venerdì 2 giugno 2017

Errando per Laitia - Episodio 21

De li Prodigi de la Alchimia et sue Nefaste Conseguenze

Li Fossi di Etamar consistevano in uno sconfinato complesso sotterraneo di gallerie et grotte, naturali et non, completamente isolato da lo resto di Laitia, li cui abitanti erano mostri terribili, creature ancestrali et bizzarri soggetti che da tempo immemore avevano dimenticato vi fosse uno mondo sopra di loro, a la luce de lo sole.
Mentre li Eclettici Viandanti et lo mio mentore si addentravano ne le profondità di Rarte, io mi sistemai ne la Scuola de li Fossi che, protetta da li Bronzi di Batrace, sembrava assai più sicura di qualsiasi altro edificio ne lo borgo. Iniziai a risistemare lo laboratorio di Epirone, ignaro de li tragici avvenimenti che di lì a poco sarebbero accaduti. Tutto quanto sto per riportare non lo ho vissuto in prima persona, mi è stato riferito da Galvano et confermato da li altri compagni de lo Magistro Alburno che, ahimé, fu vittima di uno triste scherzo de lo fato.

Uno de li primi abitatori de li Fossi in cui li avventurieri si imbatterono fu una bizzarra donnicciola di nome Orzabotta. Viveva su lo fondo di una immane grotta cui si accedeva da uno pozzo di Ertama, in cui spazzatura et cianfrusaglie de lo borgo soprastante venivano solitamente gettate per non essere più riviste et le fungevano da sostentamento. Ricoperta di peli da testa a piedi, tanto fetente da annunciare la sua presenza a cento cubiti di distanza, ma tutto sommato gioviale et cortese, Orzabotta acconsentì ad aiutare li intrepidi in cambio di uno appassionato bacio da parte de lo fascinoso Peregrino Scarlatto che impavidamente, per lo bene de lo gruppo, si concesse et addirittura riuscì ne lo arduo compito di trattenere lo vomito. Orzabotta fornì loro uno stralcio di mappa, sebbene incompleta, che mostrava sia la conformazione de li Fossi che la posizione de li glifi piazzati da Epirone, o Piripicchio, ne lo suo folle piano di vendetta. Li eroi intrapresero quindi la via che conduceva a lo primo de li tre sigilli, quello recante lo simbolo di Aria.

La pericolosità de la grotta che dovettero attraversare traspariva persino da la mappa, essa aveva infatti vaga forma aracnoide et, manco a dirlo, si rivelò disseminata di viscide et appiccicose ragnatele. Li nostri si inoltrarono con grande cautela eppure non riuscirono in alcuno modo ad avere vantaggio quando uno nugolo di viscidi Ragni de li Fossi piombarono loro addosso da ogni direzione, ricoprendoli de la loro filamentosa bava appiccicosa. Lo scontro si mise male in pochissimi istanti, persino lo muscoloso Frandonato faticava a liberarsi et menar fendenti. Fu allora che lo prode Alburno ricorse a la sua ultima creazione: la Crisopea Viola.
Concentrandosi su la pietra che portava a lo collo ne uscì una nube che lo avvolse completamente, et in uno attimo si dissolse rivelando fattezze bestiali et feline, davanti a li occhi de li suoi compagni esterrefatti era mutato in una feroce et massiccia fiera leonina che iniziò a fare a brandelli li ragni ribaltando immantinente una situazione che si era rivelata estremamente pericolosa.
A la fine de lo scontro lo Magistro riprese le sue sembianze et si occupò, come sempre, de le ferite de li suoi compagni, stupiti et ammirati. Nessuno allora immaginava quale fosse lo rischio da correre per padroneggiare uno simile potere et quale caro prezzo di lì a poco sarebbe stato pagato.

