La notte sembrava ancora più
scura di quanto in realtà fosse, l’artista sedeva sullo scranno che si era
ricavato dal lungo davanzale della finestra nella magione dove era costretto ad
abitare per un po’, a seguito delle vicende che lo avevano visto protagonista.
Due morbidi cuscini di velluto ingentilivano la seduta e gli permettevano di
sedersi comodamente allungando le gambe mentre il suo sguardo vagava spento tra
le stelle che luccicavano nella oscura notte baroviana. Il vortice di emozioni
che lo pervadeva da qualche tempo era in netto contrasto con l’apatia e la
remissività che stranamente lo caratterizzavano ultimamente.
Warwic se ne stava lì a guardare
fuori dalla finestra, riempiendosi i polmoni di fredda aria mentre strimpellava
note sulla sua arpa, le dita scorrevano sapientemente tra le corde danzando
come piccole ballerine. Per un attimo ripensò ai suoi sogni da bambino alle
mille storie di personaggi fantastici e creature insolitamente curiose nate
dalla rigogliosa fantasia di sua nonna Melisande. Il piccolo pendeva
letteralmente dalla labbra dell’anziana signora quando ella iniziava a
raccontargli storie simili, non ebbe mai modo di scoprire se quelle storie
fossero frutto del suo passato di avventuriera o se fossero semplicemente
inventate, certo era però che la dovizia di particolari rendeva vivi quei
racconti e la sensazione di viverle in prima persona era molto forte.
Melisande fu senza dubbio
ispirazione per il piccolo Warwic, insegno al nipote quel che sapeva sulla
magia, ma notando una predilezione per l’arte musicale non esagerò e preferì
lasciar a lui la scelta di cosa essere un giorno. La donna, bellissima
nonostante la sua età, era la più giovane di sette figlie di una famiglia non
originaria di Barovia. Il come ed il quando fossero giunti in quelle terre era
del tutto un mistero, i pochi che li conoscevano semplicemente a domanda
rispondevano che di punto in bianco apparvero e si stabilirono ad Hoessla. Ben
presto si resero famosi per la conoscenza nelle arti divinatorie e magiche,
aiutando come potevano la popolazione più povera della cittadina, che molto spesso
coincideva con la parte di popolazione gundarakita.
Melisande non amava raccontare del
suo passato, lo faceva sempre lasciando un alone di mistero intorno a troppe
vicende, forse per umiltà o forse per altri motivi non era solita soffermarsi
sul come e sul perché delle scelte fatte. Amava però raccontare a suo nipote
delle meraviglie del mondo visibili solo a chi sapeva coglierle ed edulcorarle
dal mondo del quotidiano, dalla solita e grigia visione di tutti i giorni. Non
ci furono mai cenni storici particolari, ne riferimenti a cose reali nei suoi
racconti, c’erano sempre un gruppo di persone, con nomi che Warwic iniziò a
credere inventati, che si trovavano sempre in qualche genere di missione. Creature
fantastiche orribili e meravigliose, erano storie di onore, e per lo più erano
storie che portavano a riflettere, avevano spesso una morale, erano favole ma
sembravano dannatamente vere. Il piccolo si affezionò molto a quello
strampalato gruppo, la maga dai lunghi capelli neri e gli occhi leggermente
allungati, il possente guerriero sempre pronto a frapporsi tra il nemico ed il
suo gruppo, la piccola ladra esile ma molto veloce, ed il paffuto chierico che
arrancava per seguire il gruppo. Erano divertenti le storie che li vedevano
protagonisti erano forse molto stereotipate ma la passione con la quale
Melisande incastrava i tasselli del racconto entrò nel cuore del futuro bardo e
ne caratterizzarono gran parte della sua vita. Le storie ebbero un evoluzione
da semplici favole, raccontate ad un bimbo, a storie più corpose ed intrigate
man mano che Warwic cresceva, la nonna aveva trovato un modo originale di
insegnare quel che sapeva o che aveva letto, chissà, al nipotino. In un qualche
modo quelle mille storie furono prima ispirazione e poi esperienza per il
bardo, la curiosità di sapere sempre di più lo portarono a leggere ed
interessarsi, passava ore a sfogliare antichi testi regalatigli dalla nonna e
qualche volta quel che leggeva gli era tornato anche utile. Ma Warwic amava
anche la strada amava il contatto con le persone, conoscere, capire, studiare
fu ben chiaro che nelle sue vene scorreva un sangue differente da quello della
famiglia si stregoni, maghi e chierici, la tradizione con lui si era forse
interrotta, o forse Barovia aveva cambiato il corso delle cose.
Era ormai notte fonda, ed i suoi
pensieri avevano preso il sopravvento, la musica non sgorgava più dalla sua arpa
mentre le sue mani erano chiuse e serrate verso il petto stringendo qualcosa, l’aria
si era fatta più fredda ed il sonno iniziava ad annebbiare i ricordi del bardo.
Scese dallo scranno e si avviò verso il letto, la sua mano posò sul comodino il
piccolo oggetto metallico che poco prima stringeva al petto, sembrava una
moneta di forma circolare sul dorso visibile non appoggiato sul morbido legno,
c’era raffigurata una corona di alloro che campeggiava sulla sagoma di un drago trafitto
da una spada e subito sotto delle lettere “ A. IV “.
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia un commento a questo post :