lunedì 23 maggio 2016

Errando per Laitia - Episodio 6

De la Presuntione et la Redemptione

Lo Magistro Alburno provò grande sollievo nel varcar li portoni de la cittadella fortificata di Epilorna. Lo Conte Gualfero governava una città pulita, ordinata et sicura all’apparenza et dopo un viaggio sì periglioso et movimentato l’intero gruppo si sentì da subito protetto.
Zano a lo contrario bramava di trovar lo suo compare Stanobio et continuava ad avere lo terrore che qualcuno potesse seguirlo o ricercarlo et quindi rimase sempre ben nascosto tra li taralli et lo formaggio.
Per riuscire a trovare uno signor nessuno ne lo mezzo di una cittadina occorre sperare che qualcun conosca o abbia sentito nominare lo di lui nome, et così, dividendosi, lo gruppo iniziò a chieder qua e là se qualcuno conoscesse tal Stanobio, milite in fuga. La fortuna arrise li nostri impavidi pellegrini et uno fornaio asserì di aver sentito quello nome quando venne letta la condanna di uno povero mentecatto, arrestato per furto di racchini, messo alla gogna per alcuni girodì et poi segregato nelle celle de lo castello.

Lo Magistro ebbe subito una buona sensazione riguardo lo Conte Gualfero et convinse li suoi compagni che avrebber dovuto dir lui il vero et chiedergli di poter colloquiare con lo prigioniero, ma la burocrazia est sempre d’intralcio quando lo loco è assai civilizzato et lo tempo scarso, pertanto, chiesta udienza, il tempo trascorse senza che venner richiamati.
Occorreva accelerare i tempi et Alburno pensava di sapere cosa avrebbe attirato l’attenzione del governante: convinse lo Pellegrino Scarlatto, improvvisatore d’eccezione, a metter in versi lo loro incontro con lo lupo demoniaco per raccontarlo in piena piazza di fronte alla gente radunata per le funzioni del vespro. Passaron lo pomeriggio a sparger la voce e scriver versi e la sera, l’esibizione vantò uno pubblico degno del talento del buon Tristano declamatore di eroiche gesta et frottole in pari misura.
Quando la gente udì la storia, già cosciente che la minaccia de li branchi di lupi era aumentata ne lo ultimo periodo, iniziò ad invocare lo nome de la Lupa Abba, animale errante d’altre terre, demonio infestatore et crudele, et il verbo si sparse ancor più rapido di come lo Magistro avesse sperato.
Eppure la convocazione allo cospetto dello Conte ancora non venne.

Lo giorno seguente, lasciati li lor compagni assieme a Zano in locanda, Tristano et Alburno decisero di far pressione con una mazzetta et richieder solerzia.
Quando giunsero allo castello, dopo aver lasciato li loro nomi, notarono un drappello di milizianti recanti l’emblema di Auriate far da scorta ad un sinistro figuro, gobbo et ammantato di nero, che stringea un bizzarro bastone sormontato da una mano avvizzita et dall’aria sepolcrale. La sua nomea era giunta ben oltre il Tempione, egli era infatti uno de li Rognosi de lo Signore di Auriate, conosciuto et malfamato evocatore che rispondeva allo nomignolo di Manomarcia.
Ci volle solo uno istante ad una persona acuta, istruita et colta come lo Magistro per tirar le somme et ricostruire l’intera vicenda: Zano et li suoi due compagni erano inviati da Auriate a la Grotta Parlante con lo scopo di assister ed esser sacrifici per risvegliare et soggiogare lo demonio in forma di lupo. Qualcosa non funzionò perché essi scapparono et l’evocatore venne sbranato in loro vece, liberando la fiera ne la regione. Manomarcia et li Biro Biro eran quindi inviati in loco per porre rimedio al fallimento, completar lo rituale et rimetter le cose a posto.

Fu un ragionamento brillante et quasi completamente esatto, che però si scontrò bruscamente con le aspettative di ricchezza et riconoscenza di Alburno che, con poca coscienza, decise di farsi avanti dichiarando coraggiosamente di aver avuto a che fare con la creatura et di conoscer come erano invero andate le cose. Tanto bastò ad attirar l’attenzione de lo Rognoso, come programmato, ma la reazione fu assai meno collaborativa et più coercitiva di come immaginato.
Quando lo Magistro si presentò come collega, in quanto alchimista, Manomarcia non lo degnò di un briciolo di considerazione. Quando disse di aver incrociato lo cammino di uno de li superstiti, Manomarcia capì subito che la verità non era completa. Quando offrì collaborazione per trovar lo modo di fermar la Lupa Abba, Manomarcia volle solo esser condotto da li superstiti et lo fece prender in custodia da li armigeri.

Ferito ne lo orgoglio per non essere stato ancora una volta riconosciuto come pari et sentendosi uno stolto per aver cercato la collaborazione di un simile abbietto personaggio, lo Magistro Alburno cercò con lo sguardo la complicità de lo Peregrino per liberarsi dai miliziani et insieme iniziaron a far baccano alzando lamentele et proteste.
Lo piano funzionò et in breve furon tutti, compreso Manomarcia, portati a lo cospetto de lo Conte di Epilorna, per risponder de lo trambusto causato ne la sua città.
Lo nobile Gualfero si dimostrò retto e saggio come i nostri si auguravano, rimproverò aspramente lo Rognoso per aver preso in custodia dei liberi cittadini ne lo suo territorio senza permesso et lo congedò acconsentendo ad ascoltar la storia de lo Peregrino sulla Lupa Abba et li tre disgraziati scampati a lo suo morso.
Sentita la storia sincera di Zano e Stanobio, avendo anche lui intuito la meschinità di Manomarcia, volle acconsentire a dar fiducia ai pellegrini, se li loro sforzi avesser liberato le sue campagne dalla minaccia de lo demonio irsuto.
Fu così che, lo girodì successivo, lo gruppo ripartì da Epilorna dopo aver barattato la fiera Salìa, eccelsa cavalla da guerra ritenuta sprecata nel tirare uno carretto, per uno più umile mulo et due cavalli da sella. Ad accompagnarli anche Zano et lo nuovamente libero Stanobio, che sarebbe stato perdonato per li suoi crimini in cambio de la sua collaborazione.

