Piazze affollate, attentati,
riunioni, parole e funerali, una nuova dimensione di una vita alla quale era
del tutto avulsa, Mira era stanca paradossalmente si stancava più con intrighi
politici, riunioni affollate di quanto non potesse stancarsi dopo una giornata
di allenamento nell’arena della Falange.
Estenuanti discorsi e congetture
sul futuro, la ferocia spietata dei Romanov malcelata dietro una facciata di
pacatezza e rilassatezza e gli ultimi colpi di coda di una famiglia rivale, la
indussero a pensare se l’interesse vero fosse lo sgominare una dittatura per
sostituirsi ad essa o quanto fosse valida la scusa del benessere dei Baroviani.
A Mira questo interessava
marginalmente, era diventato di suo interesse quando il culto le aveva
richiesto di dare il suo apporto alla causa. Per la Dhampir il tempo a
Zeidenburgh scorreva troppo lento, differentemente dal sangue nelle sue vene,
aveva sempre avuto questa idea del suo corpo registrato su di una velocità
differente in contrapposizione con la normale velocità della razza umana. Mira
si spiegava così il suo essere diversa, era abituata a vivere più veloce al
punto che in situazione normali doveva limitare la propria frenesia per non
essere additata come differente, alla scuola però le avevano insegnato a
lasciarla fluire e scorrere selvaggiamente nei momenti di bisogno. La
contrapposizione tra il fingere di essere normale e la constatazione palese di
non esserlo, un dualismo che avrebbe caratterizzato tutta la sua esistenza. La
morte per lei sarebbe stata una liberazione, la attendeva come un passaggio necessario
come un corridore stanco vede il traguardo farsi sempre più vicino per potersi
finalmente abbandonare al riposo. Mira non aveva paura perché non temeva la
morte né la giudicava come un evento negativo e definitivo, voleva solo
assicurarsi che il suo passaggio in questo mondo portasse più vantaggi che
svantaggi e che quella scintilla che animava il suo corpo la portasse verso una
morte giusta ed eroica degna fine di un discepolo di Irlek Khan.
Così la vita scorreva
tediosamente lenta per la diurna, nella gran parte della sua giornata e poteva
concentrare la sua smania ed irruenza in brevi e feroci momenti, era stato
l’insegnamento più duro al quale aveva dovuto far fronte, era la cosa tutt’ora
più difficile da mettere in pratica. Non cedere alla bestia che era dentro di
lei, non perdere la ragione e non deviare dal rigido cammino impartito dai
dogmi del culto. Un lupo feroce ed affamato rinchiuso nel corpo di una giovane
donna.
Pensando ai suoi “di nuovo nuovi”
compagni, e vedendoli in azione non poté far altro che commiserarli, aver pietà
della loro condizione, registrando al contempo cambiamenti in loro preoccupanti.
Si era passato dal lutto per la condizione nella quale erano stati forzati,
alla prepotenza ed alla spavalderia con la quale usavano e misuravano i propri
poteri. D’altro canto il cambiamento repentino del proprio fisico e delle
proprie abilità sarebbe stato inebriante ed incontrollabile anche per una mente
abituata ad una ferrea disciplina. Andrej e Kuzja erano sì inquadrati in un culto
che gli aveva fornito le basi di una disciplina erano sì avvezzi ad un potere magico
o sacro, ma i loro culti davano un importanza alla disciplina insufficiente
rispetto a quanto necessario. In poche parole Mira sapeva che non era no
pronti, aveva paura che tutto quel potere nelle mani di un sacerdote e ancora
peggio di un sacerdote con velleità arcane li portasse a diventare un pericolo
per gli altri, un grande potere comporta una mente ferma, obiettiva e neutrale
che rifugga dal piacere stesso generato dal suo uso che ben presto porterebbe
alla corruzione della mente stessa. Un enorme responsabilità.
Pensando questo il giovane monaco
richiudeva la porta della sua stanza dietro di se, all’interno la mobilia era
sottosopra, un cuscino strappato e la lana al suo interno sparsa sul terreno,
una flebile candela generava una luce tremolante per lo spostamento d’aria
causato dall’apertura della porta della stanza.
In un angolo rannicchiata con le
ginocchia strette al petto dalle sue stesse braccia, i lunghi capelli riversi
sulle gambe fino a toccare il pavimento, il singhiozzo strozzato in gola, tremando
giaceva Vivien.
Mira dopo essersi avvicinata con
passo fermo ma lentamente, si sedette vicino alla giovane donna ed
accarezzandole la folta chioma le disse: “E’ finito il tempo della disperazione
e della rabbia, imparerai a convogliare tutto questo a tuo piacimento, è giunto
il tempo della tua rinascita ti chiedo solo di fidarti di me.”
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