Pate interrogò Kuzja e Bodo in maniera dettagliata si
soffermò, chiedendo più volte all’esploratore come avesse fatto a salvarsi,
visto che tutti o quasi i componenti della sua vecchia banda erano o dispersi o
morti. Arrivò addirittura ad insinuare che fosse lui il traditore che avesse
rivelato la posizione della banda al Conte. In cuor suo Bogdan sentiva mescolarsi sentimenti differenti
che inesorabilmente andavano a minare le sue poche certezze, avrebbe voluto
dire basta a tutto questo e lasciarsi andare, avrebbe voluto piangere e
disperarsi alle terribili notizie che gli venivano riferite, ma sapeva che non
poteva permettersi questo lusso. I suoi amici, i suoi mentori, i suoi compagni non c’erano
più, quella flebile speranza di poter almeno riabbracciare Rennarth svanì alle
prime parole del Segugio.
Non appena Bogdan chiese informazioni sui suoi amici
e componenti della sua banda, inesorabili risuonarono nella spoglia stanza le
parole di morte. Pronunciando uno ad uno i nomi dei suoi amici, tra se e se,
dovette lottare per ricacciare le lacrime dai suoi occhi, lo sconforto prese il
posto dell’agitazione, ed a sua volta lasciò, ben presto il posto alla rabbia. Le nocche si serrarono inconsciamente in un maglio esangue,
il suo cuore che batteva all’impazzata per l’eccitazione di ritrovare vecchi
compagni, sembrò scandire con i suoi battiti dei rintocchi di una campana suonata
a morte, suona per chi aveva condiviso con lui il periodo più bello della sua
vita fino ad oggi.
Presto l’istinto del cacciatore tornò alla ribalta, ed
iniziò immancabilmente a spingere il giovane esploratore verso la luce della
speranza e della vita, coadiuvato dalla crescente rabbia che iniziava a farsi
spazio tra i suoi sentimenti. Congedatosi da Pate, che si rivelò fedele ai patti sugellati
al tempo della vecchia congrega intimando alla sua nuova banda di lasciarci
passare indenni, il gruppo, riabbracciati Astrid e Mircej “ospiti” del Segugio,
riprese il cammino verso il Bosco Crudele, che si trovava appena a nord di
Cuzau all’interno di un arco descritto dalle sponde del gelido fiume Gundar. Bogdan si strinse nel suo mantello e non parlò, ricacciò con
tutta la forza d’animo rimasta quel vortice di emozioni e le parole del suo
maestro riecheggiarono nella sua mente come un mantra. Sapeva e lo aveva
imparato a sue spese, che un animo pieno di sentimenti ed emozioni ben presto
lo avrebbe portato a commettere un errore di valutazione, un errore che in un
territorio ostile come quello di Barovia, significava morte certa.
Pate aveva lasciato un filo di speranza, nel giovane ranger,
Hugo il cacciatore era ancora vivo e si vociferava si fosse rintanato nei
luoghi che conosceva meglio di chiunque altro, luoghi perigliosi ai quali in pochi
avrebbero avuto l’ardire di addentrarsi.
Al suo inseguimento ovviamente si era gettato l’Uccisore con il suo
manipolo di morti ritornati, era passato da qualche giorno per le strade di
Cuzau, seminando orrore tra i cittadini residenti. Bogdan pensò che un
passaggio del genere alla luce del sole in una cittadina popolata, poteva
significare solo una cosa, i seguaci dello stendardo nero con un teschio senza
orbite campeggiante, non avevano paura di farsi notare, non temevano nessuno. Recuperate le armi di Astrid e Mircej, saggiamente nascoste
prima di presentarsi alla banda di fuorilegge di Pate, il gruppo si inoltrò
senza paura e con una certa fretta all’interno del bosco, sapendo, dalle
informazioni dettagliate ricevute, che l’Uccisore era entrato nello stesso
bosco qualche tempo prima, Bogdan e Lukan andarono in avanscoperta per evitare
di finire in trappola.
Evitate, non senza alcuni problemi, le sentinelle non morte poste
a delimitare il luogo dove l’Uccisore aveva posto il campo, il gruppo giunse,
grazie anche alle visioni di Mircej, in prossimità dell’entrata della tana dell’orso
gigantesco che infestava quel bosco. Superato un “incontro fortuito”, forse meglio
definirlo uno scontro, con un enorme cinghiale, di cui Mircej volle
disperatamente provare la possenza, si apprestarono ad entrare nella tana.
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