mercoledì 14 dicembre 2016

Errando per Laitia - Episodio 10

De le Eredità Fantastiche et Dove Trovarle

Quanto sto per narrarvi accadde più o meno contemporaneamente lo mio arrivo in quel di Zena, ove ebbe inizio la mia cerca, ove venni prima truffato, poi rapinato et infine malmenato. Ove dovetti decidere se persistere oppure arrendermi, ove... meglio non divagare: non è di me che su codeste sottili pergamene intendo dissertare.

Lo rudere di Castel Vero attendeva immoto. La fitta vegetazione che ricopriva li colli circostanti si scansava appena per lasciar scorrer lo fiume Blebo che biforcuto lambiva la antica et solidissima roccia nelle cui profondità affondavano le fondamenta de lo maniero. La profonda quiete de le rovine, ne la aria limpida di una tiepida mattinata estiva, sembrava richiamar a se lo gruppetto di avventurieri, pronti a calarsi in una nuova, intrepida impresa in illo loco che, nonostante lo degrado, già ad uno primo sguardo appariva permeato di fascino ancestrale et solenne maestosità.

Non v'è vittoria senza sfida, non v'è soddisfazione in una vittoria che non dia sfoggio di grande abilità, volontà o acume. La prima sfida fu rappresentata da lo ponte levatoio, o meglio, da lo fatto che fosse crollato, la prima vittoria che conseguì quella giornata lo saggio Alburno, per sua grande soddisfazione.
Per attraversar lo baratro con minimi rischi lo abile alchimista mise subito a frutto nuove mirabolanti formule che grazie ad inflessibile dedizione avea continuato a mettere a punto mentre li suoi compari comunemente riposavano o bighellonavano. Fu così che rese una floscia scala di corda solida passerella dura come lo ferro, su la quale tutta la comitiva poté attraversare lo fossato in relativa sicurezza.
Una volta tra le mura de la antica dimora de lo Pio Conte, lo Magistro decise di aver già dato mirabile supporto a la spedizione et, ne la sua magnanimità, volle lasciar gloria pure a li suoi valorosi compari. Decise quindi di sedersi su le pietre dismesse di una parete crollata ad abbeverarsi, lasciando lo cavalier Galvano, lo frate Frandonato et lo poliedrico Tristano ad esplorar li anfratti ancora integri de la pianta de la fortezza.

Non passaron che pochi granelli di clessidra quando uno grido di allarme fece trasalir lo Peregrino et Alburno che accorser trafelati a prestar soccorso a li lor compari, incappati malauguratamente ne la trappola di una curiosa creatura vegetale. Lo secolare alberone ne lo cortile offriva appoggio a la salma di uno antico cavaliere, ormai ridotto a mero ammasso di ossa marcescenti et metallo arrugginito, Frandonato et Galvano s'eran accostati per riconoscerne li emblemi su lo surcotto malandato et eran caduti vittima de lo attacco di uno pericoloso Brassabosca: vegetale animato, molto aggressivo, che sole nutrirsi di incauti che indugiano sotto le sue fronde grazie a lunghe et resistenti liane urticanti.
Per fortuna de li nostri eroi la spada de lo cavaliere era rapida et affilata et li trasse d'impaccio senza sforzi eccessivi. Deciser saggiamente di non sfrugugliar la creatura più de lo necessario et accostandosi a lo muro passaron oltre.

Ne la stanza immediatamente successiva, rimasta a cielo aperto in seguito ad uno crollo, la parete era ricoperta da uno fitto rampicante, a malapena visibile era la liscia pietra dietro arbusti et foglie d'edera. Tristano ebbe la buona idea di strapparne quanta più possibile, rivelando dietro essa lo contorno di uno ingresso nascosto che conducea ad una ripida scala verso il basso, verso un cupo sotterraneo.
La discesa fu parimenti buia, pericolante et umida, viste le condizioni di totale abbandono in cui vertevan le rovine. Frandonato apriva coraggiosamente la via, intenzionato a ritrovar l'Eredità promessa da la pergamena in suo possesso, mentre lo Magistro chiudeva il gruppo torcia in mano, aiutandosi con lo bastone a scender la scala scivolosa con in spalla lo ingombrante laboratorio portatile stracolmo de li frammenti grezzi de lo suo potere.