Lasciato alle spalle anche Manomarcia, lo scopo era ora quello di trovar lo modo per arrestar la Lupa Abba. A dir di Zano uno frate ne lo Monastero de lo Lupo, tale Fra Ululone, avea qualcosa da dir in merito et, non avendo alcuna alternativa, decisero di recarsi in loco.
Lo monastero era sorvegliato da li Biro Biro come nei girodì precedenti. La piccola guarnigione di selvaggi presidiava lo villaggio et quindi le vie d’accesso a lo carretto eran bloccate. Fortuna volle che l’astuto Fra Frandonato avea in gioventù vissuto con quei monaci et, già lesto et interessato alle scappatelle più che alle dure preghiere, conosceva un paio di entrate secondarie.
Una di queste si rivelò ancora agibile, su lo fianco de lo colle, et portò li nostri eroi direttamente ne lo cortile interno de lo monastero.

Lo priore et li altri frati accolser con sorpresa li viandanti sconosciuti, solo li più anziani avean memoria di Frandonato ma in molti ricordavano con simpatia lo spaurito Zano et quindi dieder lo loro aiuto. Fu lor concesso di colloquiar con Fra Vittorio, detto Ululone a causa de la sua voce tonante. Dopo una chiassosa discussione con lo frate emerse che lo modo per arrestar la fiera demoniaca vi era, ma assai rischioso et necessitava de la presenza di tutti i tre che eran miracolosamente scampati a lo rito di evocazione: Zano, Stanobio… et Settimo, mai nominato finora, fuggito verso la Bassa in cerca di espiazione et illuminazione.
Ancora una volta la via era delineata, se li monaci volean riaprire li commerci et Alburno guadagnarsi la stima di Ottavianus Firminus, la Lupa Abba andava fermata.

A loro si unì anche Fra Ululone, pronto a far lo suo dovere di esorcista. ripercorso lo passaggio sotterraneo et liberatisi di uno gruppo di Biro Biro giunto in perlustrazione, lo gruppo si ricongiunse et scese da li monti, verso la Bassa, in cieca cerca del terzo sopravvissuto.
Trascorsero alcuni giorni di viaggio, ne li quali le provviste et li fondi si prosciugarono in pasti, giacigli et ricerca d’informazioni.
Lo Magistro Alburno si chiuse tra li fumi de lo suo laborario, in attesa di una traccia et passaron li villaggi di Lu et Brino. In quest’ultimo finalmente qualcuno seppe dare indicazioni su lo passaggio, alcune settimane prima, di uno uomo mezzo folle mezzo santo che cercava di ritirarsi ne la natura per espiar li suoi peccati et ritrovar se stesso: lo primo viaggiatore passato da molto tempo, lo terzo et ultimo dei superstiti allo rito, et Settimo nello nome, si nascondea ne la palude.

Finalmente a conoscenza di una traccia, lo Magistro si ridestò da lo suo torpore, dovuto in larga parte a li fumi de la sua formula allucinogena, et guidò lui stesso li suoi compari attraverso acquitrini et pantani, foreste di funghi tossici et pozze sulfuree, utilizzando olfatto e vista, come un segugio, amplificate oltremisura da li suoi intrugli.
Settimo era lì, in serafica meditazione, ricoperto di piante, bestioline et guano, protetto da un timido tetto di canne che oscillavano et fischiavano a lo vento.
Una immagine al contempo placita et delirante, cui lo gruppo spazientito dedicò poca contemplazione. L’uomo riconobbe li suoi compagni ma si rifiutò di ripartire perché ne la natura lui cercava la sua redenzione. Fu così che venne preso a randellate et trascinato via.
In uno secondo momento fu il buon Tristano a convincerlo della sacralità de la loro missione et che li suoi amici animali l’avrebbero accompagnato et protetto anche ne lo viaggio che li attendea.

Le promesse de lo Pellegrino si rivelarono, purtroppo, menzognere.
Su la via de lo ritorno verso la Grotta Parlante, dove finalmente poter officiare lo rituale con Ululone et li tre superstiti, la strada venne sbarrata da una legione intera di Biro Biro, stavolta tenuti a bada da un ghignante Manomarcia.
Lo subdolo evocatore avea lasciato che lo Magistro et li suoi compari facesser lo lavoro sporco et era intervenuto per intimar loro la resa et la consegna dei disertori in cambio de la vita.
Con copioso rodimento di fegato Alburno et li suoi compari dovetter cedere, Stanobio, Zano et Settimo si consegnarono et lo Rognoso rispettò la parola, ma non prima di aver dato sfoggio de lo suo oscuro potere battendo lo bastone in terra et creando una grossa crepa ne la quale lo carretto si rovesciò et spaccò.
Lo Magistro lo maledisse tra se et se più volte, meditando vendetta: nessuno potea permettersi di trattarlo così!

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