venerdì 16 agosto 2019

Il Monaco e l'Inverno

Il tenue sole del mattino di fine inverno illumina le valli della provincia di Ishibei, mentre i primi torrenti primaverili scendono impetuosi dai colli ancora parzialmente innevati alimentando la Grande Risaia al lato della Kinzoku no Michi; manca ancora almeno un terzo del Mese della Tigre, ma l'inverno sta oramai giungendo al termine.
Respira profondamente l'aria del mattino, volgendo lo sguardo ad ovest fino a scorgere la Kaiu Kabe, le cui torri rilucono quasi di una luce innaturale mentre i primi raggi di sole sciolgono del tutto la bruma notturna, e oltre alla sua sagoma le brulle Terre d'Ombra, intoccate anche dai rigori di questo inverno particolarmente duro e rigido. Socchiude gli occhi, mentre affonda i geta usurati dal viaggio nella neve e si concentra ad ascoltare la natura risvegliarsi; poi, come se avesse percepito qualcosa in lontananza, apre bruscamente gli occhi, scuote il capo facendo cadere gli ultimi fiocchi depositati sul kasa, e riprende il cammino lungo il fianco della collina.

La neve ha lasciato il posto al fango già da un po' quando inizia a diradarsi il bosco, lasciando vedere al limite della risaia la Vecchia Torre, ora avvolta dalle impalcature per la ricostruzione ordinata da Hida Sukune in una delle prime ordinanze, per esorcizzare le superstizioni legate ad essa e dare più fiducia ai contadini che passano tutti i giorni lì per andare a lavorare all'alba e tornare al tramonto.
«Per sconfiggere la paura del buio, bisogna iniziare ad accendere le candele» sussurra tra sé e sé soffermandosi a citare il Tao di Shinsei. Una lanterna di pietra a poca distanza dalla base della torre è stata eretta in onore a Kaede "il cui sacrificio ha permesso la sconfitta dell'oni", come recita l'incisione senza menzionare invece chi l'ha creato in prima battuta. Né lo tsukai che ha fatto sì che ciò accadesse, sparito poi nel nulla e cercato inutilmente per mesi nelle province vicine.
Per un breve momento, nota una figura al limitare del bosco dall'altra parte del fiume: il massiccio guerriero che con il nome di Akira fu compagno di spada di Sukune, e il cui ruolo fu centrale nel convincere Kaede a morire onorevolmente e fermare l'oni nascente; da allora diventato un Uomo Onda, ha dato la caccia alle creature immonde che di tanto in tanto superano la Muraglia e si annidano nei territori circostanti. Ha placato la sua sete di sangue? o ne è stato consumato? è tornato per vendetta o guidato dal suo senso del dovere a porgere rispetto al compagno d'arme? Nonostante la lontananza, i loro sguardi si incrociano per qualche istante, e quasi impercettibilmente entrambi fanno cenno di rispetto con il capo, per poi riprendere ognuno il proprio cammino.

Arrivato a valle e rivoltosi verso la cittadina, nota senza problemi stendardi e sashimono con il mon degli Iuchi, la delegazione degli unicorni che hanno attraversato l'Impero in questo mese invernale solo per porre omaggio alla loro fu parente Hida Haruko; sebbene in numero molto esiguo rispetto ad allora, sono sicuramente ben voluti dai cittadini non solo perché parenti della signora, ma anche per il loro apporto nella battaglia contro i kansoshita e il ruolo attivo contro la minaccia diretta dell'Oni; a distanza non si può capire se sia sceso con la delegazione anche lo Shinjo che cavalcando per la città ha dato l'allarme e allertato l'esercito contro le creature non morte, ma seppure nessuno lo biasimasse casomai fosse restato con la sua famiglia nelle terre a nord, sarebbe un peccato perdersi l'accoglienza dei cittadini in questi giorni.
Le luci e gli addobbi di festa allestiti per il Matsuri ricordano infatti il giorno del matrimonio, anche se da allora la cittadina è cresciuta in importanza ed è diventata il simbolo della "nuova" amministrazione del giovane Hida mentre il vecchio Ginawa recede al figlio sempre di più il controllo della regione. Il doshin Osen ha dimostrato ulteriormente la fedeltà al suo signore ed è stato promosso ufficialmente a taicho del cresciuto esercito di ashigaru cittadino quando ha portato all'estromissione dell'appuntato Ryousei, recuperando fondi "spariti" che hanno permesso di portare avanti diversi lavori tra l'ampliamento delle mura cittadine e la messa in sicurezza delle strade, riducendo la presenza di banditi e in generale aumentando il benessere percepito tra la popolazione, grazie anche ad un raccolto abbondante, ma soprattutto ad una più oculata gestione ad opera del nuovo appuntato, il fedele Atsumori scelto da Sukune tra i servitore dei parenti Yasuki della defunta Naeko.
E ripensando ai "parenti Yasuki", viene facile chiedersi che fine abbia fatto la giovane Yasuki, scomparsa mentre andava a cercare aiuto allo Shiro Kinzokyu, nello stesso momento della comparsa dal nulla dello scorpione presentatosi come un "fedele" amico di Haruko-sama. Entrambi si sono rivelati parte attiva e fondamentale nel tentativo di fermare il terribile Kaede no Oni che minacciava il matrimonio, ma se il secondo fin troppo è stato visto in città, della prima nessuno ha saputo più nulla, sparita come le ombre al sorgere del sole.

Arrivato davanti alla porta nord-est il monaco si ferma ad osservare la strada che illuminata dalle lanterne conduce alla piazza centrale, verso il palazzo. Una pattuglia di quattro ashigaru gli passa accanto mentre china leggermente la testa in segno di rispetto il loro capo pattuglia, la giovane Hejiko che si è guadagnata la posizione combattendo onorevolmente durante la battaglia del Kyuden Kinzokyu contro i morti rianimati.

