mercoledì 13 maggio 2015

Ricordi

La notte sembrava ancora più scura di quanto in realtà fosse, l’artista sedeva sullo scranno che si era ricavato dal lungo davanzale della finestra nella magione dove era costretto ad abitare per un po’, a seguito delle vicende che lo avevano visto protagonista. Due morbidi cuscini di velluto ingentilivano la seduta e gli permettevano di sedersi comodamente allungando le gambe mentre il suo sguardo vagava spento tra le stelle che luccicavano nella oscura notte baroviana. Il vortice di emozioni che lo pervadeva da qualche tempo era in netto contrasto con l’apatia e la remissività che stranamente lo caratterizzavano ultimamente.
Warwic se ne stava lì a guardare fuori dalla finestra, riempiendosi i polmoni di fredda aria mentre strimpellava note sulla sua arpa, le dita scorrevano sapientemente tra le corde danzando come piccole ballerine. Per un attimo ripensò ai suoi sogni da bambino alle mille storie di personaggi fantastici e creature insolitamente curiose nate dalla rigogliosa fantasia di sua nonna Melisande. Il piccolo pendeva letteralmente dalla labbra dell’anziana signora quando ella iniziava a raccontargli storie simili, non ebbe mai modo di scoprire se quelle storie fossero frutto del suo passato di avventuriera o se fossero semplicemente inventate, certo era però che la dovizia di particolari rendeva vivi quei racconti e la sensazione di viverle in prima persona era molto forte.
Melisande fu senza dubbio ispirazione per il piccolo Warwic, insegno al nipote quel che sapeva sulla magia, ma notando una predilezione per l’arte musicale non esagerò e preferì lasciar a lui la scelta di cosa essere un giorno. La donna, bellissima nonostante la sua età, era la più giovane di sette figlie di una famiglia non originaria di Barovia. Il come ed il quando fossero giunti in quelle terre era del tutto un mistero, i pochi che li conoscevano semplicemente a domanda rispondevano che di punto in bianco apparvero e si stabilirono ad Hoessla. Ben presto si resero famosi per la conoscenza nelle arti divinatorie e magiche, aiutando come potevano la popolazione più povera della cittadina, che molto spesso coincideva con la parte di popolazione gundarakita.

Melisande non amava raccontare del suo passato, lo faceva sempre lasciando un alone di mistero intorno a troppe vicende, forse per umiltà o forse per altri motivi non era solita soffermarsi sul come e sul perché delle scelte fatte. Amava però raccontare a suo nipote delle meraviglie del mondo visibili solo a chi sapeva coglierle ed edulcorarle dal mondo del quotidiano, dalla solita e grigia visione di tutti i giorni. Non ci furono mai cenni storici particolari, ne riferimenti a cose reali nei suoi racconti, c’erano sempre un gruppo di persone, con nomi che Warwic iniziò a credere inventati, che si trovavano sempre in qualche genere di missione. Creature fantastiche orribili e meravigliose, erano storie di onore, e per lo più erano storie che portavano a riflettere, avevano spesso una morale, erano favole ma sembravano dannatamente vere. Il piccolo si affezionò molto a quello strampalato gruppo, la maga dai lunghi capelli neri e gli occhi leggermente allungati, il possente guerriero sempre pronto a frapporsi tra il nemico ed il suo gruppo, la piccola ladra esile ma molto veloce, ed il paffuto chierico che arrancava per seguire il gruppo. Erano divertenti le storie che li vedevano protagonisti erano forse molto stereotipate ma la passione con la quale Melisande incastrava i tasselli del racconto entrò nel cuore del futuro bardo e ne caratterizzarono gran parte della sua vita. Le storie ebbero un evoluzione da semplici favole, raccontate ad un bimbo, a storie più corpose ed intrigate man mano che Warwic cresceva, la nonna aveva trovato un modo originale di insegnare quel che sapeva o che aveva letto, chissà, al nipotino. In un qualche modo quelle mille storie furono prima ispirazione e poi esperienza per il bardo, la curiosità di sapere sempre di più lo portarono a leggere ed interessarsi, passava ore a sfogliare antichi testi regalatigli dalla nonna e qualche volta quel che leggeva gli era tornato anche utile. Ma Warwic amava anche la strada amava il contatto con le persone, conoscere, capire, studiare fu ben chiaro che nelle sue vene scorreva un sangue differente da quello della famiglia si stregoni, maghi e chierici, la tradizione con lui si era forse interrotta, o forse Barovia aveva cambiato il corso delle cose.

Era ormai notte fonda, ed i suoi pensieri avevano preso il sopravvento, la musica non sgorgava più dalla sua arpa mentre le sue mani erano chiuse e serrate verso il petto stringendo qualcosa, l’aria si era fatta più fredda ed il sonno iniziava ad annebbiare i ricordi del bardo. Scese dallo scranno e si avviò verso il letto, la sua mano posò sul comodino il piccolo oggetto metallico che poco prima stringeva al petto, sembrava una moneta di forma circolare sul dorso visibile non appoggiato sul morbido legno, c’era raffigurata una corona di alloro che campeggiava sulla sagoma di un drago trafitto da una spada e subito sotto delle lettere “ A. IV “.

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