giovedì 15 agosto 2019

Regolamento di Conti

"Sai, l'altro giorno, quell'infestazione di scarafaggi nelle intercapedini basse? Sembra che qualcuno abbia abbandonato lì delle botti... con dei cadaveri dentro. Tutta gentaccia, omini dei bassifondi, un capobanda e i suoi scagnozzi, c'è stata una rissa nella taverna del vecchio Jo ed è stata una strage."

La notizia impiegò qualche giorno a risalire il Grande Tubo e per molti fu soltanto argomento di chiacchiere da mercato, dopotutto si trattava di feccia del sottobosco criminale che non merita alcuna compassione.
La milizia venne ad interrogare Jossafat e ne ottenne qualche dettaglio aggiuntivo, ma una volta appreso che si era trattato di un violento regolamento di conti interno alla banda di Fasir lo Sveglio (primo rinvenuto tra i corpi mezzi divorati dagli insetti) decise che non valeva la pena sprecare troppe energie nella persecuzione dei colpevoli, dopotutto sfoltendo i ranghi della malavita cittadina gli avevano fatto un favore. Eppure contemporaneamente l'illuminato Sultano Balthazar Bashan capì che non sarebbe dovuta diffondersi la notizia che Utu Bathur fosse una città tanto pericolosa da potersi imbattere in questo genere di scontri, soprattutto adesso che le porte erano aperte ad ogni omino della Casa era importante dare subito un segnale forte, pertanto chi ne pagò le conseguenze furono i residenti dei quartieri al di sotto dell'imbocco del Grande Tubo, che divennero vittime di sgarbate perquisizioni e controlli ogni volta che dovevano risalire la città verso i quartieri più benestanti.
I posti di blocco non impedivano ai signori del crimine di condurre i loro affari, ma trattenevano i piccoli furfanti e le bande ai piani bassi, facendo di fatto precipitare la qualità della vita della metà inferiore della città con il solo vantaggio di far sentire nobili, turisti e mercanti perfettamente al sicuro nella metà soprastante.
Jo Senzunocchio maledisse la sua sfortuna nell'essere finito in mezzo a quella torbida storia e si decise infine ad affiggere un annuncio per assumere un aiutante e buttafuori, qualcuno che incutesse il giusto rispetto e timore, magari un minaccioso ipertrofico... o, perché no, un bravo boggart!

Nel frattempo, dall'altra parte della città i problemi erano di tutt'altra natura.
Il ragazzo era stato temporaneamente prelevato dalle sue mansioni di facchino per appendere in alto, sulla facciata dell'albergo, i nuovi striscioni per la settimana entrante, in cui si sarebbe celebrata la festività di Ostara. Se non avesse finito in tempo non sarebbe potuto tornare a trasportar bagagli per i facoltosi ospiti de I Veli di Imrah e riscuotere le loro generose mance: fate e sprighi erano molto più generosi di quanto si sarebbe mai aspettato.
Quando scese dalla scala a pioli trovò però ad attenderlo un colosso dalla pelle grigia e l'aria poco raccomandabile che lo fissava a braccia conserte ruminando del muschio da masticare. Il giovane capì al volo, aveva avuto un'esperienza simile pochi giorni prima, non aveva più intenzione di fare il duro per pochi spicci e così vuotò il sacco immediatamente.
Nemmeno mezzora dopo potè tornare al suo lavoro, senza averne guadagnato nulla, ma sperando di avere in qualche modo messo i bastoni tra le ruote ai tre estranei che l'avevano minacciato l'ultima volta.

Maharbar rimase per un minuto buono immobile di fronte alla porta dell'appartamento dopo aver ringraziato e congedato il ragazzo per la preziosa e spontanea collaborazione. Sapeva che non lo avrebbe trovato lì ma sperava di rinvenire qualche indizio su dove potesse essere sparito Otto. L'appartamento era lo stesso in cui aveva alloggiato l'ondino ad inizio anno e, a detta del custode, un altro ospite della proprietaria gli aveva lasciato le chiavi solo un paio di giorni prima. Doveva quindi essere vuoto eppure l'orecchio allenato di un guerrigliero sopravvissuto alla guerra percepiva movimenti all'interno: optò per l'effetto sorpresa.
Con una poderosa spallata spalancò la porta e alzò le braccia in guardia tenendo la punta di chiodo con presa invertita, pronta a scattare ma... nessun movimento.
Iniziò cautamente ad esplorare le stanze del piccolo ma curato appartamento, affacciandosi sul cucinino e sulla saletta, quando infine aprì la porta socchiusa della stanza da letto si accorse di non essere solo e di non avere alcun vantaggio. Si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con un omino nettamente più basso di lui, con vesti ampie e comode ed il capo e volto nascosti da uno stretto turbante color mattone dal quale si intravedeva solo il bianco degli occhi. Era fermo in mezzo al corridoio, a pochi passi da lui, gambe larghe in posa da combattimento, non portava armi e sembrava avere l'intenzione di affrontarlo in quello spazio stretto usando solo le sue mani nude.
Maharbar capì che quel tizio non era stato colto in flagrante durante un'effrazione, ma era lì da chissà quanto tempo in attesa che qualcuno si presentasse, allora gli sorrise sprezzante: "Povero idiota, sei capitato con l'omino sbagliato!" e gli si scagliò contro.