Hoshi prende un respiro profondo e afferra saldamente il suo shakujo e si prepara a varcare la soglia cittadina, simbolica, che una volta gli era preclusa.
E' più di un anno infatti che manca dalle terre dell'uomo che una volta chiamava padre. E' più di un anno che non viene fin quaggiù, ad Okanotetsu.
Ma ora deve rendere onore al piccolo Granchio appena nato che mai lo chiamerà zio.

giovedì 15 agosto 2019

Regolamento di Conti

"Sai, l'altro giorno, quell'infestazione di scarafaggi nelle intercapedini basse? Sembra che qualcuno abbia abbandonato lì delle botti... con dei cadaveri dentro. Tutta gentaccia, omini dei bassifondi, un capobanda e i suoi scagnozzi, c'è stata una rissa nella taverna del vecchio Jo ed è stata una strage."

La notizia impiegò qualche giorno a risalire il Grande Tubo e per molti fu soltanto argomento di chiacchiere da mercato, dopotutto si trattava di feccia del sottobosco criminale che non merita alcuna compassione.
La milizia venne ad interrogare Jossafat e ne ottenne qualche dettaglio aggiuntivo, ma una volta appreso che si era trattato di un violento regolamento di conti interno alla banda di Fasir lo Sveglio (primo rinvenuto tra i corpi mezzi divorati dagli insetti) decise che non valeva la pena sprecare troppe energie nella persecuzione dei colpevoli, dopotutto sfoltendo i ranghi della malavita cittadina gli avevano fatto un favore. Eppure contemporaneamente l'illuminato Sultano Balthazar Bashan capì che non sarebbe dovuta diffondersi la notizia che Utu Bathur fosse una città tanto pericolosa da potersi imbattere in questo genere di scontri, soprattutto adesso che le porte erano aperte ad ogni omino della Casa era importante dare subito un segnale forte, pertanto chi ne pagò le conseguenze furono i residenti dei quartieri al di sotto dell'imbocco del Grande Tubo, che divennero vittime di sgarbate perquisizioni e controlli ogni volta che dovevano risalire la città verso i quartieri più benestanti.
I posti di blocco non impedivano ai signori del crimine di condurre i loro affari, ma trattenevano i piccoli furfanti e le bande ai piani bassi, facendo di fatto precipitare la qualità della vita della metà inferiore della città con il solo vantaggio di far sentire nobili, turisti e mercanti perfettamente al sicuro nella metà soprastante.
Jo Senzunocchio maledisse la sua sfortuna nell'essere finito in mezzo a quella torbida storia e si decise infine ad affiggere un annuncio per assumere un aiutante e buttafuori, qualcuno che incutesse il giusto rispetto e timore, magari un minaccioso ipertrofico... o, perché no, un bravo boggart!

Nel frattempo, dall'altra parte della città i problemi erano di tutt'altra natura.
Il ragazzo era stato temporaneamente prelevato dalle sue mansioni di facchino per appendere in alto, sulla facciata dell'albergo, i nuovi striscioni per la settimana entrante, in cui si sarebbe celebrata la festività di Ostara. Se non avesse finito in tempo non sarebbe potuto tornare a trasportar bagagli per i facoltosi ospiti de I Veli di Imrah e riscuotere le loro generose mance: fate e sprighi erano molto più generosi di quanto si sarebbe mai aspettato.
Quando scese dalla scala a pioli trovò però ad attenderlo un colosso dalla pelle grigia e l'aria poco raccomandabile che lo fissava a braccia conserte ruminando del muschio da masticare. Il giovane capì al volo, aveva avuto un'esperienza simile pochi giorni prima, non aveva più intenzione di fare il duro per pochi spicci e così vuotò il sacco immediatamente.
Nemmeno mezzora dopo potè tornare al suo lavoro, senza averne guadagnato nulla, ma sperando di avere in qualche modo messo i bastoni tra le ruote ai tre estranei che l'avevano minacciato l'ultima volta.

Maharbar rimase per un minuto buono immobile di fronte alla porta dell'appartamento dopo aver ringraziato e congedato il ragazzo per la preziosa e spontanea collaborazione. Sapeva che non lo avrebbe trovato lì ma sperava di rinvenire qualche indizio su dove potesse essere sparito Otto. L'appartamento era lo stesso in cui aveva alloggiato l'ondino ad inizio anno e, a detta del custode, un altro ospite della proprietaria gli aveva lasciato le chiavi solo un paio di giorni prima. Doveva quindi essere vuoto eppure l'orecchio allenato di un guerrigliero sopravvissuto alla guerra percepiva movimenti all'interno: optò per l'effetto sorpresa.
Con una poderosa spallata spalancò la porta e alzò le braccia in guardia tenendo la punta di chiodo con presa invertita, pronta a scattare ma... nessun movimento.
Iniziò cautamente ad esplorare le stanze del piccolo ma curato appartamento, affacciandosi sul cucinino e sulla saletta, quando infine aprì la porta socchiusa della stanza da letto si accorse di non essere solo e di non avere alcun vantaggio. Si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con un omino nettamente più basso di lui, con vesti ampie e comode ed il capo e volto nascosti da uno stretto turbante color mattone dal quale si intravedeva solo il bianco degli occhi. Era fermo in mezzo al corridoio, a pochi passi da lui, gambe larghe in posa da combattimento, non portava armi e sembrava avere l'intenzione di affrontarlo in quello spazio stretto usando solo le sue mani nude.
Maharbar capì che quel tizio non era stato colto in flagrante durante un'effrazione, ma era lì da chissà quanto tempo in attesa che qualcuno si presentasse, allora gli sorrise sprezzante: "Povero idiota, sei capitato con l'omino sbagliato!" e gli si scagliò contro.

