per uccidere Samoel e catturare Ursul.
"Si più ci ripenso più mi convinco che avrei potuto esserci io al posto di Ursul e lui magari qui al posto mio. Ma questa è l'unica cosa di cui sono grato a mia madre: ha aperto le gambe a quel figlio di buona donna di mio padre quando già lavorava a casa Romanov e così io sono nato nella loro dimora e cresciuto sotto la loro protezione. Per questo sarò sempre devoto a Cornell e Carmilla: mi hanno accettato quando ero nessuno, mi hanno cresciuto come un privilegiato quando ero solo uno stupido bambino troppo curioso. Non fosse stato per loro sarei stato uno dei tanti bastardi e figli di puttana pezzenti della baraccopoli, condannati ad una vita di miseria e stenti. Costretti a rubare e ad uccidere per sopravvivere. Criminali da quattro soldi improvvisati per necessità, pronti a tutto per disperazione ma non addestrati e per lo più senza fegato." Vasily si gusta la decapitazione di Ursul con soddisfazione mormorando: "Io sono un bastardo figlio di puttana come te, ma io so quel che faccio".
Le convinzioni di Vasily vennero spazzate dall'esplosione e dalla conseguente onda d'urto che lo gettò a terra. Fece appena in tempo ad intravedere i dardi di Kazimir colpire l'uomo che aveva scagliato la freccia incendiaria. Si alzò barcollante ed intontito per lanciarsi in un vano inseguimento che durò finché il tramonto non vinse su di lui e sul mulan che lo aveva accompagnato.
Tornò alla dimora dei Romanov furioso, entrando nella sua stanza spaccò una sedia : aveva abbassato la guardia troppo pieno di se; si era abbandonato a sciocchi pensieri che lo avevano distratto.E Barboianu gliela aveva fatta proprio sotto il naso, infliggendo un duro colpo ai suoi padroni. Mentre lui si crogiolava in quel titolo vuoto di "Comandante" con cui lo aveva chiamato Galca probabilmente schernendolo e si era illuso di essere qualcosa che non è e non sarà mai. Era stato vanaglorioso e superbo, proprio lui figlio di nessuno.
A Vasily spetta il lavoro sporco, deve rimanere con i piedi a terra e nel fango ed essere vigile in ogni momento. Perché è quando ci si rilassa che quelli come lui colpiscono: forte e per far male. Vasily se lo era dimenticato per qualche giorno ed aveva permesso tutto ciò.

Per far bene il suo lavoro Vasily deve rimanere se stesso: un infame senza scrupoli, freddo, spietato, un figlio di nessuno cresciuto per sua fortuna nel posto sbagliato ma ancora affamato come un pezzente della baraccopoli che non ha ne speranze ne futuro .
"Sei un bastardo, un bastardo figlio di puttana senza un domani": questo è quello che ripete a se stesso uscendo dopo il tramonto per portare a termine un altro ordine di Cornell.

mercoledì 3 giugno 2015

La Linea della Vita e della Morte

   




<<Da questa parte!>>, tuonò il Mulan, spianando la sua lancia per evitare che Doru Barboianu gli arrivasse addosso. Sarebbe potuto scappare, strategicamente qualunque Incantatore che si rispetti l'avrebbe fatto, ma non lui. Lui sapeva che sarebbero arrivati i suoi complici, poteva morire forse, ma più probabilmente poteva ricevere un colpo tale da farlo arrivare ancora una volta vicino alla linea che separava la Vita dalla Morte. D'altronde Kazimir era nato per questo. Se c'era un uomo che non conosceva la paura di morire, questo era lui. E anche questa volta era riuscito nel suo intento, scagliare i suoi infallibili dardi magici contro il suo bersaglio. La lancia aveva fallito, ma non la sua magia innata. Solo Arvidsson si era finora dimostrato così scaltro da annullarla, ma chissà, magari prima o poi avrebbe incontrato di nuovo il Lamordiano, e avrebbe ricambiato la cicatrice rimastagli sul petto, ricordo del colpo di pistola che per poco non l'aveva ucciso. Presuntuoso e determinato, nessuno gli era superiore secondo la sua opinione, era sempre e solo questione di tattica, in qualunque situazione si poteva vincere, ma talvolta la propria cecità impediva di vedere la soluzione che spianasse la vittoria.
Nato quando la madre era già morta, fu selezionato e cresciuto dall'Accademia Rossa sotto la severa guida del grande Araam Bash-eran, che infuse i suoi poteri necromantici nel ragazzo fin da fanciullo per risvegliare in lui le Forze della Non-Vita. Membro più giovane di sempre ad entrare nei Mort-al-Alan, come poteva, Kazimir, avere paura di morire? La Morte non era un mistero per lui, abituato a giocare con essa fin da piccolo. E qualora fosse passato dall'altra parte, il suo corpo sarebbe stato ancora utile all'Accademia, se riportato a Romulai. Come poteva temere la Morte? Il Fallimento, questa era la sua più grande paura. Una vita inutile e anonima sarebbe stata la peggiore punizione per lui, più di mille torture e della più atroce delle uccisioni. Kazimir era convinto che ogni uomo ha il proprio destino, e lui non aveva paura di andare incontro al suo, tanto era già scritto, solo la cecità umana lo rendeva ancora un'incognita. Lui, nonostante tutto, era ancora un uomo, e lungo sarebbe stato ancora il cammino che lo avrebbe portato sempre più vicino a quella linea, quella che per adesso cercava in ogni scontro.
    Il quadrello nel fianco destro, il sangue che cola sulla gamba, Barboianu che affonda la lama nel fianco sinistro dello Stregone, e quest'ultimo che con un sorriso malefico sul volto si lascia vincere dal dolore e dalla fatica, retaggio umano che presto avrebbe superato, ma non oggi, non ancora... Toccava al mezz'uomo e alla diurna finire l'opera adesso, il destino avrebbe mostrato le sue carte, di lì a qualche istante, ma lui non poteva vederle, nemmeno questa volta. Forse un'altra cicatrice o forse quella sottile linea sarebbe stata spezzata, ma non sarebbe cambiato nulla. Non era Kazimir, non era il Rashemani, non era nemmeno Lorenai il punto, ma l'Accademia Rossa: qualunque cosa gli fosse capitata, non avrebbe potuto minare le sue radici, le sue certezze. Non è il singolo che conta, ma il Gesto, l'Ideale, la Setta. Meglio cadere combattendo, che dover tornare a riportare la notizia di un fallimento...
    E allora il Mulan cade ancora. Altri finiranno il lavoro.