Proseguirono et grazie a la mappa ottenuta da Orzabotta recuperarono in uno anfratto artificiale una curiosa pietra custodita su uno antico altare intitolato a Raim, entità pristina et oscura, in grado di assorbire lo calore intenso de le fiamme. Ovviamente Frandonato non ebbe remora alcuna a fare scattare la trappola che vegliava su di essa, ma ne sopportò anche le conseguenze et bruciacchiato proseguì lo cammino.
A uno tratto innanzi a loro si aprì una enorme grotta, in cui funghi sotterranei di variabili dimensioni sembravano letteralmente levitare a pochi metri da lo suolo, trattenuti da li filamenti de le loro radici et riempiti di una ignota sostanza gassosa più leggera de la aria et estremamente volatile.
Lo primo glifo de lo Piripicchio sembrava essere custodito su la cima di uno picco, isolato in uno immenso, profondissimo et tenebroso baratro, chiamato lo Orrido Nero, che da lì in avanti divideva li Fossi di Etamar in due. Ogni ponte precedentemente costruito sembrava reciso, di fatto tagliando fuori tutto ciò che c'era al di là da lo mondo di superficie.
Dopo lunghe discussioni et prove di galleggiamento Rafiseno tagliò i filamenti et si librò a cavallo di uno fungo, scoprendo di poterlo usare per levitare oltre lo baratro, sparì ne la oscurità.
Li altri invece legarono assieme due de li funghi più grandi, cercando di farne una piattaforma più stabile et coraggiosamente li diressero lungo la faglia, verso lo picco misterioso ove avvenne lo imprevedibile.

Quello che la mappa mostrava si rivelò essere veritiero et accurato. Ne lo mezzo de lo Orrido sorgeva uno pinnacolo su la cui sommità era stato costruito uno puzzolente nido di creatura che per fortuna sembrava essere altrove. Li eroi non avevano modo di approdarvi, già intenti a non cadere et manovrare li due funghi levitanti legati assieme, et così lo Magistro decise impavidamente di ricorrere di nuovo a la Crisopea mutandosi stavolta in creatura alata et avvezza a la oscurità di quelle sale. Dapprima si calò solo ne lo nido, frugò tra li resti umani et animali fino a trovare lo agognato medaglione argenteo di Aria et poi ricorse a lo suo potere.
Mutò in pipistrello gigante, la cui forma ricordava vagamente le sue fattezze, conservando pantaloni su le zampe posteriori et una frezza di pelo grigio su lo capo, et volò di nuovo dai compagni.
Quello di cui Alburno si rese subito conto fu la sfortunata contingenza de lo utilizzo de la pietra filosofale, giacché, per uno caso sfortunato, non calcolato, o forse per una semplice impurità non notata in precedenza, a lo scadere de lo effetto la sua forma non mutò: la trasformazione era resa permanente.
Ne li suoi studi aveva valutato questo genere di effetto collaterale, documentato da altri maghi, streghe et alchimisti prima di lui, ma ne aveva sottovalutato lo effetto o semplicemente reputato troppo rara la insorgenza in una opera raffinata da le sue sublimi capacità. Fatto stava che ora non poteva parlare, non poteva utilizzare li suoi strumenti et non poteva rimediare in alcuno modo, era prigioniero de lo suo incantesimo et ne le mani de li suoi compagni che avrebbero dovuto trovare uno rimedio.
Ad ogni modo non si diede per vinto et anzi, di lì a poco, la sua maledizione si rivelò provvidenziale giacché Frandonato su la via di ritorno perse lo equilibrio et precipitò ne lo Orrido, fu salvo solamente grazie a lo pipistrello Alburno che si gettò in picchiata et seppe afferrarlo et con fatica trascinarlo di nuovo a lo sicuro. Dopo di ciò la sua condizione fu chiara a tutti et concordarono che fosse lo caso di mettermene a parte.