Più tardi il custode del palazzo entrò titubante dalla porta d'ingresso, stringendo nervosamente tra le mani uno stuzzicadenti stondato. La porta era stata forzata e sul corridoio all'ingresso c'erano tracce di colluttazione, alcuni schizzi di sangue nero sporcavano le pareti e lo stipite della porta della stanza da letto. Quando si sporse cautamente, aspettandosi chissà quale raccapricciante spettacolo, vide un gigantesco energumeno accasciato a faccia in giù sul pavimento, con una punta di chiodo conficcata ad un palmo dal suo naso. Respirava ancora, malconcio ma ancora in vita.
Le tende della stanza erano blu cobalto ed ondeggiavano sospinte dalla brezza che soffiava dalla Cantina attraverso le crepe sulla parete, fino all'intercapedine bonificata in cui Utu Bathur era edificata.
Sulla parete opposta, sopra una madia, un quadro era stato rimosso rivelando una piccola nicchia nascosta, ormai vuota. Il custode raccolse la cornice, spezzata probabilmente durante la colluttazione, e stese la tela strappata per osservarla: raffigurava la proprietaria dell'appartamento, una affascinante soladina con occhi luminosi ed un sorriso beffardo, Donna Miranda O'Donnell, che lui non aveva mai incontrato di persona ma per conto della quale diversi ospiti autorizzati, presenti in una lista che gli era stata fornita insieme al suo incarico, avevano alloggiato negli ultimi mesi e a cui era stato ordinato di lasciare le chiavi se le avessero richieste.
Secondo il suo taccuino il grosso ipertrofico privo di sensi corrispondeva alla descrizione di un faccendiere locale, di nome Maharbar, autorizzato, e diverse volte prima di lui era stato a lungo ospite l'indaffaratissimo Otto Novak X, ondino di Vascherdam, socio in affari della proprietaria, e per ultimo un nobiluomo girovago di basso rango, tale Jàco Zordi di Vilezia, forse un suo amante, che aveva lasciato la città solamente da un paio di giorni con alcuni compari.
Il custode richiuse la finestra, si prese cura del ferito ed iniziò a rassettare. Soltanto dopo essere rimasto solo sedette alla scrivania ed iniziò a scrivere il messaggio che avrebbe inviato all'indirizzo scritto nell'ultima pagina del taccuino, quello destinato alle emergenze.

Con il Carnevale e Ostara alle porte le vie di commercio principali tra Vilezia e le altre città della Cantina erano molto frequentate. Lo stesso Jhafir era quasi a metà strada con il suo carro, due dei suoi esemplari di geco più variopinti ed esotici avrebbero preso parte alla sfilata per le vie della città e sicuramente ci sarebbe stata come ogni anno qualche occasione per fare buoni affari, magari con qualche straniero facoltoso.
Jhafir era felice di poter condividere almeno parte del viaggio con sua nipote Yafiha, sempre indaffarata col suo coleottero ammaestrato, Dahabi, che continuava a crescere sempre di più. Tra i suoi accompagnatori poi c'era il cacciatore di nome Aleikh che li precedeva di un centinaio di minimetri, in sella ad un topo e clavischetto in spalla; era lo stesso omino che li aveva portati in salvo fuori dal Khashab lo scorso anno e Jhafir era lieto che fosse di nuovo lui a guidarli.
Infine il distinto nobiluomo che condivideva con lui la cassetta del carro era di piacevole compagnia, bravo a carte e sembrava avere conoscenze interessanti tra la nobiltà del luogo in cui erano diretti, anche se Jhafir non aveva mai sentito parlare, finora, della sua famiglia: gli Zordi di Vilezia.

martedì 13 agosto 2019

Un'offerta Irrinunciabile

Gli schermi davanti a voi sfarfallano un po', finché dopo qualche secondo inizia a comparire un'immagine. Si aggiusta un po' il colore lampeggiando per qualche secondo, poi si assesta del tutto, dapprima sullo schermo centrale e a seguire pochi istanti dopo sugli altri schermi; nonostante l'apparente qualità degli schermi, l'immagine non è nitida, come se un filtro davanti impedisse di carpire la totalità dei particolari.
Quello che si vede è uno studio o un ufficio piuttosto raffinato, caratterizzato da ampi spazi e un arredamento di tipo orientale abbellito da cimeli apparentemente antichi che strizza l'occhio a un arredamento feng shui, sostituendo le librerie alle pareti con un'ampia vetrata da cui si vede in lontananza un mare azzurro e delle palme.

Davanti alla scrivania, moderna ed elegante con uno stile da finto soggiorno retrò tipico di ricchezza mista ad eccentricità fuori dagli schemi, si trova una piacente donna su una cinquantina di anni appoggiata delicatamente ad essa con le terga, naturalmente ricoperta da un tailleur che da solo vale più di quanto possiate permettervi, e sopra alla scollatura accennata quel tanto che basta da essere notata senza distrarre, circondato da capelli biondi corti mossi ad arte dalla permanente, un viso giovanile dove si aprono occhi vispi e maliziosi e un sorriso smagliante di chi vi potrebbe vendere qualsiasi cosa, in cambio della vostra anima

«Signori, benvenuti!» esclama, come se potesse ricambiare il vostro sguardo
«Non mi piace dilungarmi in noiosi preamboli, non più di quanto penso piaccia a voi sentirli, quindi andrò dritta al punto: vi ho fatto arrivare fin qui perché voi incarnate un potere ancestrale, una forza primigena che nel corso dei secoli è stata alla base di mitologie, leggende, favole e religioni intere. Siete una sorta di "eletti", "prescelti" da queste forze che vi donano, o doneranno se non hanno ancora iniziato a farlo, delle capacità sovrannaturali.