Più tardi il custode del palazzo entrò titubante dalla porta d'ingresso, stringendo nervosamente tra le mani uno stuzzicadenti stondato. La porta era stata forzata e sul corridoio all'ingresso c'erano tracce di colluttazione, alcuni schizzi di sangue nero sporcavano le pareti e lo stipite della porta della stanza da letto. Quando si sporse cautamente, aspettandosi chissà quale raccapricciante spettacolo, vide un gigantesco energumeno accasciato a faccia in giù sul pavimento, con una punta di chiodo conficcata ad un palmo dal suo naso. Respirava ancora, malconcio ma ancora in vita.
Le tende della stanza erano blu cobalto ed ondeggiavano sospinte dalla brezza che soffiava dalla Cantina attraverso le crepe sulla parete, fino all'intercapedine bonificata in cui Utu Bathur era edificata.
Sulla parete opposta, sopra una madia, un quadro era stato rimosso rivelando una piccola nicchia nascosta, ormai vuota. Il custode raccolse la cornice, spezzata probabilmente durante la colluttazione, e stese la tela strappata per osservarla: raffigurava la proprietaria dell'appartamento, una affascinante soladina con occhi luminosi ed un sorriso beffardo, Donna Miranda O'Donnell, che lui non aveva mai incontrato di persona ma per conto della quale diversi ospiti autorizzati, presenti in una lista che gli era stata fornita insieme al suo incarico, avevano alloggiato negli ultimi mesi e a cui era stato ordinato di lasciare le chiavi se le avessero richieste.
Secondo il suo taccuino il grosso ipertrofico privo di sensi corrispondeva alla descrizione di un faccendiere locale, di nome Maharbar, autorizzato, e diverse volte prima di lui era stato a lungo ospite l'indaffaratissimo Otto Novak X, ondino di Vascherdam, socio in affari della proprietaria, e per ultimo un nobiluomo girovago di basso rango, tale Jàco Zordi di Vilezia, forse un suo amante, che aveva lasciato la città solamente da un paio di giorni con alcuni compari.
Il custode richiuse la finestra, si prese cura del ferito ed iniziò a rassettare. Soltanto dopo essere rimasto solo sedette alla scrivania ed iniziò a scrivere il messaggio che avrebbe inviato all'indirizzo scritto nell'ultima pagina del taccuino, quello destinato alle emergenze.

Con il Carnevale e Ostara alle porte le vie di commercio principali tra Vilezia e le altre città della Cantina erano molto frequentate. Lo stesso Jhafir era quasi a metà strada con il suo carro, due dei suoi esemplari di geco più variopinti ed esotici avrebbero preso parte alla sfilata per le vie della città e sicuramente ci sarebbe stata come ogni anno qualche occasione per fare buoni affari, magari con qualche straniero facoltoso.
Jhafir era felice di poter condividere almeno parte del viaggio con sua nipote Yafiha, sempre indaffarata col suo coleottero ammaestrato, Dahabi, che continuava a crescere sempre di più. Tra i suoi accompagnatori poi c'era il cacciatore di nome Aleikh che li precedeva di un centinaio di minimetri, in sella ad un topo e clavischetto in spalla; era lo stesso omino che li aveva portati in salvo fuori dal Khashab lo scorso anno e Jhafir era lieto che fosse di nuovo lui a guidarli.
Infine il distinto nobiluomo che condivideva con lui la cassetta del carro era di piacevole compagnia, bravo a carte e sembrava avere conoscenze interessanti tra la nobiltà del luogo in cui erano diretti, anche se Jhafir non aveva mai sentito parlare, finora, della sua famiglia: gli Zordi di Vilezia.

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