Quando vidi Galvano apparirmi innanzi con tale bestia a lo seguito (mi perdoni lo saggio Alburno per averlo appellato in codesto modo) impallidii, ma quando seppi la verità fui veramente prossimo a lo svenimento! Occorreva fare qualcosa per porre rimedio et era chiaro che fossi io lo unico su cui lo Magistro contava realmente. Chiesi a lo mio mentore di rimanere ne lo laboratorio de la Scuola per guidarmi, in fondo possedeva ancora ogni facoltà mentale, sebbene non potesse comunicare se non con gesti semplici, ma lui volle tornare ne li Fossi di Etamar, capii dopo che aveva comunque intenzione di percorrere una seconda via, cioè trovare Epirone da Piretro, spezzare la Maledizione de lo Piripicchio et chiedergli supporto per riconquistare la sua forma originaria.
Rimasi così solo a finire di ordinare gli strumenti de lo alchimista di Calbatisia, sfogliando meticolosamente ogni suo tomo a la ricerca di uno filtro o controincantesimo adatto a lo scopo: lo mio maestro contava su di me.
Ne lo mentre li Eclettici Viandanti avevano fatto la conoscenza di Curucu, uno abitatore de le profondità, appartenente a lo popolo de li Cuccafratti, uomini da lo grosso naso che indossavano per lo più solo tuniche scure et vivevano da tempi immemori in uno villaggio sorto tra le rocce di una gigantesca grotta ne le profondità de li Fossi.
Curucu disse di essere la precedente guida de li Cuccafratti, spodestato da lo suo ruolo da quando le fonti di acqua de li Fossi vennero contaminate da la maledizione et giunse da la superficie uno figuro che si fece chiamare lo Cuciniere Nero, che aveva messo su uno enorme pentolone et dispensava uno antidoto temporaneo in grado di bloccare lo odioso "piripì" che si faceva altrimenti via via più presente in ogni forma di espressione.
Li Cuccafratti, incapaci di spezzare la maledizione, accettarono di portare offerte a lo Cuciniere Nero, lo elessero loro capo et quotidianamente facevano la fila dinnanzi a lo grosso calderone per una porzione di schifoso antidoto, preparato con vomitevoli sostanze. Quando li avventurieri rivelarono di conoscere lo modo per spezzare definitivamente la Maledizione de lo Piripicchio, Curucu decise di aiutarli come meglio poteva, fornendo loro nuove informazioni su li Fossi, sperando di riuscire così a scacciare lo usurpatore.

Frandonato, Rafiseno et Tristano vollero infiltrarsi ne lo villaggio et esplorarlo, ma attesero lo ritorno di Galvano et lo pipistrello Alburno prima di proseguire verso la nuova meta. Ne lo mentre esplorarono altre vie fino a giungere ad uno antico belvedere, affacciato su la parte opposta de lo Orrido, in cui, incastonato ne la parete rocciosa, uno volto di pietra sembrava bofonchiare frasi incomprensibili. Scoperto che uno pezzo di stoffa ostruiva la sua bocca, et liberatala, questa prese a ringraziarli et offrirsi di rispondere a domande su li Fossi di Etamar a patto che avessero risolto li suoi indovinelli.
Inutile dire che lo Peregrino et Rafiseno ci presero la mano, ottenendo quanto speravano. Compresero quindi che lo glifo di Fuoco era nascosto tra le fiamme de lo calderone de lo Cuciniere Nero, che altri non era che Epirone da Piretro sotto mentite spoglie, et che uno grosso tesoro era nascosto sotto una fontana. Ricongiuntisi con i compagni decisero quindi di tentare la sorte, anche per aiutare lo Magistro a tornare umano, recandosi a lo villaggio de li Cuccafratti,
Lo Cuciniere Nero indossava uno elmo da cavaliere di ferro scuro che ne occultava completamente le fattezze, dominava la grotta da uno scranno posto in cima ad una ripida scalinata. Supervisionava la fila di Cuccafratti intenti a mendicare la loro porzione di antidoto, protetto da alcuni di essi armati et uno mostro accucciato a li piedi de la scala: una temibile Manticora, creatura mitica, in parte leone, in parte serpente et da lo volto vagamente umano. 
Lo pipistrello Alburno seppe tenersi occultato strisciando su lo soffitto buio de la grotta et volando silenziosamente di appiglio in appiglio senza rivelare la sua presenza; li altri invece vennero su domanda accolti a la presenza de lo oscuro sovrano, ma prima che riuscissero ad esporre le loro ragioni, per qualche motivo, la Manticora scattò aggredendo Frandonato.
Ne scaturì battaglia in meno che non si dica et li nostri se la videro brutta finché non riuscirono a stendere lo mostro, poi lo pipistrello Alburno riuscì a sollevare lo Cuciniere Nero et farlo cadere in mezzo a li suoi compari, ai piedi de la scalinata, et lì, nonostante una strenua resistenza, dovette infine arrendersi.
Quando gli fu tolto lo elmo di metallo scuro, Epirone da Piretro, sembrò finalmente rimembrare chi fosse et impallidì. Li eroi compresero che lo anziano alchimista aveva perso la testa in seguito a le prese in giro su Piripicchio et aveva osato più di quanto dovesse, poi la cosa gli era completamente sfuggita di mano et qualche incanto su lo elmo lo aveva portato a nominarsi Cuciniere Nero et sovrano de li Cuccafratti tenendoli in ostaggio con lo antidoto a lo "piripì".
Ora Epirone era uomo distrutto da lo rimorso, non in grado di ragionare, et, come tristemente scoprì Alburno, non in condizione mentale di ritramutarlo. Pensarono che forse spezzando la maledizione (che tra l'altro si faceva ogni girodì più grave, sostituendo in "piripì" quasi ogni parola scritta o pronunziata) avrebbero ridato fiducia a lo alchimista.
Lo glifo di Fuoco venne recuperato facilmente grazie ad una intuizione sulla Pietra di Raim, gettandola ne le fiamme de lo calderone esse vennero infatti spente, permettendo di mettere mano a lo disco d'argento senza troppa fatica. I Cuccafratti però, di nuovo guidati da Curucu, insistetterò affinché Epirone rimanesse loro prigioniero et la maledizione venisse spezzata in tempi brevi, giacché ora nessuno avrebbe più preparato loro lo antidoto et presto li effetti si sarebbero nuovamente manifestati.