«Ma ancora più importanti, vi permettono di percepire il sovrannaturale che è intorno a voi, nel mondo. Mi piacerebbe dirvi che avete fatto i primi passi in un nuovo mondo, ma il fatto è che il mondo è sempre stato questo, caro vecchio nostro mondo dove siete nati e cresciuti, ma banalmente avete sempre avuto gli occhi chiusi e non eravate in grado di accorgervi di cosa lo costituisse; per chi non è come voi, i non prescelti, i "dormienti", il mondo rimane monotono e il sovrannaturale non esiste: degli zombie attaccano un paesino dell'Illinois? si tratta sicuramente di una gang di portoricani con un macabro gusto di scarnificare le vittime. E quell'incendio in alaska? nessun drago gigante ha sorvolato l'area pochi minuti prima che scoppiasse in maniera del tutto naturale l'incendio, alimentato da depositi sotteranei di torba. E nessuno minimamente penserebbe ad un vecchio tridente arrugginito trovato su un tempio dedicato a Poseidone quando uno tsunami improvviso ha distrutto un'isola tropicale: un vulcano sottomarino non ancora mappato ne è certamente la causa.
«E in questo nostro mondo "normale" sono sorte delle "associazioni di liberi pensatori", o se vi piacciono i termini da cospirazionisti delle "società segrete", il cui scopo è... beh... alcune cercano di "combattere" i "mostri" per salvare la gente comune, gli innocenti, i bambini... il Natale... cose così insomma; altre cercano di mantenere un equilibrio, oppure l'integrazione del sovrannaturale a fianco dei "normali", cacciare quelli come voi ritenuti responsabili di questo "malessere spirituale", oppure approfittarsene per uno stretto guadagno personale o l'acquisizione di un potere politico, militare o economico di qualche genere.
«E infine alcuni, come le persone che io rappresento, si dedicano allo studio di questi elementi, ed eventualmente la "messa in sicurezza" finalizzata ad un "riutilizzo in un contesto più adeguato" al fine di prepararci a necessità future. Per esempio la gang di portoricani di cui sopra potrebbe venire presa e paracadutata in una zona del medio oriente per terminare forzatamente una guerra decennale; meno morti tra i nostri soldati, meno minorenni con un AK47 in mano, una risoluzione rapida del conflitto, e soprattutto molti meno morti alla vigilia di Natale in un centro commerciale dell'Illinois. Quello che mi piace chiamare "una soluzione vincente".
«E quindi, come immaginerete, ci serve gente come voi. Con le vostre capacità, in grado di comprendere cosa sta succedendo nel mondo che li circonda ed eventualmente reagire di conseguenza. Secondo la nostra agenda e i parametri di missione, ovviamente. E in cambio tutto l'aiuto che possiamo darvi per orientarvi in questa nuova situazione, e soprattutto per evitare che "malintenzionati" possano vedervi come... una minaccia nei loro confronti.
«Allora, affare fatto?»

domenica 11 agosto 2019

Bòtte in Taverna


Ehh la vita è sempre così, come ti abitui a qualcosa te le toglie, che sia un insegnamento o un beffardo destino lo potrebbe sapere solo Paracelso che tra alambicchi ed altri marchingegni non mi stupirebbe sapesse prevedere il futuro. Di strada ne abbiamo fatta mio caro Jàco e molta altra ne faremo ancora, chissà cosa direbbe il Maestro Cèncio di me e delle mie ultime vicende. Spero di non esser passato per codardo andando via, ma solamente per un umile servitore della viltà, prassi per altro del tutto acclamata in quel di Vilezia. Ma oggi risplende la luce sull'immenso mare di Vascherdam, le bianche guglie riflettono i raggi di luce provenienti dalla finestra, e candidi increspi di spruzzi descrivono figure astratte sul filo dell'acqua. E' una bellissima giornata per lasciare la città. Questi pochi mesi qui mi hanno insegnato quanto possano essere differenti le culture delle varie regioni della Casa, qui c'è più rilassatezza nei rapporti, la gente è bendisposta, non si guarda troppo al tuo paese di origine, c'è meno pregiudizio. Me ne aveva parlato "M" ma benché tutt'ora incondizionatamente creda a qualsiasi cosa possa uscire dalle sue candide labbra, è difficile comprendere fino in fondo se non si passa del tempo qui. Forse dovrei smetterla di cacciarmi nei guai per correre dietro a quella soladina, non è la prima che mi combina, ma non posso resistere a quell'innocente visino e quelle rosse chiome che lo adornano, ma quello che più ti fotte è quella scintilla nei suoi occhi, quel lampo di vita ed arguzia, il suo essere dannatamente intrigante. Non dovrei cadere in simili inganni, proprio non dovrei, proprio io che la conosco ormai da un bel po'.
Eppure eccomi di nuovo in viaggio, per assecondare chissà quale suo arguto piano, che sia un semplice desiderio di rivedermi, a quello credo molto poco, mi preoccupa che "casualmente" mi richiami in quel di Vilezia proprio a ridosso di Ostara e del Carnevale. Ma forse è il mio animo vileziano che mi fa pensar male, vorrei cambiare modo di vedere le cose, sopratutto alla luce dei mesi spesi nei Liberi Domini.