Lo cunicolo terminò bruscamente in una sala più ampia, parzialmente edificata, tra colonne crollate et capitelli superstiti, et parzialmente scavata ne la roccia, tra la quale si intravedea lo piccolo altare di pietra di uno culto antico, ormai sepolto da erbaccia et fango.
Quando Frandonato si avvicinò per esaminarlo da presso li predatori in agguato colpirono impietosi. Tele di ragno sommersero tutti, tranne Alburno che era per sua fortuna qualche passo indietro, et quando le orribili creature, da lo corpo grosso come uno grasso racchino et zampe irsute ancor più schifose, piombarono su li suoi compari la situazione sembrò precipitare.

La seconda sfida fu mostrare a tutti che anche quando intrugli, astuzia et conoscenza non possono trar d'impaccio, lo vero eroe è impavido et sa come farsi valere. A suon di mazzate lo Magistro iniziò a pestar le bestiacce come una brava massaia batte li panni appesi ad asciugare, lasciando lo tempo a li suoi compari di liberarsi, miracolosamente illesi, da la ferale imboscata.
Ne la stanza lo Peregrino trovò una nuova uscita, celata da una pesante porta scorrevole di solida roccia, et mentre Frandonato riconosceva ne lo altare li antichi simboli de lo Signore Senza Tempo, precedenti forse a la Croce Tau stessa, lo cavalier Galvano decise di perdere la brocca.

Cosa ti aspetti da uno uomo d'arme addestrato a l'Equilibrio? Che sollevi lo scudo suo per protegger li alleati, che si schieri primo innanzi a lo pericolo, spada in resta, pronto a punir li vili et difendere li oppressi, che sia primo anche innanzi ad altri con animo avventuroso come il suo a gettarsi ne la oscurità ne lo nome de la sua missione, de lo suo altissimo et equilibratissimo scopo.
Almeno questo è quanto Alburno immaginava prima di veder Galvano sgranare gli occhi, come avesse visto Frandonato che scopa mentre divora una torta di ricotta, et proclamar di aver avuto uno presagio di sventura, di aver già vissuto tale scena et che sarebber tutti morti di lì a breve se uno prode et coraggioso non fosse rimasto indietro a tener la porta.
Lo Magistro si sforzò di capire et non capendo annusò l'aria aspettandosi odor di feci calde, ma con disappunto continuò a non trovare logica spiegazione a tal comportamento. Incrociò gli sguardi parimenti attoniti di Tristano et Frandonato et quando si voltò di nuovo lo cavaliere era già a metà strada per le scale, reggendo convintamente la parte de lo eroe che resta su la soglia a perir per la salvezza de li compari.
Peccato che fuori fosse una splendida giornata estiva et innanzi a loro li attendesser diabolici indovinelli et mortali tranelli.

Gli avventurieri, nuovamente in tre, deciser di procedere anche se allibiti et inforcarono lo nuovo corridoio, che si inoltrava ne li dimenticati sotterranei di Castel Vero.
La prima trappola in cui incapparono era alquanto palese et, ovviamente, li colse impreparati.
Innescato uno meccanismo su uno scalino, si aprì una botola su lo soffitto, direttamente connessa con lo fiume Blebo, ormai soprastante. Lo sciacquone artificiale trascinò verso una morte orribile, fatta di spuntoni acuminati sullo muro innanzi, li tre sventurati che ebbero a salvarsi solamente grazie a buoni riflessi ed un bel po' di buona sorte: lo Peregrino trovò appiglio in uno anello per regger torce su la parete, Frandonato gettandosi subito di lato ne lo fondo de le scale, et Alburno sbattendo pesantemente il grugno su la parete, ma, miracolosamente senza che nessuna lama lo trafiggesse.
Ripresisi da lo immediato scossone decisero di procedere con estrema cautela.