Ne lo frattempo, ne la sede de la Scuola de li Fossi, io continuavo a scartabellare in preda ad ansia ed angoscia per lo triste fato de lo mio signore et insegnante, ignaro de le ulteriori disgrazie che ancora lo attendevano.
Rimaneva lo terzo glifo, quello di Terra, che stando a la mappa et le indicazioni di Curucu sembrava trovarsi più a nord de lo suo villaggio, in uno ennesimo intrigo di grotte et caverne. Li eroi scelsero una de le due vie segnate et si ritrovarono loro malgrado ne la tana di una creatura incantata, assai pericolosa ma allo stesso tempo assai agognata da chiunque ne conosca lo valore: uno Basilisco, piccolo rettile piumato da la letale capacità di trasformare le sue prede in pietra con lo sguardo.
Mentre le giunture de li suoi compagni iniziavano lentamente ad irrigidirsi a causa de la malefica creatura, Frandonato prese ad inseguirla et prenderla a padellate finché la bestia non cadde, poi lo pipistrello Alburno, resosi conto di ciò che avevano di fronte, si affrettò a difenderne la carcassa memore de lo suo valore. Si dice infatti che li resti di uno Basilisco opportunamente bruciati siano parte fondamentale de lo processo alchemico di creazione de lo oro a partire da li metalli vili, in mani sapienti come quelle de lo Magistro avrebbe significato ricchezza assicurata per tutto lo gruppo.