E così di nuovo in viaggio, devo dire sempre eccellente l'organizzazione di Emme, trattato come un signore, che un tempo fui, etichetta che oggi ahimè temo di non meritarne più. Quanto è cambiata la mia vita in questi ultimi anni...E cambiamenti si percepiscono anche nella Casa stessa, si respira un vento di cambiamento, si respira un aria strana. Ad ogni modo questo passaggio sul corrimano è veramente suggestivo, c'e' un ottima vista da quassù, non mi stupirei che ci fosse lo zampino di Mastro Paracelso in persona nella sua costruzione. Passare vicino al luogo del grande tradimento, fa ancora "abbombonare" la pelle, pensare a quanti morti ci sono stati su quei terrazzamenti mette i brividi. Quanti feroci animali avranno pasteggiato con quei corpi, e cosa si nasconde nelle intercapedini immediatamente vicine a quel luogo, son cose che vorrei fare a meno di scoprire.

Il lungo viaggio dal primo piano alla cantina, è stato si suggestivo ma non vuoto di incertezze, sopratutto dentro di me, la domanda che va per la maggiore è sempre la stessa "Avrò fatto bene questa volta a fidarmi di Emme ? "...

Ad ogni modo a parte qualche predone che voleva solo commerciare, pare che una grande sventura si sia riversata qualche tempo fa sulle popolazioni del deserto privandoli dei raccolti delle loro oasi, e qualche strampalato turista del Reame, il viaggio è filato piuttosto liscio.

Il caldo afoso della Cantina mi ha dato nuovamente il benvenuto, anche se questa volta la mia direzione non è stata la Pozza ma Utu Bathur, vedere da lontano la Mirandola non nego che mi abbia fatto un certo effetto, ma per ora non vi è spazio per la malinconia, so che Miranda mi aspetta a Vilezia, ma prima devo prendere contatto con il mandante della spedizione, un certo Otto Novak vattelappesca. Il solito pomposo nome da nobile sembrerebbe, se dovessi esser sincero non mi fido molto di quegli ambienti, troppo formali, i nobili sono gentili di fronte e pronti a pugnalarti alla schiena, a questo punto è molto meglio la scuola della viltà dove ogni mezzo è lecito per raggiungere lo scopo e la cosa è dichiarata ed apprezzata da ambo le fazioni. Essere vile si ma che lo si faccia alla luce del sole non nascondendosi dietro alle buone maniere che diamine...

Ad ogni modo ieri era il quinto giorno di Marzo e come da istruzioni mi sono recato alla Taverna di Jossafat, aggiungerei "rinomata", non so perché ma immaginavo che rinomata fosse da intendere nel verso Mirandesco della cosa. Ed infatti, lasciati i quartieri turistici di Utu Bathur, seguendo le indicazioni, e vedendo le facce degli abitanti locali quello che era un semplice presentimento si è rivelato realtà.
Ma dopo tutto come direbbero a Vilezia, devi provare l' XXX come si beve nelle peggior bettole di Utu Bathur, prima di dire di aver visto tutto. E devo dire che quelle bottiglie avvolte in sacchette di pelle di Lumaca essiccata ed invecchiate anni emanano un magnificamente acidulo profumo cui è difficile resistere. Usanza del luogo poi è bere in piccoli bicchieri accompagnati in successione da altrettanti bicchieri di un nettare di qualche frutto esotico del luogo. Li chiamano "colpini" da queste parti, bah paese che vai usanza che trovi.

Ad ogni modo arrivarono due strani tizi, due Sluagh, una minuta e disincantata Allevatrice di nome Sahla Yafiha e Aleikh un robusto e pragmatico Cacciatore. Da li a poco, giusto il tempo di sorseggiare un paio di colpini, che la solita banda di taglieggiatori, ingaggiata da chi sa chi si è fatta avanti per mostrarci gli usi locali. Non che io sia un facinoroso, bruto e senza maniere, li avvertii del terribile sbaglio che stavano facendo, dopotutto mi sembrava giusto metterli in guardia. Eppure non vollero desistere, ci attaccarono, fedele agli insegnamenti del caro Cèncio, ed anche per non aver problemi con le autorità, parammo ogni colpo possibile e gli concessi l'onore del primo sangue. A quel punto, non si trattava più di un attacco da dimostrare ma di legittima difesa. Con un balzo furioso, parando i colpi degli assalitori mi gettai a fronteggiare quello che sembrava esserne il capo, mentre i miei due compari di sventura fronteggiavano gli altri criminali. Gli concessi di infilzarmi per primo guidando la sua lama in modo che non mi fosse fatale il colpo, ed assestai un mortale colpo alla sua gola, beffardamente entrambi facemmo capo al "Sangue Nero" e rimarginammo le nostre ferite. L'attacco successivo fu ancor più strabiliante, il cacciatore di scatto girò il suo clavischetto e lo usò come da tradizione a mo di clava, mandandone al terreno due, la piccola allevatrice, dal canto suo, richiamò da fuori la locanda il suo fedele Coleottero, che appoggiandosi delicatamente alla porta ne fece mille pezzi fronteggiando i malcapitati nei suoi paraggi.

Due ottimi diversivi che sorpresero il nemico, e che mi diedero la possibilità di sguinzagliare il mio Ago, che balenando nell'aire andò a disegnare sbreghi mortali tra le carni dei malcapitati. Il primo a cadere fu proprio il loro capo, nemmeno il tempo di cadere in terra ferito mortalmente alla gola, per la seconda volta, che girandomi infilzai gli altri rimasti, avendo cura di lasciarne uno vivo, in modo che ci potesse fornire indizi sui mandanti.

In breve attirammo con un inganno la vedetta dei criminali, che era rimasta fuori dalla locanda, e poiché si rivelò alquanto smargiasso, dopo aver ottenuto le informazioni di cui necessitavamo , lo lasciammo libero di scappare con le braghe calate e le mani legate dietro la schiena...
Giammai si dica che L'Asso di Fiori non fu magnanimo e che sia da lezione a chi volesse prendersi gioco di lui come fece il povero malcapitato di cui sopra. Vile si ma con un onore da difendere...