La mappa in lor possesso rivelava con dicreta accuratezza lo dipanarsi di stanze et gallerie di quella che sembrava essere una antica catacomba di una epoca in cui le Divinità Pristine ancora non tolleravano la presenza de li seguaci de lo Signore Senza Tempo.
Secondo li appunti vergati da li monaci, in stanze a le estremità opposte de lo sotterraneo, si trovavan due chiavi et uno tesoro. Lo percorso era chiaro, li ostacoli ancora ignoti.
Durante li primi passi tra le umide et tenebrose sale li eroi notaron cripte de lo Pio Conte et de li suoi avi et una scritta più recente, ormai quasi del tutto cancellata da muffa et intemperie, recante una classica invocazione a San Cisso: "La Morale è Chiodo Fisso!"
Lo Peregrino et lo Magistro ignoravano chi fosse lo sacro in questione, ma Frandonato aveva ancor qualche reminiscenza de la sua non rimpianta clausura et seppe darne sfoggio dinnanzi a lo primo enigma che bloccò loro lo passo.

La porta innanzi a loro era massiccia, a lo contrario de le altre fatta per durar ne lo tempo et senza alcuna serratura. A la sommità de lo suo arco imperava la scritta: "Solo l'Uomo di Fede potrà passare!".
Parve incredibile anche a lo Magistro, ma dopo aver visto uno Cavaliere dell'Equilibrio farsela addosso davanti ad un tetro corridoio si convinse che tutto poteva essere, et così accettò che Frandonato apponesse la sua croce tau su lo stemma de la porta et pregasse San Cisso di consentir loro accesso, di fatto aprendo l'uscio invalicabile senza sforzo alcuno.

Li eroi non ebber molto di che lodarsi, dato che lo atrio successivo colse impreparata la loro avidità. Invitanti sacchetti strabordanti di cei giacevano incustoditi su lo pavimento. Lo Peregrino aprì la bocca per dir che qualcosa non gli tornava ma Alburno et Frandonato eran già lì pronti ad intascarseli. Scontato dire che essi eran collegati a trappole letali. Uno dardo colpì lo frate in pieno petto, infrangendosi in mille pezzi contro maglia et pettorali, entrambi di ferro, lo secondo meccanismo invece era assai arrugginito et lo Magistro, che forse avea considerato le infime probabilità che la trappola fosse ancora funzionante, ne uscì di nuovo, fortunosamente illeso.

Se da un lato la stanza rivelava una uscita nascosta per li livelli superiori, la loro meta, la prima chiave, era ne la direzione opposta, dietro una nuova porta stavolta chiusa a chiave.
Tristano ebbe modo di mettersi in mostra anche senza pubblico femminile, dimostrando di saperci fare con tutti i buchi, anche quelli de la serratura.
La vergogna di esser caduti così scioccamente ne lo tranello che solleticava la lor fame di ricchezze era ancora troppo fresca et aiutò non poco a superar la sfida successiva: non cedere a la tentazione di una intera tavola imbandita con ogni genere di leccornia, vini et nettari finissimi cui persino Frandonato seppe resister concentrandosi su la totale assurdità de la cosa. Le vivande si rivelaron poco dopo effettivamente sotto effetto di uno incantesimo che faceva apparir appetitosi li rimasugli corrotti, avvelenati et marcescenti di uno banchetto fatale.

Dei tre compari lo Magistro è sicuramente quello meno incline a cedere alle tentazioni, la sua passione per lo conio et per le gemme è puramente accademica, essendo spesso essi strumenti utili a li suoi esperimenti. Dava per scontato che tutti ormai sapessero che ne la stanza successiva sarebbero stati nuovamente tentati et che qualsiasi cosa avessero incontrato sarebbe stato meglio tener le mani a posto. Gli venne da sorrider vedendo quanto scioccamente lo ideatore di quei tranelli osasse cercare di corromperlo: chi poteva mai credere che in una stanza perduta, dimenticata da ere, sepolta sotto rovine incantate di uno fatiscente castello, potessero esserci avvenenti donne di piacere pronte a soddisfare li loro desideri più lussuriosi?
Nessuno ci sarebbe mai cascato...

... eccetto li suoi compari. Entrambi.
Tempo che Alburno, consultando la mappa, dicesse "La prima chiave deve essere qui!" quelli già eran pronti a chiavare.
La porta iniziò a cigolare et richiudersi a le loro spalle, Frandonato et Tristano vittime di una triste illusione pomiciavano con cadaveri essiccati et la stanza iniziava a riempirsi d'acqua che presto li avrebbe annegati.