Da la tana, attraverso una porta segreta, venne aperto uno cunicolo che portava ad una stanza più ampia, una sorta di mausoleo sotterraneo ne lo quale riposavano le spoglie immortali di uno cavaliere senza testa da la nera armatura. Non era la prima volta che uno spirito de lo passato riposava tormentato, né la prima volta che li Eclettici Viandanti avevano a che fare con cose simili, et così, quando lo fantasma si palesò animando li resti di ossa et metallo, nessuno ne fu sorpreso.
Attanasio Attenore, Gran Cavaliere di Sassofrasso, cadde combattendo eroicamente a la testa de li suoi cento armigeri su lo ponte a le porte di Etamar in tempi da lungo dimenticati, Rimembrato da li più come Attanasio Senza Testa perché dopo la sua morte essa venne persa, fu sepolto comunque con armatura et elmo, ma ora lamentava che anche questo ultimo gli fosse stato sottratto, nonostante fosse da secoli vuoto. Per di più a lo collo portava lo terzo sigillo, quello con lo glifo di Terra, chiave ultima per spezzare la maledizione.
Lo pensiero di tutti andò immediatamente a Epirone da Piretro, il fu Cuciniere Nero et odiato Piripicchio, et la via per il villaggio dei Cuccafratti fu percorsa di gran lena per recuperare et rendere lo elmo perduto a lo suo legittimo proprietario.
Attanasio Senza Testa fu di parola, lo Peregrino gli promise anche di riportare in auge le sue gesta tra i moderni laitiani, et egli consegnò lo disco argenteo et benedì gli eroici avventurieri.
In ultimo, su la via de lo ritorno, mezzo morto in una sala dimenticata, trovarono Pagnotta, assistente di Epirone et lo trassero in salvo. Lo pipistrello Alburno sperò fortemente che riunirlo a lo depresso alchimista avrebbe dato sprone per mettersi a lo lavoro su lo rimedio per la sua condizione.

Ogni pezzo sembrava essere finalmente andato a posto, la Maledizione de lo Piripicchio poteva finalmente essere spezzata, bastava recarsi a la sorgente, gettare li amuleti et pronunciare la formula magica che li nostri eroi avevano imparato a memoria. Poi li Cuccafratti avrebbero liberato Epirone, egli avrebbe aiutato me a salvare lo Magistro da la sua condizione et gli avremmo finalmente chiesto informazioni su la ambra incantata vero scopo de lo nostro viaggio in quel di Ertama.
Peccato che la via per la sorgente fosse disseminata di trappole et qualcuno, preso da la depressione, si fosse dimenticato di rivelarlo.
Quando li Eclettici Viandanti arrivarono infine a la sorgente erano tutti stremati da massi rotolanti et lance acuminate, Frandonato ferito gravemente, anche se caparbiamente si ostinava a non mostrarlo. Li nostri si fermarono per riprendere fiato et avvenne lo disastro: da la fonte maledetta si levò una orrenda et gigantesca creatura composta di acqua, con ben nove teste da le letali fauci et letale soffio.
Lo pipistrello Alburno venne preso di sorpresa, investito da uno getto di acqua rovente che lo scaraventò indietro lasciandolo in fin di vita. Anche gli altri vennero ferocemente aggrediti et tutti quanti riuscirono a guadagnare la via di fuga non senza immane rischio.

Senza lo Magistro ad elargire unguenti, pozioni et fasciature, la guarigione fu lenta et dura per Tristano et Frandonato, ma soprattutto Alburno anche dopo dieci girodì ancora giaceva malconcio ne lo corpo non suo di uno acciaccato pipistrello gigante.
Dovettero quindi lasciarlo a le cure di Samasso, lo più saggio de li Cuccafratti, che poté far poco altro che lenire le sue sofferenze sperando in una sua ripresa.
Li altri, in pensiero ma tornati più o meno in forze, chiesero di nuovo consiglio a la bocca di pietra risolvendo lo ennesimo indovinello et scoprirono che la Pietra di Raim era arma potentissima contro lo spirito de la sorgente, risvegliato da la Maledizione de lo Piripicchio et che doveva essere sconfitto per potere finalmente risolvere la intera faccenda.
Tornarono coraggiosamente indietro, superarono facilmente le trappole ormai scattate et affrontarono la bestia. Tra tutti fu Rafiseno lo più spavaldo che, impugnata la sua fionda sgradena, la usò per colpire con la pietra direttamente la testa principale de lo mostro, sconfiggendolo con una unica, roboante esplosione di acqua et vapore.
Frandonato gettò li amuleti et pronunziò la formula et infine la maledizione fu spezzata.

Li Eclettici Viandanti si dimostrarono eroi anche in Calbatisia, ne la storica città di Ertama, ma stavolta uno caro prezzo era stato pagato, lo mio Magistro, la saggia guida de lo intero gruppo, era intrappolato in forma aliena et in preda a spasmi di agonia. Solo lo tempo et la sua tempra avrebbero decretato lo suo fato...