Per non dilungarmi troppo vi dico che non cavammo una blatta dal buco a livello di indizi, ma che alla fine trovammo un incartamento nascosto nella casa che mi era stata assegnata da Miranda, e che scoprimmo essere anche l'ultimo domicilio di Ser Otto Novak Decimo. Soddisfatti iniziammo a pensare a come organizzare  il viaggio verso Vilezia, dove presumiamo sia anche Ser Otto.

Vi starete domandando, invero, quale strampalato messaggio si nasconda dietro al titolo di questa nota del mio diario... Semplicemente un modesto gioco di parole ed il mezzo,  con il quale vilmente e fieri di ciò, nascondemmo i cadaveri dei nostri assalitori...

Meditate dunque a quanto il suono di una vocale possa cambiare il senso di una frase...

giovedì 8 agosto 2019

Sahla Yafiha bent al Naadir - Capitolo II

«Un sacchetto di polvere di caffetta, bollire per un paio di minuti lasciar freddare qualche minuti»
«No guardi, non trattiamo il fungo pavero...»
«La polvere rossa di fungo Nerhabo va sparsa sulle zampe di bombo fritte, ma solo un pizzico o ne copre il sapore»
«La melata di afidi la consiglio sullo shawarma di larva ma ci aggiungerei anche un cous-cous di micelio»
«La muffa brillantina l'abbiamo finita ma forse ci torna domani. O dopodomani al massimo»

Con l'apertura delle frontiere e l'arrivo di turisti e mercanti dalla Scala Tremante, Mato Ab'haram non era in grado di servire l'aumentata richiesta di muffe, spezie, micetospezie e saltuariamente qualche piatto di cucina locale nonostante l'aiuto del figlio Kareem; la presenza di malintenzionati, minima visto che il suk si trova all'imboccatura del Tubo ma non completamente assente, non faceva altro che appesantire la situazione, e lo sluagh sarebbe stato costretto a chiudere bottega se non avesse ricevuto più di una mano.
Dal canto suo, dopo la tempesta di segatura, l'odissea nel Khashab e l'inseguimento delle tracce dello zio, e lo scontro con la lucertola brillantemente messa in fuga da uno sforzo coordinato di tutto il gruppo, Yafiha e il suo dorato compagno erano arrivati nei pressi della città stremati e desiderosi di riposarsi. Per chi arriva dalla direzione verso il muro, la Fattoria di Mato è forse il primo segno di civiltà degno di nome che si incontra, che offre riposo ai viandanti e ai loro topi, e spesso anche del cous-cous di micelio e muffe di stagione o tortini di melata fresca, e la giovane sluagh aveva deciso di stabilirsi a riposarsi qualche giorno prima di riprendere il suo viaggio. Ma quando Mato ha scoperto la sua conoscenza per le zone circostanti e le sue arti officinali, ha capito di aver trovato una soluzione che gli permettesse di mantenere di mantenere in ordine la fattoria senza abbandonare il suk.

Servire al banco delle spezie la stanca, anche se lei "da solo un aiuto" all'introverso Kareem, ma la vita di città ha anche i suoi lati positivi e le ha permesso di comprare un paio di abiti nuovi, da viaggio e da città, rimpinguare il suo inventario e addirittura legalizzare la pistola presa ai briganti che li hanno attaccati nel deserto. Intanto il piccolo coleottero dal carapace dorato è cresciuto e si è fatto più scuro, quasi bronzeo, le mandibole sono diventate sovramisura e per molti omini minacciose, ma in compenso è diventato più ubbidiente, evitando anche di saltare in braccio a chi gli fa le carezze, cosa peraltro molto importante perché il peso è aumentato al punto che solo uno sluagh ipertrofico, e al massimo un boggart, sarebbe in grado di afferrarlo senza essere buttato a terra dall'impatto.
Di giorno mentre la sua padrona impara l'arte di socializzare con la gente e cerca anche di non vendere a un prezzo troppo basso, l'accompagna al mercato e tiene la guardia vicino alle teglie con le zampe di blatta glassate e lo shawarma di larva, allontanando chi cerca rogne o anche semplicemente un pasto a scrocco, ma si offre con l'addome per aria quando bambini e signorine, non senza timore, si avvicinano per accarezzarlo. La sera, alla fattoria, si sgranchisce invece tenendo in riga gli afidi da allevamento anche se i braccianti assunti di recente rendono il suo lavoro non necessario.

Nonostante questa idilliaca vita che gli permette di godersi sia la vita di campagna che quella di città, il momento migliore della giornata per entrambi è il terminare della notte poco prima dell'alba, quando il Tramonto non ha ancora iniziato a scaldare dalla sua montagna di ghisa ed è possibile addentrarsi ai bordi del Khashab a cercare muffe e spore non affondate nella segatura. Dismessi gli abiti di città ed indossati quelli da viaggio, ogni giorno Yafiha distende le antenne a quei refoli di vento fresco che si dice provenga dalla Pozza, il robusto galleggiante ligneo da passeggio in mano, e si avventura, accompagnata dal fedele Dahabi, con la scusa di cercare prodotti rari da vendere al banco durante la giornata.