La terza sfida fu smettere di imprecare contro le infime debolezze de la carne che li avevano messi in quel guaio, rendersi conto di essere la unica loro salvezza et bloccare lo meccanismo de la porta per dar tempo a li due di rinsavire et mettersi al sicuro.
Frandonato et Tristano quanto meno ci miser poco a farselo smosciare. Appena ripresisi da lo sortilegio sentirono lo umido a le caviglie, lo primo si fiondò a la porta per prendere il posto de lo stremato Magistro, lo secondo scattò a rovistar tra la mobilia in cerca de la agognata chiave.
Quando lo reperto fu infine ne le sue mani si scaraventaron tutti et tre fuori da la stanza assassina. Stremati ma soddisfatti: la prima prova era infine superata.

La seconda chiave richiese sforzo molto maggiore da parte di Frandonato ma fu quasi riposante per li altri due che concordaron che, essendo lo più massiccio et interessato ne lo trovar le Eredità a lui destinate, dovesse fare da apripista.
Lo pavimento che aveano dinnanzi presentava uno gran numero di piastrelle, larghe almeno quattro cubiti, su ognuna de le quali era impresso un carattere. Lo sentiero che era possibile tracciare percorrendole formava una moltitudine non indifferente di parole et era chiaro che la via non mortale sarebbe stata solo una:
CISSO - CASTO - FESSO - PIRLA - CESTO - DOTTO
Di prove ne fecero a bizzeffe, senza mai indovinar quella corretta, et ogni volta Frandonato si faceva uno volo di una mezza dozzina di cubiti su spuntoni in legno per fortuna vecchi et marcescenti, uscendone malconcio ma soprattutto assai stufo di doversi ogni volta ritirar su, illeso solamente grazie a la sua costituzione et virilità degna persino de le leggende iperboree.
Insomma lo percorso giusto era lungo la parola FISSO, come lo chiodo de lo motto di San Cisso... ma vacci a pensare?

La chiave era custodita da uno antico guardiano, scheletrico in armatura, animato da magia oscura. Venne mazzuolato senza pietà alcuna da lo maglio de lo frate, mentre lo Magistro fondeva uno paio di altri simili immondi che avventatamente avevano provato a metter teschio fuori da li lor sarcofagi. I tre tornarono su li loro passi gustandosi lo piacevole odor di mentolo de lo Foco de lo Alchimista che per un po' coprì ogni tanfo di umido, vecchio et morte ne la micidiale catacomba de lo Pio Conte.

La sala in cui inserire ambo le chiavi era segnata chiaramente su la mappa. Li eroi, memori delle batoste prese, seppero evitar uno paio di meccanismi atti a far scattar novi et diabolici strumenti di dolore. Varcaron la soglia di uno ampio et profondo stanzone che ospitava diversi sepolcri, disposti su ambo i lati, et terminava con uno massiccio colonnone scolpito ne la roccia ne lo quale due serrature sbloccavano altrettanti solidi cassetti.
Guardinghi et cauti, viste le molte sorprese fino a quel punto loro riservate da li perversi architetti de la catacomba, lo Magistro et lo Peregrino si fecero qualche cubito più in là mentre Frandonato temerario sbloccava li meccanismi.
Inizialmente nulla sembrò succedere et con somma curiosità di tutti lo frate estrasse li agognati tesori da li rispettivi nascondigli: essi consistevano in uno sacchetto di cuoio, celante almeno uno paio di minuti oggetti, uno barattolo di ceci, a prima occhiata duri come selci, et uno imponente padellone di massiccio metallo la cui impugnatura superava li due cubiti di lunghezza.

Ovviamente non vi fu tempo di esaminar meglio le reliquie trafugate: la trappola finale, riservata loro da lo Pio Conte, era stata già innescata.
La sala intera tremò, lo pavimento sotto li loro piedi si mosse et lentamente iniziò a precipitare verso il basso, lasciando in alto solo le bare di pietra lungo i muri, una ristretta sequenza di mattonelle isolate ne lo centro et la agognata uscita che diveniva via via più lontana.
Agilmente li tre saltarono al sicuro: Alburno et Tristano lungo li lati, su li sarcofagi, Frandonato su una de le mattonelle centrali, divenute ormai pilastri.
Lo pavimento però continuava ad allontanarsi sotto li loro sguardi et come se non bastasse li coperchi de le bare iniziarono a scuotersi, li loro occupanti stavano prendendo vita!