Solitamente per fare rifornimento per il mercato diurno basta un giro nei campi incolti di muffe e funghi che crescono dove l'umidità goccia all'esterno del Tubo, ma sempre di più è affascinata da quelle oasi lontane, dai funghi maestosi e dove la muffa cresce spontanea ai bordi delle pozze di umidità. Ogni tanto, quando si sveglia presto e le antenne vibrano verso il mare di segatura si allontana fin dove le prime luci iniziano a tinteggiare di rosso le dune più alte, sperando di incappare in qualche impresa, in una carovana arenata da aiutare, o un fungo raro spuntato durante la notte dove non dovrebbe essercene. Una volta è tornata con una coda di forbicina tagliata di netto dal non-più-piccolo Dahabi, un'altra volta con delle piccole cappelle di funghi biancospinati e un giorno addirittura portando un denutrito e assetato topo, unico sopravvissuto di una carovana distrutta dal caldo, e che ora serve alla fattoria di Mato; la maggior parte delle volte però torna con un pugno di segatura, tanto caldo, e un po' di delusione per una mancata avventura. In queste occasioni, ripensa alla storia di Khaset At'Dathrez, la mitica città scomparsa, e si chiede se un giorno parteciperà mai ad un'avventura come quella che attende chi si recherà alla ricerca della perduta città...

mercoledì 7 agosto 2019

Jàco(po) Zordi, l'Asso di Fiori



Jàco terzo figlio maschio della famiglia Zordi, molto nota a Vilezia per i suoi affari nell'ambito del commercio, non ebbe la fortuna del primogenito Enrigo, ne la possanza del secondo nato della sua famiglia Ménego. Fu chiaro da subito che ad Enrigo, come di norma, sarebbe toccata la sorte di amministrare i possedimenti della famiglia. A Ménego invece non fu difficile entrare al servizio della capitaneria di porto e partendo dal basso scalò le gerarchie fino al grado di sottotenente. Ad onor del vero le malelingue dicono che raggiunse tale grado per intercessione del fratello maggiore che seppe ungere i meccanismi giusti, in modo di avere in cambio un trattamento di favore sui dazi commerciali.

A Jàcopo raggiunta la maggiore età, come a molti altri terzogeniti, fu data una dote in crì, qualche cianfrusaglia di famiglia e fu messo alla porta. Non fu facile per un rampollo della nobiltà, che aveva fatto del gioco d'azzardo, del bere e della compagnia di belle e lascive donne la sua maggiore preoccupazione, trovarsi di punto in bianco con l'esigenza di letteralmente inventarsi un modo per vivere.

Le serate in taverna, tra festini e fiumi di pregiato vino vileziano, lo avevano suo malgrado istruito sul come cavarsela in una rissa, la cosa più vicina a quell oche sarebbe diventato il suo futuro lavoro. Non gli rimase che investire i crì ricevuti in dote pagandosi l'adesione alla prestigiosa scuola Rosconi, affiliata all'accademia della Mirandola. Retta dal maestro di Spada, Etichetta e sincera Viltà, Cèncio Rosconi. E probabilmente fu la decisione più saggia che potesse mai prendere. C'è chi dice che la decisione stessa in realtà gli fu suggerita da suo fratello Enrigo, con lo scopo di avere un uomo fidato che proteggesse i suoi commerci, sopratutto quelli meno "domiciliari".

Gli anni dell'accademia furono, difficili, più che per il duro allenamento fisico per la rigida impostazione volta a correggere le attitudini comportamentali che avevano caratterizzato la sua esistenza fino ad allora. Eppure l'educazione e l'etichetta gli erano state inculcate fin da piccolo, ma risultati in tal senso furono ottenuti solo dopo gli anni di accademia da schermitore.

Per la vergogna, di essere diventato un comune vileziano, per proteggere la sua identità e quella della sua famiglia, decise di indossare una maschera bianca recante i semi delle carte da gioco a lui
così care, e prese il nome d'arte di Asso di Fiori. Ben presto, a seguito dei lavori ben riusciti iniziò ad ottenere ingaggi sempre più prestigiosi e redditizi. Il suo nome d'arte iniziò a circolare
per le calle ed i campi di Vilezia, ed alcuni nobili iniziarono a rivolgersi a lui per "risolvere" qualche increscioso fatto che potesse creare imbarazzo al loro buon nome.

L'Asso di Fiori, divenne suo malgrado conosciuto a livello locale, fu di ispirazione per i giochi dei bambini, per i quali divenne be presto un idealistico eroe mascherato ed allo stesso tempo motivo di angoscia per chi sapeva di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, e questo era esattamente il contrario di quello che Jàco avrebbe voluto accadesse.

Nell'autunno dell'anno VI AC, dopo l'apertura delle frontiere, conobbe Miranda, una bellissima e facoltosa soladina dai capelli rossissimi e gli occhi verdi come gli aghi di pino, la cui lingua si narra sia tagliente come la lama di una mezzaforbicina da scherma e la cui arguzia sia degna del buon nome del suo popolo. Non è difficile immaginare come tra i due nacque una forte passione che li spinse a programmare di fuggire insieme nei Liberi Domini cosa che ahimè non si concretizzò, perché il giorno della partenza Miranda non si presentò al luogo convenuto facendo recapitare invece una lettera di scuse a Jàco. L'Asso, decise di partire lo stesso, visto che il suo nome stava circolando per Vilezia troppo frequentemente a seguito delle scorribande perpetrate con la soladina e ad altre bravate riconducibili al suo lavoro. Ma sopratutto Jàco agognava di diventare veramente indipendente dai precetti che gli avevano insegnato all'accademia della Mirandola, volendo sviluppare un suo personale codice d'onore ed al contempo affrancandosi anche dagli obblighi a cui ogni tanto Enrigo lo richiamava per favorire gli interessi della sua famiglia. Non in ultimo anche per assecondare la sua voglia di esplorare le regioni della Casa di cui aveva solo sentito parlare.


Grazie alla scelta che prese in origine, quella di celare la sua vera identità, nota solo alla sua famiglia, al suo istruttore di scherma Maestro Cèncio Rosconi ed alla sua amica Miranda, gli fu agevole dunque mettersi in viaggio lontano da occhi indiscreti. Come meta del suo viaggio scelse la regione più lontana e differente a quella dove era nato e vissuto, partì per il primo piano, direzione Vascherdam, di cui aveva sentito parlare un gran bene dagli avventori delle locande che frequentava da giovane. Ci sarebbe stato molto lavoro e meno ficcanaso decisi a smascherare la sua identità per ora ancora celata. I giorni scorrevano veloci, le novità erano molte così come gli usi ed i costumi che aveva iniziato a conoscere grazie alla sua amica soladina mesi prima e che ora stava imparando ad apprezzare sempre di più vivendoci a contatto, aveva persino cambiato la sua arma da duellante optando per un ago che più si adattava al suo stile di schermitore. Si era quasi abituato a quella vita e tutto girava a meraviglia ma poi come ogni volta arrivò una lettera di Miranda a complic....cambiare tutte le cose...


lunedì 5 agosto 2019

Intro - La Città Sepolta

Otto aprì la custodia e ne estrasse con un pizzico di perplessità il rotolo traslucido. Soltanto un istante dopo realizzò che la pergamena era ricavata dal frammento di un'ala di fata e, nonostante le macchie di inchiostro ivi impresse sembrassero non avere alcun significato logico, i suoi occhi si sgranarono come se vi riuscisse a leggere un chiaro messaggio.
Un largo sorriso gli si disegnò sotto la folta barba bianca mentre alzava la testa rivolgendosi alla piccola combriccola seduta al tavolo attorno a lui, omini per lo più fidati e di indiscusso valore che in quel momento continuavano a fissarlo inebetiti: "Non avete idea di cosa sia questa? Volete dirmi che nessuno di voi bifolchi ha mai sentito parlare della città perduta di Khaset At'Dathrez?"

Sono principalmente le leggende del popolo sluagh ad avere riferimenti a tale luogo, racconti della tradizione orale delle genti che vivono tra il Bathur ed il Khashab, di cui oggigiorno quasi nessun altro ha mai sentito parlare. Tali storie possono trovare vaghi riscontri negli annali dei primi boggart, i quali, dopo la Scomparsa del Padrone, cercarono di catalogare tutto ciò a cui loro spettava di aver cura, fino al giorno in cui Egli sarebbe tornato. Con i disordini che seguirono, l'arrivo degli altri popoli, le infiltrazioni, la muffa, il progresso, le guerre e le fragili alleanze molto di questo andò perduto e molto altro finì per essere archiviato su polverosi scaffali delle austere biblioteche del Focolare.
Soltanto oggi, a quasi cento anni dalla fatidica data, grazie alla Fragile Pace ed alla riapertura dei confini, alcuni omini che hanno dedicato la loro vita alla conoscenza, alla scoperta ed alla memoria di ciò che non deve essere dimenticato, hanno la possibilità di rispolverare antichi tomi e riportare alla luce segreti ormai lontani e creduti persi, ingenuamente ignari del fatto che alcuni di essi farebbero bene a restar sepolti.

Khaset At'Dathrez (probabilmente una traslitterazione dal domestico) è il nome in lingua sluagh di una città perduta e disabitata che si dice sepolta nel caldo abbraccio del deserto di segatura. Un luogo, secondo le favole del Bathur, di cui oscurità e silenzio sono gli unici abitanti, nel quale però giacciono ancora dimenticati innumerevoli oggetti appartenuti al Padrone stesso, cose inimmaginabili su cui nessun omino attualmente in vita ha mai potuto posare anche solo lo sguardo e che aspettano solo di essere rinvenute.
I racconti dei nomadi del Khashab parlano invece di un luogo maledetto, sigillato e sepolto per volontà stessa del Padrone, non una città, ma una necropoli in cui gli spiriti inquieti di omini che hanno siglato un Contratto immondo servono una Bestia antica quanto il deserto stesso che non aspetta altro che qualche incauto spalanchi le porte e le renda la libertà.

La reale esistenza di questo luogo ed il punto esatto in cui sarebbe sepolto rimane un mistero, ma fonti accreditate parlano di un ostinato studioso di Astraviya, il Professor Anatoli Plaschev, che dedicò vita e carriera alla causa e subito dopo la fine della Prima Guerra Domiciliare affrontò un rischioso viaggio fino al più remoto angolo della Cantina.
Si dice che infine Plaschev abbia trovato ciò che cercava ma che non sia vissuto abbastanza per rivelarlo al resto della Casa e che l'unico indizio del suo destino e sulle sue scoperte sia stato da lui stesso trascritto sulla membrana delle sue ali, cui avrebbe rinunciato prima di scomparire in via definitiva, senza lasciare alcuna traccia.

Oggi, alla fine del VI anno dall'istituzione dell'Alto Consiglio, una piccola banda di omini è miracolosamente emersa dalla segatura del Khashab dopo lo scatenarsi di una terribile tempesta causata nella Cantina da una folata di vento proveniente dallo spiraglio sotto il soffitto.
In molti sono periti nell'evento e ancora di più sono i dispersi, ma coloro che hanno miracolosamente raggiunto Utu Bathur l'hanno fatto riportando alla luce quella che sembra essere la prima parte di una mappa creduta fantasia, tatuata sulle delicate ali di una fata: "La guida di Plaschev ai segreti di Khaset Ad'Dathrez".
Nella zona alta della città, poco distante dal palazzo dell'Emiro, ospite nel lusso de I Veli di Imrah, un distinto boggart, Mr. Hurtington attende pazientemente che quanto richiesto gli venga finalmente consegnato.