La ultima sfida consistette ne lo valutar la intera situazione in uno battito di ciglia, soppesare li pro et li contro, le scarse risorse ancora a disposizione et la brutta piega che li eventi stavano prendendo. La vittoria fu nel comprendere che la fuga sarebbe stata la via unica per trarsi d'impaccio.
Lo pavimento distava ormai già una decina di cubiti et non accennava ad arrestar la sua corsa, era tanto ma ancora non troppo, d'altro canto zompare di bara in bara, di pilastro in pilastro, come intendevan far li due compari, ma portando su le spalle lo delicato et ingombrante laboratorio portatile, sarebbe stato assai più rischioso. Alburno decise così di improvvisare et si lasciò cadere crollando pesantemente al suolo.
Ne lo mentre lo Peregrino et Frandonato avean iniziato a farsi strada verso la uscita a suon di balzi, ma li scheletri guardiani, ridestati da lo lor sonno secolare, facevano di tutto per impedir loro di proseguire con archi et lame. Lo frate incassava colpi et deviava frecce con la padellona appena conquistata, rimanendo stoicamente in bilico et un paio di volte persino appeso per una sola mano non cedette fino all'ultimo. Tristano scagliò lame finché ne ebbe ne la saccoccia, aiutando il compagno et attirando su di se anche lo tiro del nemico, a la fine dovette pensare a salvarsi le terga, mutandosi in fringuello et svolazzando fino a la salvezza.

Lo Magistro invece si riprese dolorante da lo gran botto, tutto sommato illeso. Era conscio di essere saltato di sua sponte in uno vicolo cieco, ma non lo avrebbe mai fatto senza uno piano per venirne fuori. Gli rimanevan due pozioni, soltanto due et non v'era tempo per farne di nuove, li insegnamenti de la più elevata de le scienze arcane dettano che la materia è la stessa per tutte le cose, et lo approfondito studio de la Regola Aurea lo avean reso alquanto abile ne lo improvvisar filtri mescolandoli tra loro.
Aveva uno solo tentativo: crear lo filtro che lo avrebbe tratto d'impaccio o restar sepolto ne le profondità de la cripta crivellato da li dardi de li imperituri guardiani.

Ne lo mentre, Frandonato ormai ferito barcollava, mulinando maglio et padella come meglio potea per tenere indietro le orde non morte. Tristano riprese forma umana, da uccelletto qual era, giusto su la soglia de la uscita, si volse et scagliò una ultima lama per coprir lo disperato tentativo di fuga del compare.
Appena alcuni secondi dopo, a lo suo fianco, uno lucertolone lungo quasi mezzo braccio si arrampicò da lo pavimento sprofondato. Lo Magistro Alburno sorse vittorioso, riprendendo forma umana con aria tronfia per lo successo de lo suo piano. Afferrata la Diabolica Cerbottana si volse et assieme a lo Peregrino liberò la via di fuga al compare in difficoltà.

Lo mio mentore, in ogni suo racconto, non mancò mai di rimarcare li aspetti più mirabili de li baldi cui si accompagnava: l'ecletticità et la dote di arrangiarsi in ogni situazione di Tristano, lo vigore et inesauribile energia di Frandonato. Mal sopportava alcuni lati de lo lor carattere, talune perversioni, ma mai avrebbe immaginato più validi alleati a lo suo fianco. Lo rapporto di stima virava man mano in amicizia. Anche in codesta ardua prova eran riusciti a trionfare, ne eran emersi non illesi ma uniti, spalleggiandosi et completandosi con le rispettive capacità.

Eppure lo lor cammino era ancora a li inizi, persino l'uscita da la catacomba avrebbe rivelato ancora qualche sorpresa. Tanto per cominciare dovean capire cosa avesse lasciato loro ne lo sacchetto lo grigio Magistro S. et cosa potesse esser capitato a lo bizzarro cavalier Galvano...

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